Riscoprire e valorizzare varietà di specie autoctone, poi abbandonate negli anni a favore di altre con maggior resa e facilità di utilizzo, ma anche più “fragili” rispetto ai mutamenti climatici. Allo stesso tempo, riuscire a favorire l’economia e l’occupazione locale, contrastando lo spopolamento delle valli alpine.
Questi i molteplici scopi del progetto Tataricum, realizzato dal gruppo di ricerca del dipartimento di Scienze dell’ambiente e della terra-DISAT, composto dai professori Gentili e Citterio (botanica) e La Ferla (chimica organica).
Al responsabile del progetto, professor Rodolfo Gentili, abbiamo chiesto di spiegarci meglio come si è svolta la ricerca e, soprattutto, a quali risultati ha portato.
Come nasce l’idea del progetto Tataricum?
L'idea del progetto, finanziato da Fondazione CARIPLO, nasce in quanto il nostro gruppo di ricerca in Botanica si occupa da diversi anni della riscoperta e della valorizzazione di varietà locali di specie vegetali di interesse alimentare.
È noto che numerose specie agrarie, come ad esempio il comune frumento, hanno subito in tempi recenti il fenomeno dell'erosione genetica. Questo ha portato moltissime varietà locali che nel tempo erano state selezionate dagli agricoltori in determinati ambiti territoriali, ad esser rimpiazzate da varietà commercializzate su larga scala e geneticamente uniformi. Queste ultime sono caratterizzate da facilità di utilizzo ed elevate rese; tuttavia, sono spesso più soggette ad attacco di patogeni e minore tolleranza allo stress ambientale come quello legato a periodi siccitosi e con elevate temperature.
In questo ambito, il nostro gruppo ha lavorato a ricerche sulla caratterizzazione genetica di varietà di agrumi, di ribes e recentemente sulle varietà locali di grano saraceno della Valtellina, assai famoso per la produzione di piatti tipici quali pizzoccheri, polenta e biscotti. Così, parlando con alcuni agricoltori valtellinesi è emerso che, oltre il grano saraceno (Fagopyrum esculentum), fino a fine '800 - inizi '900, veniva coltivato anche il grano tatarico o siberiano (Fagopyrum tataricum), parente del primo ma di cui in seguito si erano perse le tracce. Da qui è nata l'idea di valorizzare questa antica coltura. I partner, oltre al nostro gruppo, sono la Cooperativa Sociale So.La.Re.S che si occupa di agricoltura sociale impiegando persone svantaggiate e la Fondazione Fojanini, ente di ricerca valtellinese che si occupa di produzioni agricole. Infine, ha collaborato al progetto l'azienda agricola Raetia Biodiversità Alpine che da molti anni svolge una ricerca capillare in Valtellina alla ricerca di antiche sementi locali e che appunto ha fornito i semi per avviare la ricerca.
Questa tipologia di grano ha delle peculiarità nutrizionali specifiche?
Il grano tatarico è ricco di flavonoidi, composti polifenolici che hanno ricadute positive sulla salute umana essendo potenti antiossidanti. Ad esempio, i polifenoli rutina e quercetina sono presenti in concentrazioni molto elevate nel grano tatarico rispetto al più noto grano saraceno. Tali composti sono già ampiamente utilizzati per migliorare la microcircolazione, la funzione respiratoria e per rallentare l'invecchiamento cellulare. Ad esempio, dati di letteratura riportano che la quercetina agisce come agente per ridurre la coagulazione, l'iperglicemia, e l'ipertensione. Gli integratori a base di quercetina sono quindi utilizzati per prevenire e trattare diverse malattie come ad esempio quelle cardiovascolari. Si ritiene che prodotti a base di grano tatarico potrebbero essere particolarmente funzionali alla dieta degli sportivi in quanto supportano le funzioni respiratoria e circolatoria migliorandone le prestazioni.
Qual è la storia del grano tataricum e perché era stato "dimenticato"?
Il grano tatarico fu probabilmente importato insieme al grano saraceno in Italia e in Europa dalle zone di origine, in Cina centro-meridionale, durante il medioevo, attraverso la via della seta. Dalla metà del XVI secolo si hanno notizie della coltivazione di tali specie in Lombardia e Valtellina dove le colture riscuotono ampio successo e diventano parte integrante del patrimonio agricolo alpino. In primis, il grano saraceno era coltivato nei bassi versanti della bassa Valtellina mentre il grano tatarico, specie più rustica e resistente, era coltivato su terrazzi più impervi e con suoli poveri ad alta quota, sino oltre 1200 m, nella Contea di Bormio.
Entrambe le specie per secoli hanno sfamato e supportato le popolazioni di montagna nelle Alpi soprattutto in Lombardia e Valtellina. Con l'avvento dello sviluppo industriale inizia il progressivo abbandono dell'agricoltura di montagna, soprattutto ad alta quota. Pertanto, a partire dagli inizi del XX secolo, in Italia si perde traccia del grano tatarico, che in tempi recenti a più basse quote veniva addirittura considerato una pianta infestante delle persistenti colture di grano saraceno, anche per il fatto che il grano tatarico ha un sapore leggermente amaro al palato.
Quali sono i risultati della ricerca?
A seguito delle analisi genetiche e biochimiche sulle sementi locali effettuate in Bicocca è risultata la tipicità delle varietà valtellinesi rispetto a quelle di altri paesi e provenienze (es. Cina e USA). Una volta valutato il potenziale agronomico da parte della Fondazione Fojanini, la Cooperativa SO.LA.RE.S ha messo in coltura il grano tatarico locale selezionato dando il via alla sua produzione in ex incolti abbandonati, recuperando terreni coltivabili.
Grazie al sapore amarognolo le sementi di grano tatarico coltivate nel progetto, sono state utilizzate nel processo di birrificazione per produrre la birra "Tataricum" che prende il nome dal progetto stesso e dal nome scientifico della specie. La birra "Tataricum" è stata presentata nel corso dell'evento conclusivo del progetto a Bormio il 19 Gennaio anche coinvolgendo i ragazzi dell'Istituto Alberghiero "Alberti" che hanno preparato piatti con l'utilizzo del grano siberiano.