“Namasté” è un gioco che può essere utilizzato per introdurre i bambini, fin dall’età prescolare, alla partica e alla filosofia dello yoga. Le carte e i dadi di cui è composto possono dar vita a 5 diverse attività di movimento, semplici e coinvolgenti. Sono presenti le più rappresentative posizioni dello yoga, adatte per un primo approccio da parte dei più piccoli, ed è prevista la figura di un “Maestro” che decreti il passaggio del turno tramite il suono di un gong. Oltre al materiale di gioco, la confezione contiene un libro con la descrizione del metodo “giocayoga” per l’introduzione allo yoga.
Lorena Pajalunga, inventrice di questo gioco, è presidente di AIYB (Associazione Italiana Yoga per Bambini) ed è doppiamente legata al nostro ateneo. Si è laureata in Bicocca ed ora insegna presso il Dipartimento di Scienze della Formazione: tiene infatti il laboratorio di Pedagogia del Corpo. Incuriositi dai legami tra la pedagogia classica e questa disciplina che viene da lontano, abbiamo deciso di fare qualche domanda alla docente.
In che modo l’introduzione dello yoga in contesti educativi può giovare allo sviluppo fisico e psichico dei bambini?
Lo yoga è una disciplina millenaria, la cui peculiarità è quella di farci comprendere che in tutto questo percorso chiamato ashtanga yoga, l’intero essere viene coinvolto. Si parte dall’etica alla base della filosofia dello yoga (ebbene sì, lo yoga è una filosofia ortodossa del sistema indiano); acquisita l’etica, lavoreremo con il corpo, il respiro, poi le pratiche legate all’attenzione, alla concentrazione, fino ad arrivare alla meditazione DHYANA.
Questa filosofia dello yoga è estremamente rispettosa dei tempi degli allievi. Si procede un passo alla volta, per comprendere poi che nelle posizioni in immobilità (asana) abbiamo già l’essenza delle pratiche meditative. Un corpo immobile per arrivare ad una mente quieta e silenziosa.
Ho declinato secondo i temi più vicini e moderni questi antichi insegnamenti, con la consapevolezza che il lavoro simbolico degli asana apre ai bambini un linguaggio antico, transculturale e archetipale.
In uno dei giochi che hai inventato, i bambini sono chiamati a immaginare una storia a partire dalle differenti posizioni riprodotte. La pratica dello yoga influenza la capacità di produrre narrazioni differenti rispetto a quelle “tradizionali”?
Credo di sì, il valore aggiunto dello yoga è quello di aiutare i bambini ad attingere al piano simbolico. Le posizioni hanno dei nomi non casuali, dal sanscrito; conoscere la traduzione e memorizzare i nomi è già un gioco di per sé. Quando chiediamo ad un bambino di prendere la posizione dell’aquila o della montagna, il bambino diventa l’aquila, diventa la montagna, attingendo all’energia di quella posizione particolare.
Leggendo la tua introduzione al gioco si nota un tuo amore per la trasmissione dell’originale pratica millenaria dello yoga ma al contempo il tuo bisogno di introdurre dei contenuti pedagogici moderni. Come sei riuscita a legare queste due necessità nel “giocayoga”?
Oltre ad insegnare yoga da tanti anni, ho studiato Scienze della formazione, questo mi ha aiutato a coniugare i principi tradizionali dell’ashtanga yoga di Patanjali ai principi della pedagogia più moderna: la pedagogia del corpo ci insegna come ogni esperienza per essere appresa debba necessariamente passare attraverso il corpo.
Utilizzi lo yoga anche all’interno delle tue lezioni a Milano-Bicocca. Quali sono le reazioni degli studenti che magari si trovano davanti a questa pratica per la prima volta?
Gli studenti spesso incontrano la pratica dello yoga per la prima volta, con le difficoltà comprensibili di chi si deve mettere in gioco “completamente”, come la pedagogia del corpo ci insegna (il mio laboratorio si inserisce nel percorso formativo di questo insegnamento del Professor Gamelli).
Il sapere, affinché sia un’esperienza significativa, deve essere un sapere “incorporato”. Culturalmente si è impreparati a questa modalità: ben più avvezzi ai banchi per lavori frontali, praticare in palestra, seduti per terra, coinvolgersi nell’incontro con l’altro significa doversi mettere nuovamente in gioco, tornare a giocare e a re-imparare utilizzando strumenti differenti. Ma dopo i primi momenti di imbarazzo, tutti escono dalla lezione sorridenti e piacevolmente rilassati, scoprendo che i compagni di corso sono molto più di una semplice presenza.
Vorremmo chiudere l’intervista in modo pertinente, con un commiato o un augurio ai nostri lettori. Cosa ci suggerisci?
Auguro a tutti gli studenti di Bicocca di poter sperimentare la pratica dello yoga e della meditazione. Oggi è molto facile avere questa possibilità, in Occidente tali pratiche hanno avuto amplissima diffusione; inoltre credo sia cresciuta la consapevolezza di come la nostra vita sia divenuta così frenetica da aumentare anche tra ragazzi giovani la necessità di conoscere pratiche e tecniche che ci diano un aiuto per recuperare il tempo, la quiete, la possibilità di fare un respiro senza dovere pensare ad altro, o passeggiare in consapevolezza, o guardare la fioritura degli alberi in primavera e sentirsi felici (santosha, la contentezza priva di oggetto).
Imparare a vivere il tempo presente è la sfida, dove il tempo a disposizione è divenuta la vera ricchezza di ciascuno di noi. Comprendere che il qui ed ora è la nostra unica possibilità e che nell’attimo presente c’è tutto quello che ci serve per essere felici è la premessa di questa pratica millenaria.