A Milano-Bicocca la mostra “Ri-scatti. Chiamami con il mio nome” con una guida d'eccezione, Bianca Iula - Bnews A Milano-Bicocca la mostra “Ri-scatti. Chiamami con il mio nome” con una guida d'eccezione, Bianca Iula

A Milano-Bicocca la mostra “Ri-scatti. Chiamami con il mio nome” con una guida d'eccezione, Bianca Iula

“Ri-scatti. Chiamami con il mio nome”: la mostra di Bicocca con una guida d'eccezione, Bianca Iula
ORIZZ OK BIanca Iula

Il 21 dicembre all’Università di Milano-Bicocca, si potrà visitare la mostra Ri-scatti. Chiamami col mio nome, con una guida d’eccezione, Bianca Iula che è anche una delle autrici delle fotografie esposte. La mostra - visitabile fino al 20 giugno 2025 al piano terra dell’edificio Agorà (U6) - è stata organizzata in collaborazione con il PAC Padiglione d’Arte Contemporanea e Ri-scatti ODV ed è a cura del Comitato Unico di Garanzia dell’ateneo.

L’esposizione, che ha portato tra i corridoi dell’università una selezione di immagini già ospitate nel 2023 presso il Padiglione d'arte contemporanea di Milano, racconta la quotidianità di alcune persone transgender o non-binary, attraverso la fotografia, ed è stata l’occasione per celebrare il primo anno dall’emanazione del Regolamento per l’attivazione e la gestione delle carriere alias che consente agli studenti iscritti nell’ateneo, che si identificano con un genere diverso da quello anagrafico, di acquisire all’interno dell’università un nome di elezione, diverso e temporaneo rispetto a quello anagrafico.

Ecco che cosa Bianca Iula ci ha raccontato in vista della prossima visita guidata del 21 dicembre (ore 15).

Innanzitutto, com’è nata l’idea di fare da guida alla mostra?

Non è la prima volta che accompagno qualcuno alla visita di questa mostra così importante per me: la prima occasione è avvenuta un po’ per caso. Ho iniziato a mostrare e spiegare le foto a un gruppetto di amiche e dopo poco mi sono accorta che, ad ascoltare il mio racconto, erano almeno una trentina di persone. Per me sarà un onore accompagnare i visitatori anche in questa occasione.

Tutto è nato da un laboratorio di fotografia d’autore…

Sì, organizzato da Ri-scatti ODV, un’associazione di volontariato che realizza progetti per promuovere, attraverso la fotografia, l’integrazione sociale e dare un’opportunità di riscatto: ogni anno vengono scelte tematiche diverse dall’anoressia alla detenzione, dal bullismo ai disturbi alimentari passando per la sieropositività. Lo scorso anno i protagonisti erano le persone transgender e non binarie, e anch’io, che vivo al femminile da 5 anni, mi sono messa in gioco.

Bianca Iula alla mostra "Ri-scatti. Chiamami con il mio nome", all'Università di Milano-Bicocca: il 21 dicembre, alle 15, sarà lei ad accompagnare i visitatori.
Bianca Iula alla mostra "Ri-scatti. Chiamami con il mio nome", all'Università di Milano-Bicocca: il 21 dicembre, alle 15, sarà lei ad accompagnare i visitatori.

Quanto lavoro c’è dietro a quegli scatti?

Il percorso formativo, supervisionato da fotografi professionisti, è durato tre mesi, da maggio a luglio 2023: ci hanno affidato una macchina fotografica e ci hanno invitati a realizzare quanti più scatti possibili per raccontare la nostra storia. L'importante non erano tanto gli aspetti tecnici quanto piuttosto quelli emotivi e narrativi. Alla fine i 16 partecipanti al progetto hanno realizzato qualcosa come 20.000 fotografie: di queste 300 sono state esposte al Pac e una selezione oggi è all’Università di Milano-Bicocca.

Che cosa rivelano quelle immagini?

Sarà proprio quello che narrerò durante la mia visita guidata: voglio svelare soprattutto i retroscena di quegli scatti. Alcuni hanno scelto di immortalare alcuni oggetti simbolici come le pillole della terapia ormonale che aiutano nel processo di femminilizzazione. Mia intenzione è approfittare di questa occasione per spiegare come funziona la terapia ormonale, quali sono le sue tempistiche e quali sono i rischi a cui va incontro una persona transgender. L’obiettivo che mi sono data già dall'inizio della mia transizione è infatti quello di divulgare informazioni, specialmente quelle positive, per ridurre lo stigma e la transfobia che molto spesso sono frutto dell’ignoranza, conseguenza di pregiudizi e disinformazione.

Quanto è importante che, a ospitare questa mostra, sia un ateneo?

È davvero un passo importante anche perché le persone che decidono di affrontare percorsi di transizione sono sempre di più e sempre più giovani. Le nuove generazioni hanno sicuramente meno pregiudizi sull’argomento ma a volte hanno solo una vaga idea di che cosa questo significhi. Anche questo è un modo per informarli.

Su cosa crede sia importante soffermarsi di più per dare la corretta informazione?

Una delle cose più importanti è usare le parole giuste. Anche durante la visita guidata cercherò di fare un po’ di chiarezza sul glossario corretto da usare. Un esempio? Spiegherò che il modo più rispettoso per riferirsi al genere di nascita di una persona trangerder sia quello di usare gli acronimi AMAB (assigned male at birth ovvero persona a cui è stato assegnato il genere maschile alla nascita) e AFAB (assigned female at birth ovvero persona a cui è stato assegnato il genere femminile alla nascita). Perciò una donna transgender è una persona AMAB la cui identità di genere è femminile, mentre un uomo transgender è una persona AFAB la cui identità di genere è maschile.

Secondo lei, arte e fotografia possono essere davvero mezzi di riscatto?

L’arte, la fotografia ma anche la scrittura (ho un blog molto seguito dove parlo della mia esperienza e faccio divulgazione) e persino la danza sono per me fondamentali. Va detto anche che il riscatto inizia quando ci si realizza e si comincia a vivere con il proprio genere. In Italia, per avere accesso alla terapia ormonale si deve ancora avere una diagnosi di “disforia di genere“, un freddo termine medico che qualche anno fa una mia amica ha trasformato in “euforia di genere”, proprio per far capire quanto si inizi a stare bene una volta iniziata la transizione. Ci si riappropria di tutta una serie di cose ed emozioni prima negate…

Che cosa ne pensa della possibilità di accedere alla carriera alias per tutti gli studenti e il personale qui in Bicocca?

Trovo che il regolamento di Bicocca sia particolarmente all’avanguardia: si può accedere infatti senza dover presentare certificati medici o altra documentazione, se non una richiesta formale e la firma di un contratto con l’ateneo, spiegato con un semplice colloquio che non è assolutamente giudicante. Si tratta anche di un modo per diminuire il minority stress ovvero lo stress cronico che le minoranze sessuali e di genere possono sperimentare nella vita quotidiana, per esempio non potendo usare il proprio nome di elezione e dovendo sempre spiegare agli altri di essere una persona transgender. Quello che auspico è che sia sempre più semplice e accessibile l’iter per vedere il proprio nome riconosciuto anche sui documenti ufficiali.

La locandina della visita guidata del 21 dicembre 2024, che si terrà a partire dalle ore 15, è scaricabile a questo link.