Viaggio nella didattica targata Bicocca - Bnews Viaggio nella didattica targata Bicocca

Anno 1998, data di nascita di Milano-Bicocca. Con i primi dipartimenti e i primi corsi di laurea, iniziava così la storia del nostro Campus.
Da allora, tanta strada è stata fatta: la ricerca e la didattica sono diventati negli anni gli elementi fondanti dell’Ateneo, contribuendo entrambi ognuno per il suo ruolo agli eccellenti risultati testimoniati dai ranking universitari, nazionali ed europei.
Quali sono oggi le sfide formative da affrontare? E quali armi abbiamo e dobbiamo usare per vincerle? Lo abbiamo chiesto a Paolo Cherubini, prorettore per la didattica e docente di psicologia generale.

Professor Cherubini, internazionalizzazione, forte legame con le imprese del territorio, e supporto economico agli studi, sono i tre focus attuali dell’intera offerta formativa targata Bicocca. Sarà questa la rotta già tracciata per i prossimi anni, quindi?

Sì, ma c’è ancora da lavorare su tutti questi fronti.  Penso all’internazionalizzazione: negli ultimi anni abbiamo fatto grandi progressi grazie a poche misure molto concrete. Ora occorre continuare con il sostegno economico agli studenti che vanno all’estero, con l’aumento dei bandi per la mobilità, e con l’aumento dei corsi di studio internazionali.
Per quanto riguarda il rapporto con il territorio, i singoli corsi di studio hanno bisogno di accordi specifici e convenzioni di co-didattica partecipativa con le aziende e le imprese che potranno assumere i loro laureati. Molti corsi si sono già impegnati su questo, e altri li stanno seguendo.
Alla base di tutto, occorre che il reddito non sia un discrimine per i potenziali studenti motivati e meritevoli. Abbiamo già il sistema di tassazione più equo d’Italia, con progressività perfettamente lineare, con le tasse tra le più basse del nord Italia per i redditi fino a medio alti, e con la no-tax area elevata a 21000 euro di ISEE (l’indicazione di legge è 13000 euro).
Oltre a questo, abbiamo già uno dei più capienti sistemi di diritto allo studio per l’erogazione di borse e altri sussidi.  Continueremo con convinzione a investire su basse tasse, numerose borse di studio, e ampliamento delle disponibilità residenziali.

Quali sono secondo lei le nuove sfide formative che ci attendono? Quali azioni concrete l’Ateneo pensa di mettere in campo per vincerle?

Il web 2.0 non ha cambiato solo il mondo della produzione, ma anche gli studenti e le loro modalità di comunicazione e di apprendimento. Noi docenti non sempre siamo in grado di adattarci con la dovuta rapidità.
 Su questo le governance universitarie devono proseguire su due linee strategiche. Da una parte continuare la pressione politica per rendere più flessibili alcune norme eccessivamente rigide e non al passo coi tempi sulla costruzione e certificazione dei percorsi di studio. Dall’altra, continuare l’azione  interna (verso CdS, docenti, amministrazione, rappresentanze studentesche) per aggiornare gli obiettivi di apprendimento, dare sempre più peso alle competenze sia disciplinari sia trasversali, investire nelle occasioni di long life learning a disposizione del personale docente e amministrativo, offrire un supporto strutturale e amministrativo concreto per le “short cycle qualifications” (master, perfezionamenti, corsi a sportello), che sempre di più intercettano e intercetteranno la richiesta di formazione avanzata in chiave professionale.
Dove siamo solo ai primi passi nel miglioramento è sul tema delle “short cycle qualifications”.
Se fatto bene, si tratta di un investimento maggiore (sia che si pensi a un centro master, a una business school, a un polo di alta formazione, a una piattaforma telematica potenziata, o a tutte le cose insieme), e potrà richiedere tempi medio-lunghi. 

Nuove metodologie didattiche: perché è importante innovare la didattica?

La prima ragione, per noi docenti, per innovare i nostri stili didattici e per imparare l’uso di strumenti per potenziare digitalmente la didattica è il cambiamento di stile di apprendimento degli studenti. Il nostro obiettivo non è infatti “insegnare” ma “supportare l’apprendimento” dello studente che dev’essere attivo nell’apprendere. Noi docenti gli mettiamo a disposizione parte di quello che gli serve, e lo indirizziamo nel cercare il resto. La seconda ragione è che la composizione del corpo studentesco è cambiata: li chiamiamo ancora “studenti atipici”, gli studenti adulti, i lavoratori, o chiunque altro non sia lo studente che fresco di diploma si sia iscritto all’università. Ma sono sempre meno “atipici”, perché son sempre più numerosi.
La didattica digitalmente supportata significa affiancare all’imprescindibile rapporto diretto tra docente e studente, necessario per appassionarlo alla materia e motivarlo all’approfondimento, piattaforme digitali interattive dove tutti gli studenti, compresi quelli “atipici”, trovano materiali, testi, esercizi, software, simulazioni, registrazioni di lezioni, e occasioni per interagire con altri studenti, con tutors, e con i docenti al di fuori dello spazio-tempo circoscritto all’aula-ora di lezione.
Il nostro progetto “aule hi-tech” persegue quell’obiettivo. Unico in Italia, entro il 2020 equipaggerà con il meglio della tecnologia per il supporto della didattica tutte le nostre aule e la nostra piattaforma digitale. Ovviamente ogni nuova “arma tecnologica” richiede un suo manuale d’istruzione per cui il primo corso di formazione per docenti su come usare al meglio le nuove tecnologie partirà tra pochi giorni.

ll MIUR ha valutato eccellenti 11 dipartimenti  Bicocca su 14. Si può dire che ricerca e didattica sono sempre più interconnesse?

Sì, si può dire e anzi bisogna dirlo, ma sarò iconoclasta in questo: la ragione principale perché ricerca e didattica sono sempre più interconnesse non è che se in un luogo si fa ricerca di avanguardia, allora in quel luogo si possono insegnare quelle ricerche d’avanguardia.
Prima di tutto, perché le ricerche di avanguardia si possono e si debbono far apprendere soprattutto al Dottorato, e non nei corsi di laurea. In secondo luogo, perché la diffusione dei risultati di ricerca è globale: posso e devo insegnare cose scoperte molto lontano dai nostri laboratori, e soprattutto non devo insegnare solo o principalmente le cose su cui ho fatto ricerca direttamente io.
Perché ricerca e didattica sono interconnesse allora? Perché entrambe, prese nell’insieme, sono il più bel pas de deux intellettuale che esista: capire e far capire. Nel fare ricerca dobbiamo prima di tutto capire molto bene quanto hanno capito altri, e solo poi svilupparlo.
Capire molto bene vuol dire non solo leggere e studiare, ma rifare, ricostruire, spiegare.
Solo quando riesci a spiegare bene qualcosa l’hai veramente capita. E spiegare bene qualcosa vuol dire fare didattica. Ecco perché buona ricerca e buona didattica sono interconnesse.