Ribelli e indipendenti. Storie di donne rinchiuse nel manicomio di Como - Bnews Ribelli e indipendenti. Storie di donne rinchiuse nel manicomio di Como

Ribelli e indipendenti. Storie di donne rinchiuse nel manicomio di Como

Ribelli e indipendenti. Storie di donne rinchiuse nel manicomio di Como
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A poco più quarant’anni dalla riforma Basaglia, che ha disposto la chiusura dei manicomi, la fine di una legislazione speciale e la restituzione dei diritti civili ai ricoverati, riemergono i volti e le storie di donne che in questo luogo hanno consumato la loro esistenza o parte di essa. Ecco in 50 pannelli le vicende manicomiali di Chiara, internata per depressione, di Enrica, legata al letto per placare il suo carattere collerico, e della piccola Carolina, “pericolosa per sé e per gli altri”, per la quale si richiede il ricovero all’età di soli 14 anni. Rinchiuse perché ribelli, troppo precoci o intelligenti, sensuali e disubbidienti, non sottomesse alle violenze fisiche o psicologiche delle famiglie e della società, ma anche perché deboli, indifese o solo povere.  
Gin Angri ha documentato con i suoi scatti l’idea di devianza femminile, i cambiamenti sociali ed economici, l'evoluzione della cura della malattia mentale e del linguaggio psichiatrico, e ha ricomposto la vita e la dignità delle donne ricoverate attraverso lo spoglio di quasi 42mila cartelle cliniche del vecchio manicomio di Como e l’uso sapiente delle fotografie in esse contenute. Un modo per riflettere, attraverso storie individuali, su come per anni la società ha guardato alla malattia mentale.

Per meglio avvicinarci alla mostra, abbiamo posto alcune domande a chi è coinvolto nel progetto: Gin Angri, il fotografo e curatore, Paola Zocchi, storica e archivista della Bicocca che da anni segue le attività del centro ASPI - Archivio storico della psicologia italiana, e la storica della psichiatria Candida Carrino, che interverrà all’inaugurazione per contestualizzare i documenti della mostra nel loro periodo storico.

Gin Angri ci racconta come è nato questo progetto di documentazione fotografica della condizione delle donne all’interno dell’Ospedale psichiatrico di Como?

L'istituzione psichiatrica è quasi un passaggio obbligatorio per la fotografia "sociale" fin dalle sue origini. Io avevo già realizzato sul tema servizi fotografici nell'ospedale psichiatrico di Maputo (in Mozambico) e a Imola, quando nel 1998  sono stato chiamato dalla direzione del dipartimento salute mentale di Como per tenere un "laboratorio fotografico" per un gruppo di degenti che con macchine usa&getta fotografando gli spazi del San Martino raccontavano la loro storia e la loro vita all'interno di quel manicomio.  Ho documentato poi le comunità psichiatriche che erano sorte sul territorio e nel 2006 sono entrato per la prima volta nell'archivio, rimanendo colpito dal ricchissimo patrimonio umano che era rinchiuso in quelle 42.000 cartelle (che partivano dal 1882, data di costruzione del manicomio). Nel 2008, con il poeta Mauro Fogliaresi, ho pubblicato il libro "Le stagioni del San Martino" e dal 2010 è iniziata l'avventura di "Oltre il giardino", rivista, e poi associazione onlus, nata all'interno del centro diurno malattie mentali di Como, la cui redazione è composta da utenti del servizio e da volontari. Con "Oltre il giardino" ho continuato le incursioni all'interno dell'archivio per raccogliere materiale sulla vita all'interno di quell’istituzione. Da qualche anno però tutto l'archivio è stato spostato, per ipotetici motivi di salvaguardia, prima a Parma e poi a Lodi, dove si trova tutt'ora. La ricerca, anche se con maggiore difficoltà, è comunque continuata e l'anno scorso abbiamo voluto dedicare il nostro lavoro soprattutto al mondo femminile del San Martino . Donne rinchiuse anche solo perché troppo precoci o intelligenti, sensuali o ribelli, o poco devote e non sottomesse, non amanti delle attività domestiche e oppresse dalle violenze imposte da famiglia e società. Nel quarantennale della riforma Basaglia, abbiamo così voluto dare ascolto alle grida silenziose di tante menti cancellate, 'curate' con l’isolamento dalla realtà e con la privazione dell'identità.

Come ha costruito il percorso espositivo, costituito da ritratti di grande impatto e storie dell’universo femminile attraverso frammenti delle loro cartelle cliniche, delle relazioni mediche e delle lettere indirizzate a parenti e fidanzati?

Nei 50 pannelli che compongono la mostra sono esposte circa 140 fotografie che partono da immagini storiche del 1916-1921 (la vita e il lavoro nel San Martino ad inizio del secolo scorso), per essere poi suddivise nelle tematiche che ci sono sembrate le più interessanti e descrittive dell’istituzione manicomiale: le condizioni socio-economiche, la descrizione delle diagnosi, le parole della follia, le lettere mai spedite e mai arrivate, il periodo storico, i trattamenti (elettroshock, malarioterapia, insulinoterapia…), per concludere con i volti delle “Donne cancellate”. Dal punto di vista fotografico ho cercato di dare “enfasi” ai documenti, con sfocature forzate e tagli particolari dell’immagine. Per motivi legati alla legge sulla privacy la ricerca è potuta arrivare solo fino al 1948 (70 anni da oggi).

Paola Zocchi, che legami ci sono tra i temi raccontati in questa esposizione e l’Università-Bicocca?

Il legame è quello degli archivi: per realizzare la mostra, infatti, il fotografo ha utilizzato le immagini delle cartelle cliniche presenti nell’archivio dell’ex Ospedale psichiatrico di Como. Ebbene, in Bicocca abbiamo documentazione per così dire complementare: dal 2005 è attivo il Centro di ricerca ASPI - Archivio storico della psicologia italiana, che ha raccolto nel corso degli anni ben 32 archivi di psicologi, psichiatri, neurologi e altri “scienziati della mente” vissuti in Italia tra Otto e Novecento. Molti di loro furono direttori di ospedali psichiatrici: Giuseppe Antonini, Luigi Lugiato e Alberto Madeddu diressero in periodi diversi il manicomio di Mombello, Giulio Cesare Ferrari fu direttore dei manicomi di Imola e Bologna, Arnaldo Pieraccini diresse quello di Arezzo. Nei loro archivi si trovano quindi materiali molto simili a quelli utilizzati per la mostra, come le perizie psichiatriche effettuate per i tribunali o gli appunti su casi clinici di pazienti privati. Per questo, visto il successo avuto dall’esposizione a Como, è sembrato naturale che l’Aspi si adoperasse affinché la Bicocca ospitasse le “Donne cancellate” del San Martino.

Professoressa Carrino, ci descrive brevemente la condizione delle donne ricoverate nei manicomi italiani tra ‘800 e ‘900, che lei ricostruisce nei suoi libri a partire da un attento lavoro di studio dei documenti archivistici originali?

La reclusione manicomiale era spesso determinata dalla perdita dell’equilibrio tra le aspettative e le attese del contesto sociale e le condotte e i contegni delle donne, che tradivano con la scelta di comportamenti altri, diversi dalle consuetudini, quanto ci si attendeva da loro. La decisione di rinchiudere in manicomio la moglie, la madre, la figlia era prevalentemente degli uomini della famiglia. Il manicomio era un luogo dal quale si usciva difficilmente in quanto altri uomini, i medici, dovevano decidere dell’avvenuta guarigione. Guarigione che non poteva avvenire in un contesto dove l’esacerbazione dei rapporti individuali, la conflittualità tra le ricoverate era altissima. La costrizione fisica mediante fascette di contenzione e giubbetti di sicurezza era all’ordine del giorno. Anche la punizione di una dieta di solo pane e acqua veniva usata come sistema per gestire meglio una popolazione che in alcuni periodi arrivava a toccare punte di migliaia di recluse. Le donne indossavano prevalentemente degli abiti larghi e lunghi di diverso peso a secondo delle stagioni; raramente biancheria intima. Venivano lavate con getti di acqua, spesso fredda, dopo averle fatte denudare.

Per saperne di più 

La mostra Donne cancellate rientra anche negli eventi del PhotoFestival #MiPF19 (dal 17 aprile al 30 giugno) rassegna internazionale di fotografia che si svolge annualmente a Milano.
L’esposizione è allestita nella galleria dell’edificio U6 accanto all’Aula Magna (con ingresso da piazza dell’Ateneo Nuovo, 1 o da via Piero e Alberto Pirelli, 22) ed è visitabile fino al 20 maggio da lunedì a venerdì dalle h. 8 alle h. 21.30 e il sabato dalle 8 alle 13.30

Eventi collaterali

Il 26 marzo, giorno dell’inaugurazione alle h. 17.30 in Sala Rodolfi (edificio U6 – 4° piano) si terrà l’incontro aperto al pubblico con i seguenti interventi: L’internamento delle donne in manicomio tra ‘800 e ‘900, Candida Carrino; Il San Martino di Como, un manicomio di frontiera, Gianfranco Giudice; Uno sguardo per riscattarsi, Roberto Mutti. Coordina Mauro Antonelli. Sarà presente il fotografo, Gin Angri. Seguirà la visita guidata alla mostra.

Il 9 aprile alle h. 17.30 ci sarà una visita guidata accompagnata da intermezzi musicali a cura della BigOrchestra dell’Università Bicocca.

Foto credits 3 e 4: Gin Angri