Gli animali ridono? La scienza dice di sì - Bnews Gli animali ridono? La scienza dice di sì

Gli animali hanno il senso dell’umorismo? E se sì, come lo manifestano? A chiederselo è stato un gruppo di ricerca, composto da Maria Elide Vanutelli del dipartimento di Psicologia dell’Università di Milano-Bicocca, insieme a due colleghi dell’Università di Zurigo, Mirella Manfredi e Moritz Daum: secondo i ricercatori, c’è qualcosa in comune tra la nostra risata e quella degli altri animali nei quali esistono forme di umorismo, che rappresentano una vera forma di comunicazione. Il nuovo studio, pubblicato su Neuroscience Letters, è una revisione critica della letteratura scientifica sull’argomento e propone un nuovo modello teorico di lettura di alcuni comportamenti, umani e animali, riconducibili alla motivazione giocosa/umoristica.

«Il nostro modello si chiama prospettiva SPeCies dove SPeCies sta per Social, Physiological and Cognitive Perspective: è nato in base alle evidenze raccolte per contestualizzare il comportamento animale legato all'umorismo», spiega Vanutelli, intervenuta di recente anche in un articolo del Washington Post. «Abbiamo così ipotizzato che ci siano tre diversi fattori capaci di concorrere a spiegare la complessità del fenomeno attraverso la loro interrelazione o interdipendenza. L’umorismo può essere la risposta a una situazione di stress, un modo per scaricare la tensione, oppure una reazione a un momento particolarmente equilibrato in cui l’animale si concede un momento di svago e di divertimento. Ma non solo: c’è un fondamentale aspetto cognitivo per cui il tipo di umorismo dipende dalle capacità cognitive dell’animale».

Ma perché è così importante studiare il senso dell’umorismo? L’umorismo è un costrutto sociale complesso, sia dal punto di vista cognitivo che affettivo, e studiare come si sviluppa e manifesta può aiutarci a capire molto di più su come gli esseri umani e gli animali rappresentano il mondo. Ma con una precisazione: «La presenza di abilità cognitive e sociali sofisticate - come la teoria della mente (cioè la capacità di attribuire ad altri individui stati mentali, credenze, intenzioni e desideri) - è ancora molto dibattuta quando si tratta di altre specie», dice Maria Elide Vanutelli. «Studiando comportamenti come il gioco e gli scherzi diventa chiaro che per molte abilità il confine tra esseri umani e animali non umani è molto meno netto di quanto pensiamo, e questo può avere implicazioni molto significative anche da un punto di vista etico».

Difficile però è capire come ridono gli animali. A questo proposito, nella loro rassegna, Vanutelli e colleghi riportano uno studio in cui è stato chiesto a cento studenti universitari di ascoltare registrazioni di risate di scimpanzé e di indovinare che tipo di suoni emettessero. Di questi, solo due studenti hanno identificato correttamente le vocalizzazioni come risate. Gli studenti hanno confuso la risata con altre forme di vocalizzazione, come l'ansimare, vocalizzazioni sessuali, attacchi d'asma o altri suoni provenienti da fonti non naturali, come gli attrezzi da lavoro.

Quando si parla di risate nel regno animale bisogna dunque evitare un approccio antropocentrico, cioè utilizzare il comportamento umano come modello per il comportamento degli animali non umani. Insomma, gli animali (parliamo soprattutto di mammiferi, ma anche di alcuni uccelli) ridono attraverso tutta una serie di vocalizzi che producono in un contesto ludico.

Alcune specie, per esempio, durante il gioco di lotta emettono vocalizzazioni molto simili, nella modalità, alle risate degli umani. E a sostegno di ciò, è stato dimostrato che oranghi, gorilla, scimpanzé, bonobo e neonati umani “ridono” durante il gioco. «Inizialmente le vocalizzazioni erano legate all'affaticamento durante il gioco», specifica la ricercatrice. «Si ansimava cioè per la fatica e il movimento, mentre poi con il tempo sono diventate uno strumento sociale/comunicativo per far capire agli altri individui "guarda che non sono serio, sto solo giocando"».

Il paper di Vanutelli e colleghi ipotizza inoltre che esista una continuità filogenetica tra l'umorismo umano e quello animale, suggerendo cioè un'origine evolutiva comune. Il fattore più importante che sembra differenziare l'umorismo negli esseri umani e negli animali non umani è proprio quella capacità di attribuire stati mentali ad altri, come si diceva prima. Se gli animali possiedano o meno questa capacità è ancora fonte di grande dibattito all'interno della comunità scientifica. Senza dimenticare un elemento fondamentale, ovvero il fattore individuale: «La specie ci dice quali sono i comportamenti determinati dall'evoluzione in base alle necessità, ma poi c'è anche una variabilità individuale da considerare: ci saranno individui più o meno motivati a fare scherzi e "ridere", un po' come accade per noi…», conclude Maria Elide Vanutelli.

Nello figura qui sotto, la prospettiva SPeCies elaborata dalla nuova ricerca (in basso, la spiegazione).

Schema umorismo animali

Nello schema sopra, emergono le tre componenti del modello SPeCies applicato all'umorismo: la prima (I) è quella etologica, che determina se una certa specie ha o non ha una motivazione sociale, ossia ha interesse a costruire rapporti interpersonali con altri individui al di fuori della famiglia o di un contesto riproduttivo. Una bassa motivazione, come può accadere per esempio nel gatto che è un animale solitario, renderà meno probabile lo sviluppo di comportamenti legati all'umorismo, mentre un'altra motivazione (primati, elefanti, umani...) la favorirà.
A destra abbiamo la terza componente, quella fisiologica (III), che indica in quali condizioni si manifestano i comportamenti umoristici. Questi, infatti, si manifestano quando siamo in una condizione di equilibrio, ossia non ci troviamo di fronte a minacce o pericoli, e non abbiamo necessità di espletare funzioni vitali (come per esempio procacciare il cibo per placare la fame). Tuttavia, può accadere che dei comportamenti umoristici possano accadere anche subito dopo un evento stressante, per scaricare la tensione e ripristinare uno stato fisiologico più equilibrato e positivo.
A sinistra, infine, c'è la seconda componente, quella cognitiva (II), che differenzia tipologie diverse di umorismo di crescente complessità in base alla sofisticatezza delle competenze cognitive. Si parte, dunque, dal solletico e dai giochi di lotta, agli scherzi, fino alle incongruenze (per esempio usare una banana come telefono), e infine ai giochi di parole, all'ironia e al sarcasmo.