Le molteplici possibilità di utilizzo, l’evoluzione dei traffici nel corso del tempo e la necessità di una tutela del suo ecosistema rendono lo spazio oceanico un ambito cui prestare la massima attenzione. Occorre un approccio che tenga in considerazione tutti gli aspetti in maniera organica. Un approccio che, proprio per questo, è stato definito “olistico” dal Capo di Stato maggiore della Marina, l’Ammiraglio Enrico Credendino. Di questi temi si è discusso di recente a Venezia, nel corso della XIII edizione del Trans-Regional Seapower Symposium, intitolata “A Blue Cluster Approach in the Ocean Decade”. L’evento ha visto la presenza di delegazioni delle Marine Militari di 56 Stati, 34 delle quali al seguito dei relativi massimi vertici militari nazionali (Capi della Marina), e di 16 rappresentanti distribuiti tra organizzazioni internazionali, agenzie, realtà industriali e accademiche.
Al simposio ha partecipato Ilaria Tani, professore in “International Law of the Sea” e “Ocean Affairs Law & Policy” nel corso di laurea magistrale internazionale in “Marine Sciences” dell’Università di Milano-Bicocca e Vice-coordinatore del nuovo dottorato in “Marine Sciences, Technologies and Management”, consorziato tra Milano-Bicocca e l’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova.
L’ambiente marino è un ecosistema, ma anche, da millenni, un’infrastruttura di comunicazione. Qual è stata l’evoluzione della normativa di riferimento?
Da tempo immemorabile, lo spazio oceanico è uno spazio di comunicazione: per il commercio, per le attività militari, per le esplorazioni e la ricerca, per il contrasto all’inquinamento e la repressione di reati, per il soccorso di persone in mare. La Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Montego Bay, 1982), nel suo preambolo, fa riferimento alla desiderabilità di “un ordine giuridico per gli oceani che faciliti la comunicazione internazionale” – che la stessa convenzione auspica di fornire. Il passaggio inoffensivo delle navi straniere nel mare territoriale (art. 19) non deve interferire con i sistemi di comunicazione dello Stato costiero, che sono fondamentali per l’esercizio del controllo da parte di quest’ultimo sulle proprie zone costiere e, più in generale, per il rapporto che intercorre tra il proprio territorio e il mare. Tra gli obblighi previsti in capo agli Stati di bandiera delle navi che esercitano la navigazione marittima (art. 94) vi è quello di assicurare che le stesse rispettino il corretto utilizzo dei segnali e la manutenzione dei sistemi di comunicazione che concorrono a evitare collisioni; così come è previsto che a bordo di ogni nave sia presente personale qualificato, in grado di garantire efficienti comunicazioni navali. La comunicazione marittima è un mezzo potente, i cui contenuti possono, in certi casi, perfino costituire una minaccia: l’art. 109 della convenzione prevede il c.d. “diritto di visita” a bordo di navi straniere che siano sospettate di ospitare “trasmissioni non autorizzate dall’alto mare” e consente il sequestro delle relative apparecchiature.
Nel tempo, lo spazio sottomarino ha assunto un’importanza notevole. Infrastrutture strategiche e di interesse transnazionale – come i gasdotti o i cavi della rete internet attraverso cui viaggia circa il 99% dei dati – sono collocate lungo le dorsali oceaniche. Dal punto di vista della tutela giuridica, a che punto siamo?
Lo spazio sottomarino è oggi al centro del dibattito internazionale per i molteplici interessi in gioco, che non riguardano solo la comunicazione, ma la presenza di risorse naturali, viventi e non viventi, di enorme importanza economica e strategica. La convenzione prima menzionata, che regola tutti gli usi del mare (almeno quelli che erano prevedibili quando essa fu negoziata, negli anni Settanta), stabilisce norme per la posa di cavi e condotte sottomarini, sia entro sia oltre le giurisdizioni nazionali. Mentre la posa di condotte per il trasporto di risorse energetiche soggiace ad alcune restrizioni, che riconoscono allo Stato costiero un potere autorizzatorio riguardo al percorso che la condotta seguirà sul proprio fondale, la posa di cavi è libera, con le dovute attenzioni da riservare ai cavi già posizionati sulla piattaforma continentale e all’eventualità che gli stessi necessitino di riparazioni. Nei fondali internazionali, non è noto dove e quando siano stati posizionati cavi di importanza strategica e militare. L’art. 113 della convenzione prevede che, comunque, ogni Stato adotti leggi atte a definire come reati perseguibili la rottura o il danneggiamento deliberato o imputabile a negligenza colposa, da parte di navi che battono la sua bandiera o di persone che ricadono sotto la sua giurisdizione, di cavi (e condotte) dell’alta tensione, telegrafici o telefonici nell’alto mare in un modo che interrompi o ostacoli le comunicazioni.
Su invito del Capo di Stato Maggiore della Marina italiana, lei ha di recente partecipato al Trans-Regional Seapower Symposium, cui hanno preso parte i rappresentanti delle Marine Militari di 56 Paesi. Quale ruolo dovranno assumere le Marine per assicurare non solo la difesa, ma anche un corretto utilizzo dello spazio marino e delle sue risorse?
Sono molto grata all’Ammiraglio Enrico Credendino e alla Marina Militare italiana per l’invito a questo strategico simposio, che è stato organizzato con il supporto di Fincantieri e di Leonardo. Anche con la messa al bando della guerra come strumento per la soluzione delle controversie tra Stati (Patto di Parigi, 1928) e gli sforzi di quasi un secolo per affermare un nuovo ordine internazionale, rimane evidente, a fronte dei molti fallimenti nel mantenimento della pace internazionale, che le Marine Militari non potranno mai sottrarre energie al loro primario obiettivo, che consiste nella difesa del proprio Stato da illegittimi attacchi armati. Tuttavia, il simposio ha rilevato – come già aveva fatto nella precedente edizione (2017), intitolata proprio “Navies beyond Traditional Roles” – che lo scenario marittimo internazionale è anche interessato da cambiamenti radicali. Il quadro giuridico internazionale definito dalla convenzione prima menzionata è destinato, pertanto, a essere necessariamente integrato da nuovi strumenti, in grado di regolare gli usi emergenti dello spazio oceanico. Le Marine Militari dovranno, da un lato, rinnovare le competenze giuridiche necessarie ad assicurare l’ordine nell’alto mare, dove vige la giurisdizione esclusiva dello Stato di bandiera; e, dall’altro, sviluppare sinergie tra Stati e, all’interno di essi, con le professioni scientifiche e industriali, attraverso le proprie rappresentanze, per valorizzare e trasferire tecnologie all’avanguardia, utili non solo per gli scopi di difesa e militari, ma anche per far fronte alle molteplici altre sfide poste dal “global common” marino.