Mobilità elettrica: un’opportunità da non perdere per il futuro di tutti - Bnews Mobilità elettrica: un’opportunità da non perdere per il futuro di tutti

Mobilità elettrica: un’opportunità da non perdere per il futuro di tutti

Mobilità elettrica: un’opportunità da non perdere per il futuro di tutti
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Il settore dei trasporti è responsabile di un quarto delle emissioni di gas serra sul nostro pianeta. All’interno di questo settore una parte importante è attribuibile alle emissioni del traffico stradale. Sulla base di queste premesse, l’Unione europea ha fissato scadenze stringenti per limitare in modo drastico il contributo delle automobili al riscaldamento climatico. Con l’aiuto del professor Abbotto, docente di chimica organica, cerchiamo di capire qual è lo stato dell’arte.

Ben prima dell’arrivo di Trump alla Casa Bianca, l’Unione europea aveva già imposto dazi sulle auto cinesi: era una scelta inevitabile? Sarà efficace?

Effettivamente a inizio ottobre dell’anno scorso l’Unione Europea ha deciso questi dazi per contrastare il cosiddetto “dumping”, la concorrenza scorretta, da parte cinese. Il fatto che ci siano stati dei finanziamenti del governo di Pechino è fuor di dubbio, ma il loro ammontare non è stato esorbitante se lo si rapporta al numero di automobili prodotte. Se vediamo le cose sotto questa luce si scopre che gli incentivi sono confrontabili con quelli mediamente erogati in Europa (anche in Italia) per auto venduta. L’aspetto saliente comunque è che questi incentivi hanno consentito un notevole progresso tecnologico sia per le batterie che per i motori, mettendoci in condizioni di guardare con più ottimismo al futuro della mobilità sostenibile. È noto che i modelli di auto cinesi hanno oggi una qualità molto alta e batterie ottime, tanto che gli stessi produttori occidentali - Tesla, Bmw, Mercedes, Audi, Stellantis - le utilizzano. Introducendo questi dazi si rischia di innescare una risposta ritorsiva da parte cinese, inoltre si colpiscono anche i marchi europei che producono ed esportono in Cina (ad esempio BMW); infine, ancora più importante, si può indurre un aumento dei prezzi per i consumatori e quindi un rallentamento della transizione. Una vera e propria invasione di prodotto ancora non c’è, mentre c’è per esempio per computer o cellulari, perlomeno considerando i produttori asiatici nel loro insieme. Nel lungo periodo comunque il rapporto qualità/prezzo e la qualità complessiva tenderanno in ogni caso a imporsi.

Soffermiamoci un momento sulle batterie: lei parla sostanzialmente di tre generazioni di batterie, la più recente non necessita nemmeno di materie prime critiche

La prima generazione, che fra l’altro troviamo in tutti i cellulari e nei computer è quella che utilizza pesantemente materie critiche, cioè non abbondanti: il che comporta oltre alla difficile reperibilità, un costo maggiore e anche problemi di impatto ambientale. Questi elementi sono il cobalto e il litio. Il primo è il più “critico”, viene estratto soprattutto nella Repubblica democratica del Congo ed è presente nel 100% delle batterie di smartphone e pc; il secondo proviene in prevalenza dall’Australia e dal Cile. La Cina è riuscita a superare il problema del cobalto introducendo la seconda generazione di batterie, le cosiddette LFP (litio ferro fosfato), che rappresentano circa il 50% delle batterie nelle auto prodotte oggi. La quota di queste batterie sul mercato è in continuo aumento e la Cina ne ha praticamente il monopolio assoluto; mentre tutto questo avveniva i produttori europei continuavano a sviluppare motori termici o eventualmente ibridi. La terza generazione di batterie, la più recente, ha risolto anche il problema del litio, sostituendolo con il sodio, che ha caratteristiche chimiche simili, è più pesante ma anche decisamente più abbondante. Analogamente a quanto avvenuto per le batterie LFP, anche le batterie agli ioni di sodio sono state inizialmente sviluppate negli Stati Uniti e in Europa, mentre ora c’è un sostanziale monopolio cinese: stanno già cominciando a uscire i primi modelli. È evidente come alla base di tutto questo ci sia un ruolo fondamentale degli investimenti in ricerca e sviluppo e parlare di dumping significa non cogliere il nucleo del problema.

Negli ultimi anni l’industria europea dell’auto si è concentrata molto su modelli grandi e costosi: i dati dicono che la metà dei veicoli venduti in Europa è un suv. Questi modelli garantiscono margini di profitto più alti per unità di prodotto

Infatti uno dei paesi che si sono opposti ai dazi sulle auto cinesi è la Germania, perché i suoi marchi sono i principali esportatori di suv “premium” in Cina, per cui il timore tedesco era quello di scatenare una ritorsione commerciale. Questo modello di consumo però non può essere il futuro della mobilità sostenibile, che deve basarsi non solamente sulla mobilità elettrica, ma anche sull’efficienza energetica complessiva: avere auto molto grandi e pesanti certamente non va in questa direzione. L’80% della richiesta di mercato si indirizzerebbe naturalmente su modelli più piccoli: i segmenti A, B e C, ma in questa gamma i produttori europei propongono prezzi in cui il costo dell’elettrico è ancora significativamente superiore all’equivalente termico, mentre ormai nel settore premium i prezzi sono diventati competitivi se non addirittura inferiori (Tesla, BMW ecc.).

Parliamo del tema dei motori ibridi come ponte verso la mobilità sostenibile

È sufficiente andare a vedere i dati sulle emissioni: la pubblicità le presenta come auto ecologiche, ma di fatto il “mild hybrid” e il “full hybrid”, sono al di sopra dei 100 g/km di emissione di CO2, e assolutamente al di fuori degli obiettivi dell’Unione europea a medio termine, per tacer di quelli a lungo termine. Discorso diverso va fatto invece per le automobili plug-in, perché in questo caso la batteria ha una funzione autonoma. La maggior parte dei modelli tuttavia sconta due problemi: l’autonomia limitata in modalità elettrica e il fatto che l’auto ha due motori, quindi è più pesante, pertanto ha maggiori consumi quando usa il motore termico. Inoltre l’autonomia limitata fa sì che le autovetture debbano essere ricaricate spesso: gli studi hanno dimostrato che vengono utilizzate prevalentemente in modalità termica, con lo svantaggio di cui si diceva in termini di consumi ed emissioni.

L’Unione europea ha impostato scadenze stringenti, il 2035 è un traguardo realistico per le emissioni zero?

Il quadro è complesso perché non verrà considerata solamente la mobilità elettrica a batteria (BEV), ma anche quella elettrica a idrogeno (celle a combustibile-FCEV), i biocombustibili, i combustibili sintetici. Già il limite del 2025 è stato rimandato per la forte pressione da parte delle case produttrici. Prevedeva che le emissioni medie scendessero a valori di 94 g/km contro i 123 di media che abbiamo per esempio in Italia. La scadenza successiva è il 2030, in cui le emissioni dovranno diminuire del 55%. Se in meno di dieci anni, al 2035, dobbiamo azzerare le emissioni, ciò significa che già oggi non si dovrebbe promuovere né fare investimenti sui motori termici. Tre saranno i fattori decisivi: le case produttrici devono abbandonare ogni ritrosia e investire in modo deciso sull’elettrico, i governi devono supportare nella prima fase la transizione con incentivi mirati e le scelte dei consumatori devono dare una forte priorità all’elettrico: senza la combinazione di questi tre fattori il traguardo del 2035 sarà difficile da raggiungere. Laddove questo è già avvenuto (paesi scandinavi e Cina), la mobilità elettrica è ormai una realtà consolidata e, in alcuni casi, persino esclusiva.