Anche questo Natale torna “Una poltrona per due”. Perchè? - Bnews Anche questo Natale torna “Una poltrona per due”. Perchè?

Gli italiani sono da sempre abituati a dividersi in categorie anche in occasione delle festività natalizie

  • pandoro o panettone?
  • cenone il 24 o pranzo il 25?
  • ​i regali li porta Gesù Bambino o Babbo Natale? Tralasciamo quelli di Santa Lucia altrimenti sembriamo un Paese troppo frammentato.

Fortunatamente c’è qualcosa che da qualche anno riesce a mettere d’accordo quasi tutti. C’è una nuova tradizione che si è affermata grazie ai palinsesti televisivi. Si tratta della visione, la sera della vigilia di Natale, di uno dei più improbabili tra i film catalogabili come classici natalizi: Una Poltrona Per Due. Il film comico del regista John Landis, con Eddie Murphy e Dan Aykroyd, nell’immaginario collettivo ha scalzato dal ruolo di film natalizio le pellicole più classiche come Miracolo nella 34° Strada e ha resistito alle storie più moderne come Il Grinch o Nightmare Before Christmas. La professoressa Emanuela Mancino (Filosofia dell'educazione) ci aiuterà a comprendere il perché di questo fenomeno


In realtà non è un’abitudine così “recente” quella di accendere la televisione la sera della vigilia e dividere le proprie reazioni tra i sorrisi con cui accogliamo una tenerezza che non ci eravamo accorti di attendere e le smorfie con cui accompagniamo il pensiero “ancora? anche quest’anno?”. La tv on-demand e i canali a pagamento ci hanno educato a scelte di visione sempre più intenzionali e quindi la programmazione televisiva potrebbe in parte aver perso il proprio mordente, ma sembrerebbe non aver smarrito il proprio potenziale di narrazione collettiva, aggregante e comunitaria.

In passato ogni anno il Natale era accompagnato da narrazioni televisive che si ripetevano, c’era Bambi, Nuovo cinema Paradiso, Canto di Natale, Family Man. Per molti anni c’è stato anche il Piccolo Lord. I buoni sentimenti, il sapore consolatorio dell’azione di un bimbo angelico che ammansisce il cuore di un nonno ruvido e distaccato, hanno ceduto ora il passo alla risata di Eddie Murphy che rivisita in salsa edonistica (stile anni ’80) la favola del Principe e il povero di Mark Twain. Entrambe le storie producono però lo stesso effetto: creano nostalgia. Se in un caso la nostalgia riguardava le relazioni familiari e i legami affettivi, in Una poltrona per due alla nostalgia si aggiungono altri ingredienti.

Il film, sulle note di Le Nozze di Figaro, entra anche acusticamente nelle case e in poche battute abita quello spazio che sempre consola venga riempito: quello del classico, della tradizione, di ciò che si ripete uguale a sé stesso. La nostalgia viene subito lenita dalla favola: una storia deve essere sempre raccontata allo stesso modo, una storia che pacifica, che dona quel piacere narrativo proprio di ciò che si conosce già ma che si riscopre ogni volta, sentendo non già la novità, quanto il proprio attivo ricordo, la propria partecipazione in quanto narratori e spettatori. Il film in questione però non è solo una favola, non ha solo un lieto fine.

Il regista ci propone temi scomodi che vengono svolti mentre noi siamo comodamente seduti sulle nostre poltrone e sui nostri divani natalizi.

La natura umana, l’ingiustizia sociale, la crudeltà e la solidarietà, il conflitto tra cultura e natura sono dimensioni esistenziali che si dipanano nella trama. L’avvio narrativo è una spietata scommessa: è possibile pensare che esistano persone predisposte al successo ed altre alla delinquenza? Quanto influisce l’ambiente e l’educazione nel determinare le azioni, le finalità ed i valori degli individui? Saranno due annoiati e facoltosi fratelli a sconvolgere le vite di un agente di cambio e di un senza tetto, al fine di verificare le rispettive convinzioni. Billie Ray, povero e vagabondo, si troverà a vivere la vita di Louis, che, a sua volta, perderà tutto, soldi, fidanzata, agio, ruolo sociale. Le vicende di sostituzione e inversione produrranno l’intreccio narrativo che poi si scioglierà nell’alleanza dei due protagonisti mossi dalla vendetta della sadica manipolazione dei due fratelli. Il tutto si svolge all’ombra di investimenti in borsa, speculazioni e inganni.

La storia ha il suo perno nella centralità di un tema che Aristotele, nella Poetica, chiama anagnorisis: il personaggio transita da una condizione di ignoranza ad una di conoscenza o di riconoscimento (questo spesso si verifica sia nella tragedia, ma ancor più nella commedia) e da questo passaggio si origina un legame che può chiamarsi di amicizia o connotarsi come ostilità. Le due vittime scopriranno infatti la ragione delle loro alterne fortune ed apprenderanno di esser stati trattati da veri e propri burattinai della sorte.
Il tema del riconoscimento si avvale di un meccanismo narrativo proprio della commedia classica e ricorrente in ambito letterario: il topos del rovesciamento. La sovversione o l’inversione possiede una indubbia vis comica e produce confusione, riflessione, ironia, scene grottesche, amare e divertenti. Permette, soprattutto, di sostituirsi alla vita di un altro, di “mettersi nei panni altrui” attraverso la sostituzione.

Vivere la vita di un altro può essere un sogno, nel caso l’altro sia felice, abbia successo, benessere… ma se l’altro vive tra svantaggi sociali, disagi esistenziali, difficoltà, la sostituzione assume tratti ben diversi.

Ma c’è dell’altro. La condizione di chi da un momento all’altro perde tutto è un segno del nostro quotidiano. Così come il desiderio di conquistare in breve tempo una posizione di vantaggio è un desiderio che alimenta, per esempio, la dilagante fenomenologia dell’azzardo.
La nostalgia trova conforto nell’avere una casa in cui guardare un film o scegliere di non guardarlo, nelle feste di fine anno. La nostalgia che aleggia nel nostro tempo è una nostalgia di un’esperienza durevole. Il film mette in scena lo spaesamento, la perdita di ciò che vorremmo immutabile e che ogni tradizione cerca di restituirci come costante. Ci racconta un nomadismo collettivo con cui non possiamo non confrontarci: le nostre molteplici appartenenze, la nostra fluida, incerta, delicata e liquida identità hanno bisogno di un racconto che ci conservi come comunità, che ci faccia almeno far finta di vivere un’esperienza condivisa. Sentirsi nomadi, spaesati, persi, senza una dimora perché potremmo essere al posto di un altro, fa paura.

L’inatteso spaventa. Oppure è proprio ciò che si sta segretamente aspettando, il ventiquattro dicembre?

FOTO: imdb