In Italia, secondo stime recenti, lo spreco alimentare ammonta a circa 8,2 milioni di tonnellate all'anno, posizionando il Paese al terzo posto in Europa dopo Germania e Francia. Capire perché sprechiamo è quindi più urgente che mai.
Non si tratta soltanto di una questione ambientale o economica: lo spreco alimentare riflette anche disuguaglianze e ingiustizie sociali. Su questo tema sta lavorando Francesca Di Napoli, dottoranda del dipartimento di Psicologia del nostro ateneo, che ha scelto di studiare lo spreco alimentare domestico con un approccio psicologico, all’interno del progetto del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) chiamato ONFOODS.
La sua ricerca unisce interviste e questionari per esplorare come valori, credenze e fiducia nelle istituzioni influenzino il nostro rapporto con il cibo. Un lavoro che guarda alla mente per cambiare il comportamento e, forse, anche le politiche per un sistema alimentare più equo e sostenibile.

Dott.ssa Di Napoli, cosa ci spinge davvero a buttare via il cibo? È solo distrazione o ci sono motivi più profondi dietro questo comportamento?
Le motivazioni dietro allo spreco alimentare sono tante, e non è sempre facile individuare le cause scatenanti. Prima di tutto dovremmo definire bene cosa si intende per spreco alimentare.
Lo spreco alimentare è tutto il cibo che, seppur ancora commestibile, non viene consumato e di conseguenza viene buttato. Parliamo quindi di spreco nei mercati e supermercati, nella ristorazione, nelle scuole, e ovviamente anche all’interno delle mura domestiche.
La perdita alimentare, invece, fa riferimento a tutto il cibo che appunto si “perde” in tutte le fasi precedenti alla vendita al dettaglio. Quindi, dalla produzione agricola e all’allevamento fino alla lavorazione e al trasporto, prima che il cibo arrivi sugli scaffali. È importante distinguere questi aspetti, nonostante entrambi abbiano un forte impatto ambientale ed economico. Come dicevo, si tratta di un tema molto complesso, perché i comportamenti che portano allo spreco alimentare sono tanti, e sono moltissime le decisioni che prendiamo giornalmente sul cibo: a partire da cosa mettere nel carrello del supermercato, a come gestire e organizzare il cibo in casa e a come cucinarlo e rielaborarlo.
Ci sono fattori emotivi e cognitivi, motivazioni e valori legati al cibo che differiscono da persona a persona. Per alcuni, il cibo è legato a un forte senso di gratitudine o a un momento di condivisione e ha perciò una forte connotazione emotiva. Altre persone sono maggiormente motivate dalla sostenibilità ambientale oppure dalla propria disponibilità economica. È chiaro che ci sia una componente di “distrazione”, che non è però una questione di “colpa”. La distrazione è dettata proprio dal fatto che compiamo infinite decisioni all’interno di una giornata, e moltissime di queste sono appunto legate al cibo. Non sempre facciamo la scelta più razionale e, soprattutto, non abbiamo sempre lo stesso obiettivo.
A volte evitiamo in tutti i modi di buttare via del cibo perché in quel momento è saliente per noi la perdita economica, o ci tornano in mente gli insegnamenti dei nostri genitori o dei nostri nonni. Altre volte, del cibo viene sprecato perché proprio non ci piace e non possiamo riutilizzarlo in nessun modo, o perché abbiamo controllato male i tempi di cottura e abbiamo rovinato un piatto.
Nel suo studio si parla di “ingiustizia alimentare”: può spiegarci cosa significa e perché è importante parlarne quando affrontiamo il tema dello spreco?
Il tema dell’ingiustizia mi è molto caro, e durante le interviste che ho condotto ho potuto notare che è un argomento saliente per molti partecipanti. Buttare nell’immondizia il cibo è spesso ricollegato all’educazione familiare, alla famosa frase che tutti abbiamo sentito pronunciare almeno una volta nella vita: “Mangia, ché ci sono i bambini che muoiono di fame”. Già da piccoli era difficile stabilire una connessione, perché, che io lo mangi o no, quel piatto di pasta davanti a me non andrà a sfamare nessun bambino dall’altra parte del pianeta.
Non è quindi immediato pensare al cibo come a una fonte di disuguaglianza, soprattutto perché nella nostra società il cibo è presente in grande abbondanza, eppure se mettiamo a confronto i dati, ci si presenta davanti una realtà triste e spaventosa: circa un terzo della produzione mondiale di cibo viene sprecata, mentre 343 milioni di persone si trovano in una situazione di severa insicurezza alimentare. Un andamento simile lo possiamo vedere anche in Italia: mentre circa 4.8 miliardi di euro all’anno vengono gettati nell’immondizia, 3 milioni di persone si trovano in una situazione di severa insicurezza alimentare.
Questa disparità è un sintomo di un sistema che produce più di quanto serve, ma non riesce a distribuire in modo equo ciò che produce. Questo è sempre più evidente ed è un tema che riflette una contraddizione che necessariamente ci spinge a farci domande di carattere etico. Domande a cui dobbiamo rispondere come collettività per creare un Paese e un mondo più giusti.
Ha intervistato molte persone per capire il loro rapporto con lo spreco: che tipo di storie o riflessioni sono emerse finora?
È stato interessante parlare con le persone e comprendere meglio il loro rapporto con il cibo e con lo spreco, e metterlo anche a confronto con quelle che sono le mie idee ed esperienze. Un aspetto che è emerso molto spesso è quello delle implicazioni etiche e sociali dello spreco e della disuguaglianza di cui parlavamo prima. Un altro aspetto è quello dell’impatto ambientale. In generale, pensare allo spreco come a un problema ambientale non è immediato, e forse si parla molto più spesso di altri problemi più facili da identificare e vedere con i nostri occhi, come lo scioglimento dei ghiacciai e l’innalzamento delle temperature. Nonostante non sia automatico il collegamento spreco-ambiente, quasi tutti i partecipanti riconoscono che ci sia uno stretto legame, e inseriscono lo spreco alimentare in quel “pacchetto” di problematiche da risolvere per vivere in un pianeta sostenibile, pulito e anche giusto.
Le problematiche ambientali sono spesso sentite con molta paura e preoccupazione per il futuro, soprattutto dai più giovani. È anche giusto dire, in una nota positiva, che tutti gli intervistati hanno raccontato anche tutte le loro azioni quotidiane per evitare lo spreco. In generale molti di loro hanno mostrato cura e attenzione verso il cibo.
Che ruolo hanno le istituzioni in tutto questo? Le persone si fidano delle politiche contro lo spreco o sentono di dover agire da sole?
Le istituzioni hanno un ruolo sicuramente fondamentale. Le iniziative, le leggi e le pratiche per la prevenzione dello spreco alimentare sono necessarie per garantire un miglioramento tangibile.
Generalmente, però, i partecipanti dei miei studi non riportano una grande fiducia nelle istituzioni. Soprattutto per quanto riguarda lo spreco alimentare, sentono di dover gestire il problema da soli, nel loro piccolo, e manca spesso una visione più ampia e generale. Manca forse un po’ il senso di una comunità che agisce all’unisono.
Cosa potrebbe cambiare davvero le nostre abitudini? Serve più informazione, più senso di responsabilità o qualcosa di diverso?
Sicuramente una comunicazione più efficace, un’educazione alimentare che non si impartisce e si conclude all’interno dell’ambito familiare, ma che attraversa la vita di ogni cittadino e cittadina. Questo potrebbe aiutare a far crescere la consapevolezza sul tema. Quello della responsabilità è un altro tema particolarmente importante per me.
Molte persone attribuiscono la responsabilità alle istituzioni e ai grandi supermercati. Molte altre invece hanno un fortissimo senso di responsabilità – e anche di colpa – e attribuiscono ai cittadini l’onere di risolvere il problema alimentare. La mia opinione è che ci debba essere un giusto bilanciamento di responsabilità.
Ogni persona ha il dovere di agire pensando alle conseguenze che le proprie azioni hanno sull’altro e sul pianeta. Ma allo stesso modo, la responsabilità e le conseguenze delle azioni di un singolo non sono comparabili con quelle di una grande multinazionale o di uno Stato. Bisogna attribuire la giusta responsabilità e i giusti oneri sulla base dell’impatto che ciascuno ha sul pianeta e sulla società.