Lo sguardo sognante di Fellini, una dolcezza amara che regala speranza - Bnews Lo sguardo sognante di Fellini, una dolcezza amara che regala speranza
Lo sguardo sognante di Fellini, una dolcezza amara che regala speranza
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Federico Fellini. Basta pronunciare questo nome per evocare un turbinio di immagini e di nomi quasi archetipici che sono ormai saldamente radicati nella memoria collettiva degli italiani (e non solo): Paparazzi, clowns, Amarcord, la dolce vita e mille altre idee che si son trasformate in Oscar, David, Palme d’oro e nastri d’argento.
Nel 2020 ricorrono i 100 anni dalla nascita del genio di Rimini (20 gennaio) che ha contribuito a rendere grande nel mondo il nome della cinematografia nostrana. La professoressa Emanuela Mancino (Filosofia dell’educazione) ci aiuta a comprendere meglio quale è stata l’importanza di una figura così carismatica e geniale.

L’universo onirico di Federico Fellini non viene corrotto dal tempo né dalle mode, perché attinge alla freschezza di un legame che connette il sogno stesso con la voglia di disegnarlo, renderlo comunicabile.

Molte scene indimenticabili assomigliano ai sogni: il passaggio notturno, sospeso, irreale del transatlantico Rex in Amarcord, i sogni di Giulietta degli spiriti intervallati dalla lettura a metà tra psicanalisi e pedagogia di uno psicanalista, così come le profondità marine che troviamo in Satyricon, o il manifestarsi di ciò che è inquietante, come accade nella conclusione della Dolce Vita.
Per Fellini era quasi irreale il fatto di sentirsi attribuire un aggettivo per indicare ciò che gli apparteneva (e continua ad appartenergli): scherzava quando gli chiedevano che effetto gli facesse sentir parlare di uno stile “felliniano”, di un linguaggio “felliniano”: rispondeva di aver sempre sognato di fare l’aggettivo!

Come il sogno è felliniano, lo sono anche i tipi umani di cui i suoi film sono costellati. Si tratta quasi di un archivio, una sorta di enciclopedia di soggetti che non solo sono fonte di ispirazione per il cinema moderno e contemporaneo, ma che rimangono sempre vicini al nostro immaginario perché vengono colti sempre in un regime duale della rappresentazione: da fuori, attraverso le loro maschere e da dentro, nella più impietosa e angelica umanità, instaurando con lo spettatore una dinamica di complice riconoscimento. Possiamo pensare ai Vitelloni o Luci del varietà.

Il sorriso in Fellini cerca sempre di occupare il territorio della speranza, della salvezza. Lo fa ne Le notti di Cabiria, salvando una donna dal marito che si è rivelato un assassino, facendole seguire un gruppo festoso di giovani. Non riesce a farlo con il Marcello de La dolce vita: il percorso nel “sottosuolo” delle relazioni fallimentari del protagonista non sfocia nel contatto con la voce candida della fanciulla oltre le onde del mare. Nello specchio d’acqua di un mostro marino, Marcello si riflette ed il suo sguardo sembra accogliere triste quel che tragicamente sembra inevitabile, come lo sono le domande, il tempo, le questioni morali.

La vita moderna sembra e viene mostrata come tragica, nel film. Ma è l’ultima scena a salvarne la dolcezza. Una dolcezza capace di tenere il male lontano dalle relazioni, riparandole dal desiderio di consumarle o distruggerle. Fino a quell’ultima scena ogni desiderio di incontro autentico si era infranto: per farci vivere questa effimera rottura Fellini ci ha regalato una delle scene più citate del cinema italiano e forse mondiale: il bagno nella fontana di Trevi. Si tratta di una scena divenuta iconica perché capace, pur dopo anni e nei più differenti contesti sociali e culturali, di restituire l’emozione di una nostalgia per un tempo che non è stato effettivamente vissuto. Si tratta di un tempo in cui la visione onirica sembra coincidere con la realtà. Fellini crea questa illusione con una dissolvenza incrociata in grado di sospendere il tempo, di accompagnarsi all’arpa, all’acqua, a tutto l’immaginario che si lega allo splendore romano e ai suoi fasti. È un’illusione che si spezza bruscamente quando un improvviso getto d’acqua interrompe il bacio e l’incanto di Marcello e Sylvia, proprio quando stavano per compiersi.
Cosa c’è di più durevole di un desiderio sospeso? Per questo il cinema torna facilmente alle scene la cui durata nell’immaginario non potrà esaurirsi mai.

Il rischio di perdersi nell’emozione effimera dell’arte o dell’estetica viene continuamente raccontato da Fellini in relazione agli intrecci affettivi, ai timori. Il regista era ben consapevole di come la bellezza possa ricomporre ciò che turba. Il cinema era questo per lui. Ed il suo cinema è questo per noi.
Narrazioni che rimettono in circolo le possibilità del mondo. Così come accade nel finale di 8 ½, in cui le figure importanti del passato e del presente del protagonista si radunano intorno a lui in un carosello tra salite e discese, tenendosi per mano. Il tempo e i legami possono trovare una dinamica pace, una redenzione circolare e movimentata. Anche questa scena è indubbiamente onirica o “felliniana”. Mescola l’elemento poetico con la constatazione realistica: permette di percepire l’emozione dei concetti, non i concetti.

Così come accade in Prova d’orchestra, in cui il disaccordo tra gli orchestrali si fa non solo metafora, ma vera percezione di disarmonia. Anche in questo caso Fellini svela e rivela l’autentico attraverso l’onirico. Come raccontare una società disordinata, che attraverso il rischio dell’anarchia sfiora il rischio peggiore della repressione, se non facendo provare allo spettatore il disagio di una sinfonia mancata, il fastidio di un’autorità che si impone con irruenza e, per di più, in tedesco?
Fellini ci mostra il disincanto, la perdita del senso. Lo fa con scene che rimangono e continuano a lavorare nei nostri occhi perché sono sempre un cominciamento poetico che ci permette di sperare, che ci permette di intravvedere, come ne La voce della luna: “se ci fosse un po’ più di silenzio, se tutti facessimo un po’ più di silenzio…forse qualcosa potremmo capire”. E quel che ci permette di far silenzio sul rumore del mondo è uno sguardo che sa ancora incantarsi, che si perde nella dolcezza, amara e sognante, del cinema.
 
FOTO copertina: Federico Fellini durante le riprese di Le notti di Cabiria (Radiocorriere 1957) fonte Wikipedia