Laurea triennale a Genova con una tesi su come l’ascolto musicale influenzi le emozioni; laurea magistrale a Pavia in neuroscienze cognitive e psicologia sperimentale; una borsa di ricerca presso Milano-Bicocca e poi un dottorato in Studi Umanistici a Urbino. È una formazione molto ricca e variegata, non solo geograficamente, quella di Desiré Carioti, ora assegnista di ricerca di Milano-Bicocca, che grazie alle competenze apprese in questo percorso ha sviluppato Readfree Screening Tool, un gioco “senza parole” per aiutare a riconoscere in modo precoce i DSA.
Con una video-presentazione di questo progetto, Desiré ha ricevuto il premio “Aldo Fasolo 2023” dell’Associazione InTo Brain, Università di Torino, per “l’originalità e l’efficacia della comunicazione scientifica”.
Qual'è stata la considerazione che ti ha portato a ideare questo progetto?
Il progetto di ricerca che ha fatto nascere il “ReadFree Screening Tool” è stato ideato allo scopo di offrire uno strumento facile e divertente per lo screening. Uno strumento che consentisse ai bambini di giocare e allo stesso tempo che fosse utile alle maestre per capire se è il caso di segnalarli al sistema sanitario nazionale per una valutazione più approfondita degli apprendimenti.
Le liste d’attesa dei centri diagnostici per i DSA, specialmente quando appartenenti al sistema pubblico, sono molto lunghe per via dell’enorme numero di richieste. Di tutti i casi segnalati, gran parte dei quali è composta da bambini bilingui a contesto migratorio, una buona percentuale non risulta avere un DSA, ma rivela comunque bisogni speciali a cui non sempre la scuola è in grado di far fronte. Il grande numero di bambini che parla una lingua diversa dall’Italiano a casa ha, infatti, creato un nuovo panorama di necessità e situazioni, per cui neanche la clinica, fino a pochi anni fa, era adeguatamente attrezzata.
Per queste motivazioni, con la voglia di aiutare ad accorciare le liste d’attesa fornendo un primo screening, che fosse però attento alle necessità di tutta la popolazione scolastica, abbiamo pensato di usare la tecnologia e le conoscenze della psicologia sperimentale per dare in mano agli insegnanti uno strumento facile: ReadFree è infatti un gioco computerizzato, divertente da proporre ai bambini, che fornisce un feedback sulla possibilità che abbiano un DSA. Stiamo ancora lavorando per ampliare e tarare questo strumento, ma fin ora i risultati si sono mostrati incoraggianti.
Come funziona il gioco “senza parole” che hai ideato?
L’idea è proprio quella di non utilizzare il linguaggio, né tantomeno la lettura, ossia l’aspetto in cui i bambini con sospetta dislessia sono carenti, ma osservare tramite dei giochi il profilo cognitivo di bambini sia monolingui che bilingui, per vedere se il loro profilo richiama quello tipicamente associato ai DSA.
Evitare linguaggio e lettura significa non chiedere ai bambini di misurarsi con i loro “punti dolenti”, ed evitare, nel caso dei bambini che parlano due lingue, che quest’ultimo aspetto rappresenti una “variabile confondente”. In particolare, valutare un bambino bilingue richiederebbe di misurare le sue abilità in entrambe le lingue, cosa non facile ed ecologica in ambito clinico, o quantomeno riuscire a dimostrare che le difficoltà di linguaggio mostrato sussistano a carico di entrambe le lingue conosciute e possano, quindi, essere più probabilmente associate a un disordine linguistico o di lettura.
Quale soluzione migliore di usare compiti che minimizzano il coinvolgimento del linguaggio, ma misurano aspetti che sono stati trovati deficitari in tutte le persone con dislessia, a prescindere dalla lingua parlata? Ecco perché, dopo un’attenta indagine della letteratura, abbiamo selezionato paradigmi classici e molto utilizzati in psicologia sperimentale che misurassero aspetti come funzioni esecutive, abilità temporali, discriminazione percettiva, denominazione rapida e abilità inferenziali, e li abbiamo trasformati in giochi come “cliccare a tempo di musica”, “riconoscere i suoni”, e così via…
Grazie al preziosissimo apporto degli ingegneri e designer del Politecnico, abbiamo recentemente inserito questi giochi all’interno di una coinvolgente avventura nello spazio, che per i piccoli partecipanti della nostra ultima ricerca, si conclude addirittura con un viaggio spaziale nella risonanza magnetica 3 Tesla dell’Ospedale San Gerardo.
Quale significato ha avuto per te ricevere il premio “Aldo Fasolo”, dedicato alla divulgazione della scienza?
Il premio Fasolo è stato un bellissimo riconoscimento, in primo luogo del progetto ReadFree, a cui tengo moltissimo perché credo nella sua utilità. Da anni, grazie al mio lavoro con i DSA, ho molto a cuore anche l’aspetto di divulgazione della scienza: sempre più spesso come ricercatrice, mi capita di vedere che quello che facciamo arriva troppo tardi alle orecchie di coloro ai quali la scienza è rivolta. Allo stesso modo, spesso la scienza può risultare molto “lontana dalle case delle persone”.
Il premio Fasolo, nato per premiare la divulgazione nelle Neuroscienze, vuol incentivare noi ricercatori a “bussare alle porte delle case”. Ricevere questo premio mi ha emozionata perché significa che nel mio piccolo, con le mie buffe modalità, anche io sono riuscita ad avvicinarmi alle persone spiegando il mio lavoro. Un obiettivo per me importante, perché significa avvicinarmi ai partecipanti delle mie ricerche e alle loro famiglie.
Hai scelto infatti una modalità ironica e anche un po' buffa per presentare il tuo lavoro di ricerca: come mai? A chi ti rivolgi?
Ho scelto di presentare un video che fosse ironico, simpatico, anche molto lontano dal modo che abbiamo di comunicare in contesto accademico, ma molto vicino al modo che ho di comunicare ai bambini che partecipano alle nostre ricerche e ai loro genitori.
In realtà infatti, questo video rappresenta in pieno il mio modo di fare divulgazione: prendere e prendersi anche un po’ in giro, fare della satira soft per denunciare alcuni problemi che ci sono, ma sempre spiegando, nella maniera più semplice e comprensibile possibile, che a questi problemi i ricercatori cercano di dare delle risposte.
Sembra che alla giuria del premio Fasolo questo sia piaciuto, dato che mi hanno conferito il premio per “originalità ed efficacia della comunicazione scientifica”. Questo mi suggerisce che questo lato del mio carattere, che ben si allontana dal rigore metodologico del mio lavoro quotidiano, possa essere un canale comunicativo utile da sfruttare, nei giusti contesti, per aiutare la ricerca. Il bello di comunicare la scienza, quindi, è proprio che non esiste un solo modo, ma ne esistono tanti, tutti efficaci, se l’obiettivo è quello di raccontare e farsi comprendere.