Recentemente il nostro Ateneo ha ospitato Helmut Schwarz, presidente della Alexander von Humboldt Foundation, che nel corso della sua conferenza ha dichiarato: «Per fare Ricerca bisogna essere coraggiosi».
Volendo capire meglio il senso di queste parole e le difficoltà intrinseche al mondo della Ricerca, abbiamo deciso di intervistare un ex studente Bicocca: Renato Ostuni.
Perché proprio lui? Perché per il suo ultimo progetto di Ricerca presso il SR Tiget (Istituto San Raffaele Telethon per la Terapia Genica) ha ottenuto un ERC starting grant, prestigioso finanziamento che il Consiglio Europeo della Ricerca assegna solo ai progetti ritenuti più innovativi e coraggiosi.
Fare ricerca è una vocazione?
«Ad essere sincero non amo questo termine, perché associa a connotati positivi della ricerca, quali la passione, la curiosità e la creatività, l’idea del ricercatore come "martire in missione". Al contrario, penso che la sfida di un ricercatore moderno sia di ricondurre la propria figura a quella di un professionista ad elevata competenza e specializzazione, il cui lavoro ha un ruolo centrale nella società in cui vive. Quindi no, dal mio punto di vista fare ricerca non è una vocazione. Penso "solo" che si tratti del lavoro più bello del mondo! Un lavoro che chiunque può fare, a patto di lavorare sodo, studiare duramente e perseguire le proprie idee con passione e coraggio.»
Quanto è stato importante il tuo percorso in Bicocca per sostenere con convinzione le sue idee più audaci?
«Molto. In Bicocca ho avuto la fortuna di crescere, umanamente e scientificamente, con scienziati di calibro internazionale come la Professoressa Granucci e il Professor Zanoni, che mi hanno spinto a interpretare criticamente ogni tipo di evidenza scientifica e a mettere sempre in discussione le mie (e le loro) stesse idee. Questo atteggiamento, che ho ritrovato come caratteristica comune a tutti i migliori scienziati incontrati nel corso della mia carriera, si è rivelato fondamentale per la mia maturazione perché mi ha permesso di acquisire maggiore consapevolezza.»
Quali difficoltà ha affrontato nel mondo della ricerca e quali risorse l'hanno aiutato a superarle?
«Il lavoro quotidiano del ricercatore è senza dubbio duro e costellato di sfide: dall’esperimento che dà risultati contrari a quello che si sperava alla presentazione da preparare nel fine settimana all’articolo scientifico da difendere "dall’attacco" dei revisori… e tutto ciò (lo dico per esperienza personale) non migliora proseguendo nella carriera! Ma tutte le difficoltà diventano minuscole quando, provando e riprovando, a un certo punto si trova una soluzione e ci si rende conto di osservare per la prima volta un fenomeno mai visto prima da altri: una scoperta. Avere in laboratorio maestri e figure di riferimento che mi sostenessero e dessero i consigli giusti è stato determinante.»
Che consigli darebbe a un giovane ricercatore che intende dare il suo contributo alla scienza rimanendo in Italia?
«Prima di tutto, di non escludere di poter lavorare anche all’estero! Poi, sforzarsi di fare tante domande, leggere e studiare con attenzione anche campi diversi da quelli in cui si lavora, ad esempio per la tesi di laurea o il dottorato. Avere confidenza con la letteratura scientifica, partecipare a seminari e congressi è un requisito chiave per poter affrontare le scelte più importanti di un giovane ricercatore: in che campo voglio lavorare? in quale laboratorio voglio formarmi? Una volta deciso, impegnarsi al massimo per realizzare le proprie ambizioni, ricordandoci che siamo noi stessi a decidere del nostro futuro.»