Tre dei quattro rappresentanti di storiche organizzazioni della società civile tunisina, che hanno contribuito al processo di democratizzazione del paese nella fase successiva alla fine del regime autoritario di Zine el Abidine Ben Ali, saranno ospiti dell'evento “Quale democrazia per quale pace?” giovedì 16 giugno in Università (dalle h. 14:00 in Auditorium Martinotti - edificio U12, via Vizzola, 5 - Milano). Un’occasione unica per ascoltare in presenza: Houcine Abassi, ex-Segretario Generale dell’Unione generale dei lavoratori tunisini; Fadhel Mahfoudh, ex-Presidente dell’Ordine nazionale degli avvocati tunisini; Abdessatar Ben Moussa, ex-Presidente dell’Ordine nazionale degli avvocati tunisini e della Lega Tunisina dei Diritti dell’Uomo.
Assente solo Ouided Bouchamaoui, che era stata a capo dell’Unione Tunisina dell'Industria, del Commercio e dell’Artigianato e che ora si trova negli Stati Uniti per un periodo di formazione.
Grazie al loro eccezionale lavoro in Tunisia si è riusciti a instaurare un dialogo nazionale tra tutti i partiti nella fase transitoria tra il 2013 e il 2014, dopo la fine degli oltre 20 anni di potere oppressivo di Ben Ali, permettendo di superare una situazione di grave crisi sociale caratterizzata da attentati, manifestazioni violente e assassinii politici e aprendo la strada all'approvazione della nuova Costituzione tunisina. La giornata di studio si focalizza sulle tematiche inerenti la costruzione della pace, la transizione alla democrazia in scenari post-conflitto, la “Transitional Justice”, il costituzionalismo post-regimi autoritari, la mediazione e il negoziato politico-istituzionale. L’evento si conclude con una performance del violinista siriano Alaa Arsheed e un brindisi con tutti i partecipanti per proseguire con uno scambio più informale tra relatori e ospiti in una delle piazze del campus universitario.
Organizzatori e moderatori dell’incontro sono: Roberto Cornelli, referente di Ateneo per la rete RUNI-Pace e professore associato di Criminologia in Bicocca, Lucia Dalla Pellegrina, professoressa associata di Economia politica e direttore del Center for Interdisciplinary Studies in Economics, Psychology and Social Sciences (CISEPS)-Unimib, Mario Gilli, professore ordinario di Economia politica e tra i fondatori del CISEPS e Caterina Roggero, professoressa di Cultura araba presso la Statale di Milano e ricercatrice di Cultura araba in Bicocca, in collaborazione con la Fondazione Casa dello Spirito e delle Arti, presieduta da Arnoldo Mosca Mondadori. Abbiamo posto loro qualche domanda per avvicinarci con più consapevolezza all’evento “Quale democrazia per quale pace?”
Professoressa Dalla Pellegrina, come mai CISEPS ha creduto in questo progetto?
È un momento storico difficile per l’Europa e gli effetti della guerra in Ucraina si stanno ripercuotendo in tutto il mondo con esiti devastanti. CISEPS ha dunque primariamente scelto di collocare questo progetto nell’ambito delle iniziative a favore della pace, contro l’invasione dell’Ucraina e a sostegno dei processi di democratizzazione.
L’evento del 16 giugno vuole essere un momento di riflessione su temi che in questa particolare contingenza storica stanno a cuore a tutti. Come Centro di ricerca interdisciplinare incentrato su temi di interesse sociale, sentiamo di poter offrire un contributo rilevante tramite la divulgazione di studi riguardanti le dinamiche di democratizzazione e di pace. È importante che i leader politici agiscano per arrivare il prima possibile a una pace giusta, esiste però anche un momento per ascoltare, riflettere e quindi agire in maniera consapevole.
Pensiamo che ascoltare le riflessioni del Quartetto Premio Nobel per la Pace del 2015 possa favorire una visione più "informata" del momento storico che stiamo vivendo da parte di tutti, studiosi e non.
Infine, poiché grazie alla musica - prezioso strumento di unione - tutti i popoli parlano la stessa lingua, a prescindere dalla razza, dall’etnia, dalla storia e dalla cultura individuali, proponiamo l’ascolto di Alaa Arsheed e il Violino del Mare, per favorire la riflessione sugli importanti temi trattati nella giornata.
Dottoressa Roggero, perché parlare ancora delle Primavere arabe quando sono già passati 11 anni e pare che la situazione sulla sponda Sud del Mediterraneo non si sia ancora stabilizzata, nonostante le speranze suscitate da quello che parve un “risveglio” delle società civili arabe?
I processi di transizione alla democrazia sono di per sé lunghi e altalenanti. Le rivolte del 2011 hanno portato a drastici capovolgimenti in Tunisia, Egitto e Libia rispettivamente con la fuga, l’arresto e la morte dei leader al potere da decenni. Non hanno tuttavia determinato cambiamenti rivoluzionari nella struttura dei regimi e nelle élite dirigenziali. Stessa cosa dicasi per l’Algeria e il suo hirak del 2019.
Ciò che però allora si è innescato in questi paesi – una partecipazione popolare via via crescente a contestazioni di situazioni socio-economiche giunte al limite di sopportazione – non è scomparso nel nulla.
Il fermento politico e culturale post-Primavere nelle società nordafricane è una realtà, talvolta di nicchia, ma che avanza in sordina. I progetti di mediazione politica come quello di successo condotto in Tunisia dal Quartetto del Dialogo Nazionale merita ancora di essere ascoltato e indagato per comprenderne strategie, modalità e criticità.
Dare la giusta importanza e illuminare quanto di positivo e costruttivo è stato fatto in questi undici anni dalle Primavere arabe è uno dei modi per guardare ai paesi arabi con apertura ed equilibrio, evitando paure e preconcetti.
Perché, professor Gilli, la democrazia non è un concetto/pratica univoco?
La domanda “Quale democrazia?” è fondamentale per capire la relazione tra conflitti, guerre e regimi politici. Qualsiasi sistema politico è sostanzialmente un meccanismo di gestione dei conflitti, perché la politica consiste nella fornitura di beni pubblici forniti uniformemente ai cittadini indipendentemente dalle loro preferenze.
In quanto modalità di aggregazione di preferenze eterogenee e di gestione dei conflitti, i regimi politici si differenziano secondo diverse dimensioni, dalla selezione delle istituzioni esecutive al loro funzionamento, dalla protezione dei diritti per varie categorie di cittadini, ai pesi e contrappesi delle autorità di giustizia e di ordine pubblico, dalla qualità dell’informazione disponibile alle modalità di partecipazione popolare ai momenti di decisione pubblica. Questo significa che i regimi politici sono pratiche multidimensionali e quindi non banalmente ordinabili dal più autoritario al più democratico.
Negli ultimi anni si sono sviluppati diversi istituti di ricerca indipendenti che, a partire dalla misurazione di centinaia di caratteristiche dei diversi regimi, propongono indicatori sintetici che misurano il livello di democraticità di un sistema politico. La classificazione dei regimi politici è quindi diventata sempre più sistematica e complessa.
D’altra parte, l’analisi diacronica di questi indicatori è cruciale per cercare di capire cosa determina la capacità dei sistemi politici di gestire i conflitti tra i cittadini, perché un eccesso di conflitto può portare al fallimento dello stato e quindi a dittature, ma pure una mancanza di partecipazione pubblica può portare a un eccesso di potere dell’esecutivo e quindi a una dittatura.
Professor Cornelli ci aiuta a capire cos’è la transitional justice e perché agevola la costruzione della pace?
Quando una società attraversata da conflitti armati, dominata da dittatori o governata da sistemi oppressivi trova la forza di voltare pagina, si trova ad affrontare due questioni fondamentali. Innanzitutto, deve fare i conti con il proprio passato di violenza e con le gravi violazioni dei diritti umani che si sono perpetrate. Al tempo stesso ha di fronte a sé una sfida epocale: deve fare in modo che lo sguardo sul passato faciliti la costruzione di basi solide per un futuro di convivenza pacifica e democratica.
La giustizia di transizione si occupa proprio di questo: di come i Paesi in transizione verso la democrazia, si occupano, giuridicamente e politicamente, dei gravi fatti commessi in un periodo che si vorrebbe archiviare; e di come si preoccupano di implementare riforme istituzionali e costituzionali capaci di ricomporre una società profondamente divisa, a partire dalla riparazione per le vittime, dalla ricerca di una memoria condivisa e dall’affermazione dello stato di diritto.
Tutto ciò ha a che fare con la costruzione di una pace che possa durare nel tempo.
Presidente Mondadori, ci racconta brevemente come il Violino del Mare - che avremo il piacere di ascoltare - ci può far riflettere sul dramma della guerra?
Il Violino del Mare, costruito dalle persone detenute del carcere di Opera con i legni delle imbarcazioni giunte alla casa di reclusione da Lampedusa, è testimone del dramma contemporaneo di milioni di persone in fuga dalla guerra e dalla fame. Un violino che dà voce a chi non ha più voce e che verrà suonato da Alaa Arsheed, artista siriano che ha vissuto personalmente il dramma della guerra.
Il suono e la musica che si potranno ascoltare nell’Auditorium dell’Università saranno un segno di come l’arte, anche quando nasce dalle tragedie umane, possa comunicare, attraverso le armonie e la bellezza, un’altra logica, opposta a quella della guerra.
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Info: https://www.unimib.it/eventi/NobelPace
Per partecipare è necessaria la registrazione tramite form online