Possono offrire un valido aiuto per la cura e il recupero della memoria nei pazienti affetti da malattie neurodegenerative. Permettono di potenziare le capacità cognitive e di misurare le performance del nostro cervello durante l’attività lavorativa. Sperimentazioni animali hanno dimostrato che sono in grado anche di cancellare i ricordi e di introdurne di nuovi. Si tratta di una famiglia di tecnologie molto avanzate, conosciute come neurotecnologie. E per quanto le loro potenziali applicazioni possano evocare scenari distopici, in realtà, molti device in grado di leggere i segnali del nostro cervello sono già disponibili sul mercato, alla portata di qualsiasi consumatore.
Ne abbiamo parlato con chi queste tecnologie le studia nei laboratori e nelle aule dell’Ateneo: Francesca Gasparini, docente di Informatica del dipartimento di Informatica, sistemistica e comunicazione dell’Università di Milano-Bicocca e Marta Maria Sosa Navarro, ricercatrice di Diritto internazionale del dipartimento di Scienze economico aziendali e diritto per l’economia.
Professoressa Gasparini, a cosa ci riferiamo quando parliamo di neurotecnologie?
Con neurotecnologie si intendeno quei dispositivi tecnologici che permettono di registrare e interpretare i segnali provenienti dal cervello umano, eventualmente andando anche a modificarne l’attività.
Una delle applicazioni più interessanti riguarda le interfacce cervello-computer (Bci - Brain Computer Interfaces), dove è possibile far dialogare il nostro cervello direttamente con il computer o con un altro tipo di dispositivo. Si tratta fondamentalmente di lettori di onde cerebrali installati su diverse tipologie di supporti che possono essere rappresentati da piccoli caschetti o cuffie dotati di elettrodi, fino a strumenti molto più sofisticati che necessitano di una grande potenza di calcolo.
In quali campi vengono utilizzate?
Possiamo fare una distinzione tra neurotecnologie utilizzabili sotto il controllo medico, o in ogni caso di personale qualificato, le cui applicazioni riguardano soprattutto l’ambito medicale, della riabilitazione e del supporto alle disabilità. E neurotecnologie con finalità ludiche, meno costose e indossabili e portatili.
Per fare qualche esempio relativo al primo caso, le tecnologie BCI oggi consentono di interpretare i pensieri relativi ai movimenti che una persona intende compiere, ciò permetterebbe a un paziente che non è in grado di camminare di comandare in autonomia una sedia a rotelle. A questo proposito, però, occorre fare una precisazione. Esiste un trade-off tra ciò che è possibile fare dal punto di vista computazionale e cosa è possibile fare nella pratica.
Ci spieghi
È vero che teoricamente una persona potrebbe comandare in autonomia una sedia a rotelle ma avrebbe bisogno di avere al seguito strumenti di acquisizione del segnale e per l’analisi molto sofisticati e ingombranti. In uno scenario di laboratorio, dove vi sono macchine di calcolo adeguate e strumenti di alta qualità, in grado di rilevare molto bene il segnale, le cose che è possibile fare sono davvero straordinarie. Quando si passa all’utilizzo nella vita quotidiana, non supportato da personale specializzato e senza avere a disposizione strumentazione adeguata e tutta la potenza di calcolo necessaria, tutto questo non è ancora realmente fattibile. Ma si tratta di una prospettiva realistica, verso la quale si sta andando molto velocemente.
Quali strumenti sono già disponibili sul mercato per uso domestico?
Esistono delle bande - una sorta di cerchietti - disponibili online e utilizzate per interagire con il computer a scopo ludico, per esempio, per controllare un avatar in ambiente di gioco. Questi dispositivi necessitano normalmente di una fase di calibrazione sulla persona che consente al sistema di interpretare e riconoscere i segnali dell’utente. A quel punto è possibile iniziare a giocare.
Teoricamente è possibile anche guidare i droni con le neurotecnologie.
In questo momento storico, c’è una grande vivacità attorno a queste applicazioni, soprattutto verso la possibilità di portarle nelle case delle persone.
Ed è attorno a questa prospettiva che si pongono le principali questioni di carattere etico e giuridico: professoressa Navarro, è così?
Esatto, a fronte del grande sviluppo delle neurotecnologie ci si interroga sul ruolo del diritto. Fondamentalmente esistono due correnti di pensiero tra i giuristi. La prima sostiene che sia necessario creare nuovi diritti - i neurodiritti - in grado di tutelare la persona da potenziali violazioni derivanti dall’utilizzo delle neurotecnologie. La seconda, invece, sostiene che questo non sia necessario e che sia sufficiente interpretare e aggiornare i diritti esistenti. Secondo chi abbraccia questa tesi, la continua creazione di nuovi diritti può minare l’efficacia degli stessi.
Quali sono i diritti a rischio?
I diritti in discussione riguardano la privacy, l’identità, la dignità, il libero arbitrio fino all’accesso al potenziamento cognitivo. A livello di privacy, per esempio, il problema che si pone per il consumatore è: di chi sono i dati che vengono raccolti tramite le neurotecnologie e da chi si viene tutelati?
Un’altra questione aperta riguarda l’uguaglianza di fronte all’accesso a queste tecnologie: occorre tenere conto del fatto che in alcuni casi queste possono essere costose e che il loro utilizzo può richiedere competenze di un certo livello: il rischio è di aumentare il digital divide.
A che punto siamo con la regolamentazione?
Il Cile rappresenta il caso più importante tra i pochi Paesi che si sono portati avanti regolando questi diritti: la scorsa primavera è stata approvata la riforma costituzionale che tutela l’integrità mentale come diritto umano fondamentale. Ma il Cile non è stato immune alle critiche di chi ritiene non necessario regolamentare una fattispecie che ancora non esiste concretamente.
La Francia ha apportato delle modifiche al codice civile per tutelare questi diritti e anche la Spagna si sta muovendo in questa direzione. Più in generale, in Europa, abbiamo il GDPR ma non è ancora chiaro se sia sufficiente per proteggerci dai rischi derivanti dall’uso delle neurotecnologie fuori dell’ambito medico. Rimane da capire anche se la protezione attuale dei diritti umani (Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e Patti Internazionali, Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea; Carta Interamericana dei diritti dell’uomo, tra gli altri) può essere interpretata in modo da tutelarci dai rischi che derivano dall’utilizzo delle neurotecnologie: potrebbe non essere necessario creare diritti specifici ma aggiornare e interpretare quelli esistente alla luce del contesto e delle sfide attuali.
Esistono altre questioni aperte?
Gli esperti si interrogano sulla tutela della salute: non conosciamo l’impatto di queste tecnologie sul cervello umano che è molto plastico e complesso. Mentre la possibilità di manipolare i pensieri e i ricordi complessi non è imminente, è già possibile decodificare parte della attività mentale e quindi decifrare pensieri semplici. L’uso potenziale che si può fare delle neurotecnologie è molto ampio e se ciò che si sta sperimentando in ambito medico arriva al consumatore, occorre tenere conto della possibilità che queste offrono di modificare il pensiero e l’identità. La tutela di questi diritti possiede una componente etica molto importante perché per la prima volta è in discussione la possibilità di modificare il cervello, con tutto ciò che quello implica.