La trilogia I nostri antenati (ll visconte dimezzato, Il barone rampante, Il cavaliere inesistente). E ancora, Il sentiero dei nidi di ragno, Le città invisibili, Se una notte d’inverno un viaggiatore. Ciascuno di noi, prima forse per dovere scolastico poi per scelta personale, come spesso accade, si è imbattuto nella lettura di almeno uno di questi libri di Italo Calvino.
Quest’anno ricorre il centenario dalla sua nascita e abbiamo colto l’occasione per chiedere a Mario Barenghi, docente di letteratura italiana contemporanea e studioso dell’opera di Calvino, di parlarci dell’attualità e modernità dello scrittore.
A cento anni dalla nascita, Italo Calvino resta uno dei più grandi scrittori italiani. Quali elementi, secondo lei, lo rendono così attuale?
Ci sono diversi temperamenti di scrittore: scrittori che sono idealmente autori di un solo libro, e che se ne scrivono più d’uno tendono comunque ogni volta al capolavoro, l’opera che sintetizza la loro visione della realtà, della società, dell’uomo. Poi ci sono scrittori che, invece, programmaticamente scrivono cose diverse. Calvino appartiene a questa seconda tipologia.
Uno studioso molto autorevole di Calvino, Bruno Falcetto, ha dichiarato tempo fa che la cosa più importante che Calvino ha da dirci sul mondo è che “sul mondo non si può dire una cosa sola”. Calvino – che è uno scrittore di racconti o romanzi brevi, non un romanziere – è convinto che per fare un’operazione significativa, utile per il lettore e per la comprensione della nostra posizione nella storia, sia necessario tradurre un’ipotesi (un’immagine, una teoria) in un percorso che deve essere seguito fino in fondo. Alla fine ci si renderà conto che il risultato è parziale, e quindi si potrà cambiare approccio e prospettiva, sulla base di quello che si sarà imparato.
Questo assetto “plurale” dei suoi racconti mi sembra istruttivo e quanto mai attuale in un mondo in cui tutto sembra molto complicato, sfaccettato, e ogni pretesa di sintesi e di sistemazione organica sembra impraticabile. È una visione che porta con sé una spinta a sperimentare, a rinnovarsi di continuo, e questo mi pare molto moderno.
Professore, quale tra le sue opere ci segnalerebbe in particolare e perchè?
Tutte le sue opere sono leggibili da più prospettive e quindi non è facile sceglierne una. Prendiamo uno dei suoi libri più fortunati, Le città invisibili. Si tratta di una serie di descrizioni di città immaginarie, che però hanno l’ambizione di sollecitare nel lettore uno sguardo rinnovato sulle nostre città – dove la città, evidentemente, vale come simbolo di convivenza e relazione. Dopo aver scritto questo libro, Calvino ha scritto un intervento molto bello intitolato Gli dei delle città, poi raccolto nel volume Una pietra sopra, che comincia con queste parole: ”per vedere una città, non basta tenere gli occhi aperti, bisogna rimuovere gli ostacoli che ci impediscono di vederla”. Parafrasando: per vedere bene, occorre prima sgombrare il campo dai preconcetti, dai luoghi comuni, dalle idee ricevute, dalle abitudini. Lo sguardo sulla città deve partire cioè da un’operazione di igiene visiva: occorre cominciare a togliere ciò che fa velo e offusca l’immagine della città.
Applicando questa operazione alla lettura del libro, potremmo vedere come in ognuna delle città immaginarie descritte, alcune di una vertiginosa inverosimiglianza, in realtà ci sia qualcosa delle nostre città. Ogni città ne contiene tante altre, è fatta di tante immagini intrecciate tra loro e ognuno di noi ne ha una propria.
Un altro aspetto molto attuale è l’idea di Calvino dell’identità come un fatto relazionale: l’individuo è il punto d’incontro di una serie di rapporti – di rapporti con il prossimo e con l’ambiente in cui vive. Dunque, non un nocciolo rigido e immutabile avvolto in strati più o meno superficiali, ma un fascio di relazioni, in cui la gerarchia d’importanza non è data a priori.
Quale opera di Calvino lei consiglierebbe di leggere a un giovane?
Consiglierei un libro che ho riletto di recente: Le cosmicomiche. Un testo sperimentale, come s’intuisce già dal titolo che mette insieme due categorie diverse, sul modello classico della tragicommedia. Il cosmico più il comico, anche nel senso dei comics, dei fumetti. Sono storie che da una parte ci proiettano su orizzonti molti ampi e lontani (storia del pianeta, dell’universo, delle specie viventi) dall’altra, attraverso il protagonista, narrano di episodi in cui non è difficile riconoscere problemi dell’esistenza comune, perfino della vita quotidiana.
Prendiamo ad esempio Senza colori. Il racconto inizia nell’epoca in cui la Terra non ha ancora atmosfera, e quindi i raggi solari non sono filtrati e il mondo appare in bianco e nero. È in questa gamma di grigi che il protagonista si innamora di una fanciulla (o meglio, di una presenza femminile). Poi però il mondo cambia, l’atmosfera comincia a formarsi e il nuovo mondo a colori a lei non piace, tanto che si rifugerà sottoterra. Il protagonista, invece, è entusiasta dei cambiamenti; ma dopo aver perduto l’amata si rende conto che anche il mondo di prima aveva una sua bellezza, ormai irrimediabilmente perduta.
Cosa ci dice allora questo racconto? Una cosa fondamentale: non si ha cambiamento senza perdita. Ogni volta che dobbiamo compiere una scelta dobbiamo essere coscienti che non tutto si può conservare: ogni innovazione ha un prezzo. Credo sia una verità che possiamo riscontrare facilmente, a tutte le età e in molti ambiti diversi.
Copertina: immagine di Donato Accogli