La seconda domenica di maggio in molti Paesi, tra cui l’Italia, viene celebrata a festa della mamma. Al di là delle motivazioni religiose o commerciali che spingono a festeggiare la propria mamma, ce n’è uno del tutto personale ed innegabile: il riconoscimento sociale e morale degli sforzi sostenuti per crescere e proteggere un figlio.
Uno dei momenti simbolo di tutto ciò è ovviamente il parto*, evento stressante per eccellenza (tanto da diventare metafora della lunga sofferenza patita nell’ottenere un risultato) che accomuna molte donne in tutto il mondo. Questa situazione è ovviamente investita di forti emozioni da parte del nucleo famigliare quindi abbiamo deciso di farcela raccontare da chi invece per ragioni professionali deve cercare di mantenere un certo distacco. Alessandra Oliva, studentessa al terzo anno del corso di Ostetricia** ci descrive le sue esperienze di sala parto, a contatto con le donne che diventano mamme.
A quanti parti hai assistito? Cosa hai provato la prima volta?
Ho assistito a circa una quarantina di parti e ad almeno altrettanti travagli, ognuno unico e irripetibile. Il mio primissimo parto lo ricordo ancora con grande commozione. Ero al primo anno. Di ostetricia sapevo ancora poco e sono stata catapultata in sala parto semplicemente per assistere a quel miracolo che caratterizza la nostra professione e avere di questo un assaggio in anticipo: non dovevo fare niente, solo osservare. Ricordo bene il viso della mamma, la forza che mi trasmetteva e allo stesso tempo la sua estrema necessità di essere rassicurata che quel parto sarebbe avvenuto e che lei avrebbe stretto la sua bambina. Ricordo le gambe che mi tremavano e tutti i muscoli del mio corpo erano tesi e immobili. Dopo la nascita mi sono ripresa e, guardare quella mamma con la sua bambina che si guardavano fisse negli occhi, mi ha riempito di gioia e gli occhi si sono inumiditi un po’. Ammetto che questa sensazione mi pervade sempre: sono sguardi colmi di intensità, eloquenti più di tutte le parole che si possono pronunciare. Occhi che suscitano emozione e rendono coscienti dell’enorme avvenimento compiuto.
Riusciresti a descrivere l’atmosfera della sala parto?
La sala parto è una cameretta arredata semplicemente, con armadi chiusi, in modo che tutti gli strumenti non siano visibili, e un letto grande, in alcune sale parto sono presenti poi palle, lenzuola, funi, materassini, a volte anche la vasca. Tutto a disposizione della mamma. Nulla di particolare da descrivere finché non vi si entra nel momento in cui si è in travaglio. Allora tutto prende una forma nuova: ci può essere musica, luce soffusa, oppure può essere una silenziosa stanza in cui il tempo è scandito dal ritmo veloce del cuore nel nascituro sul monitor del cardiotocografo. Tutta la concentrazione è focalizzata sulla mamma, anche lei stessa si concentra su di sé. Diventa un ambiente caldo e arredato di emozioni, ora più forti ora più attenuate, una camera che ogni mamma dispone come vuole, usando quello che le serve per vivere al meglio il suo travaglio.
Quali sono i timori più diffusi tra le donne che diventano mamme per la prima volta?
Ogni mamma ha le sue preoccupazioni, perché in travaglio si porta tutte se stesse, quindi, anche quelle questioni che si pensava fossero risolte, in quel momento tornano a galla. Sicuramente la frase che tutte le mamme dicono, col terrore che si legge nei loro occhi quando il momento cardine si avvicina, è: “non ce la faccio!” La paura che quel compito sia troppo grande per loro. Ma la cosa ancora più grandiosa è vedere come tutte si trasformano in leonesse e con tutte le loro forze compiono quel passo che le porta a diventare mamme e tenere tra le braccia quel fagotto nudo e bisognoso di protezione.
Come cercate di mettere a proprio agio le partorienti?
Prima di tutto ascoltandole. Ci sono donne che hanno bisogno solo di una presenza muta al loro fianco, donne che invece desiderano un sostegno fisico oltre che emotivo, donne che apparentemente non si curano affatto della presenza di altri perché quello che cattura la loro attenzione è il momento che stanno vivendo e stanno semplicemente ascoltando sé stesse. Noi dobbiamo imparare a stare con tutte queste donne, chiedendo loro cosa sentono e cosa desiderano.
L’ascolto e la fiducia in quella mamma ci permette di essere a nostro agio nella sala parto, e far sentire la donna in un ambiente confortevole e protetto, il nido adeguato alla nascita del proprio figlio.
È facile mantenere distacco emotivo in un evento così particolare?
Assolutamente no. Penso di non riuscirci pienamente, tanto che mi capita spesso di sentire gli occhi umidi, ma sono scosse di vita, schiaffi di realtà così di impatto che non voglio correre il rischio di lasciarmeli sfuggire. È un entrare in empatia che risveglia l’umanità, anche, e soprattutto, di chi assiste. Questo non vuol dire essere meno professionali, ma più umani nella propria professionalità.
Quale è il tuo augurio oggi alle neo-mamme?
Ascoltatevi (penso che questo verbo racchiuda quello che serve: sapete cosa fare e come farlo) e ascoltate il vostro bambino, lui sa cosa vi chiede e sa di cosa ha bisogno. Secondo me, soprattutto nei primi mesi, questa è la chiave per cominciare una relazione ottimale.
Vi auguro inoltre di poter avere un ricordo positivo dell’inizio dell’avventura più grandiosa che ci è concesso di intraprendere: la vita.
*siamo consapevoli che esistano altre forme di genitorialità. Ad esse saranno sicuramente dedicati altri approfondimenti in futuro.
**Il Corso di laurea in Ostetricia del nostro ateneo è stato recentemente confermato da Unicef "Amico dell'allattamento"