“Nature Credits”: parte nel 2025 la roadmap europea dei crediti natura per avviare il mercato europeo della biodiversità - Bnews “Nature Credits”: parte nel 2025 la roadmap europea dei crediti natura per avviare il mercato europeo della biodiversità

“Nature Credits”: parte nel 2025 la roadmap europea dei crediti natura per avviare il mercato europeo della biodiversità

“Nature Credits”: parte nel 2025 la roadmap europea dei crediti natura per avviare il mercato europeo della biodiversità
crediti natura

La crisi climatica impone nuove strategie di sostenibilità, e tra queste sta emergendo un concetto innovativo: i “crediti natura”. Analoghi ai crediti di carbonio, ma più ampi nella loro applicazione, questi strumenti economici servono a quantificare e certificare i benefici derivanti dalla tutela o dal ripristino degli ecosistemi naturali – come foreste, zone umide, praterie e ambienti marini. Potrebbero diventare un mezzo efficace per finanziare la conservazione ambientale, coinvolgendo aziende e investitori in una transizione ecologica più profonda e sistemica.

Per approfondire il potenziale e le sfide legate a questo nuovo strumento, abbiamo intervistato Carla Gulotta, docente di diritto internazionale presso il Dipartimento di Scienze Economico-Aziendali e Diritto per l’Economia (Di.SEA.DE) del nostro ateneo.

Professoressa Gulotta, quali sono, secondo lei, i principali vantaggi e i rischi nell’introdurre strumenti di mercato come i crediti natura nella conservazione ambientale?

Nel contesto geopolitico attuale, nel quale il tema della tutela della natura rischia di essere oscurato dalla necessità di fare fronte alle ricadute economiche negative dei conflitti e della guerra commerciale in atto, il principale vantaggio di uno strumento che consenta alle imprese di convertire le attività positive per l’ambiente in valori negoziabili è quello di costituire un importante incentivo a intraprendere progetti a favore della biodiversità.

Inoltre, che l’iniziativa sia adottata a livello di Unione europea è quanto mai opportuno, considerato che già da alcuni anni il moltiplicarsi di schemi certificativi privati collegati a strumenti finanziari a sostegno della biodiversità e di alcuni progetti di carattere nazionale sta rendendo difficile per le imprese interessate - in primo luogo aziende agricole e proprietari di terreni - ma anche per gli investitori, istituzionali o privati, orientarsi tra le offerte già presenti sul mercato.

Come correttamente suggerisce la domanda, peraltro, l’iniziativa dell’Unione non è priva di rischi. Il più evidente è che il nuovo strumento proposto dalla Commissione possa venire utilizzato a fini di greenwashing, qualora le attività incluse nei crediti natura si rivelassero, in realtà, prive di ricadute positive sugli ecosistemi e sulla biodiversità.

Si tratta di un rischio serio, che sta già gettando ombre su uno dei due progetti pilota avviati in Europa, ciò che ha rafforzato l’esigenza di costruire una governance solida, che assicuri il rigoroso monitoraggio delle iniziative. Lo stretto legame dei crediti natura con attività e pratiche legate all’uso del suolo è alla base di una seconda tipologia di rischio. Mi riferisco alla possibilità che grandi imprese facciano pressioni su piccoli e medi proprietari terrieri o aziende agricole per farsi vendere terreni da adibire a progetti capaci di generare crediti natura. Anche in questo caso, è la struttura stessa della misura a poter ridurre il rischio di land-grabbing, prevedendo metodologie di certificazione che impongano che le attività capaci di generare i crediti contribuiscano sia ad assicurare la sicurezza alimentare dell’Unione sia ad evitare la speculazione fondiaria.

In che modo si garantisce la scientificità, la trasparenza e l'integrità nella misurazione dei benefici ecosistemici legati a un credito natura?

L’idea della Commissione – che, è importante sottolinearlo, non si è ancora concretizzata nella proposta di un atto normativo, ma soltanto in una serie di azioni preliminari – prevede due fasi procedurali distinte per l’emissione dei crediti.

La prima consiste nella valutazione delle azioni poste in essere dalle imprese sulla base di parametri e indicatori rigorosi, che dovranno essere riferiti allo specifico contesto e che, se soddisfatti, consentiranno di conseguire una certificazione. Solo dopo avere ottenuto la certificazione idonea, la specifica azione potrà essere incorporata in unità negoziabili sul mercato.

Per garantire l’affidabilità dei meccanismi di certificazione e definire una governance adeguata, la Commissione ha deciso di istituire un gruppo di esperti ispirato al principio della massima inclusività affidando alle loro diverse competenze l’elaborazione delle metodologie di certificazione, monitoraggio e governance. La stessa Commissione contribuirà con attività di ricerca, progetti pilota e mobilitando le infrastrutture europee, tra cui quelle per il monitoraggio geospaziale dell’Agenzia spaziale europea e del programma Copernicus.

Ci sono già esempi concreti, in Italia o all’estero, di progetti pilota o mercati volontari di crediti natura che ritiene particolarmente promettenti?

Il piano d’azione della Commissione è ancora nella fase preliminare. È quindi prematuro cercare casi di successo in un contesto in cui si stanno avviando progetti pilota, ad esempio nel settore della gestione forestale.

Quello che appare promettente è che la Commissione si stia muovendo nel solco dell’esperienza maturata con il mercato dei crediti di carbonio e in particolare del regolamento n. 2024/3212 sugli assorbimenti del carbonio e la carboniocoltura. Quest’ultimo atto normativo già prevede una rigorosa regolamentazione delle metodologie di certificazione che potrà fungere da modello per i meccanismi certificativi specifici ai diversi ecosistemi necessari per la generazione dei crediti natura. Il modello delineato dalla Commissione appare strutturato in modo da fornire garanzie di rigore scientifico e di coerenza rispetto ai valori dell’Unione.

Che ruolo possono giocare le università e i centri di ricerca, nello sviluppo di una governance etica e inclusiva per i crediti natura?

Il ruolo delle università e dei centri di ricerca è importantissimo e destinato a rimanere tale in futuro. In questa prima fase, le attività di ricerca possono contribuire a modellare il sistema, sia attraverso la partecipazione diretta di esponenti del mondo accademico al gruppo di esperti - la call della Commissione è ancora aperta - , sia grazie alle analisi e agli studi portati avanti spesso nell’ambito di gruppi multidisciplinari e a partecipazione mista pubblica e privata.

È in questo quadro che si inserisce, ad esempio, il Forum Nazionale della Biodiversità promosso dal National Biodiversity Future Centre - NBFC, che si è tenuto quest’anno nel nostro ateneo. Proprio il rapporto annuale dell’NBFC contiene la proposta di un meccanismo nazionale di “crediti per il ripristino della biodiversità”.

Parallelamente le università hanno il compito fondamentale di consolidare una cultura della sostenibilità, e in particolare il Master SiLFiM – Sostenibilità in Diritto, Finanza e Management dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca, affronta direttamente tematiche centrali al nostro dibattito come i sistemi di certificazione tramite un insegnamento dedicato, il contrasto al land-grabbing, i sistemi di scambio delle emissioni di tipo ETS Emissions Trading Systems, gli investimenti e la finanza sostenibile. Queste attività accademiche contribuiscono a consolidare una cultura professionale capace di affrontare con competenza e rigore gli strumenti innovativi come i crediti natura.