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Comunicazione medico-paziente: alla Bicocca la frontiera umanistica della medicina

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«In quali situazioni e con quali pazienti pensi che potrai fare più fatica?» È una domanda a cui molti studenti hanno risposto prima e dopo la pratica nei reparti ospedalieri, all’inizio del loro percorso di studi e di nuovo un paio d’anni dopo. Grazie a insegnamenti come Communication Skills, Humanities e corsi di approfondimento specifici, l’Università di Milano-Bicocca consolida sempre più un percorso didattico ultradecennale nato con l’intenzione di dare valore alla comunicazione in ambito medico, al complesso rapporto che lega medico e paziente e alla formazione del personale sanitario nell’interazione con i pazienti e i familiari. Un percorso che abbiamo ricostruito intervistando la professoressa Maria Grazia Strepparava, docente di Psicologia clinica al Dipartimento di Medicina e Chirurgia (School of Medicine and Surgery).
 

Professoressa Strepparava, quali sono le iniziative portate avanti in questa direzione all’Università di Milano-Bicocca?

Già pochi anni dopo la sua fondazione l’Università di Milano-Bicocca ha cominciato a condurre un progetto formativo raro e prezioso in Italia, dedicato espressamente alla comunicazione in ambito medico, un percorso che non si ferma e oggi continua a crescere sia per la didattica in italiano, sia per quella in lingua inglese.
 

Come è possibile sviluppare queste competenze professionali?

Grazie a una formazione mirata che si basa sul lavoro di gruppo, su esercitazioni pratiche, role playing, problem solving, video-registrazione degli studenti per analizzare insieme la comunicazione verbale, non verbale, la leadership e l’empatia, senza dimenticare la proiezione di filmati di vario genere, anche fiction come “Lo scafandro e la farfalla” e “Mare dentro”. Molti dei nostri corsi di studio prevedono insegnamenti basati sulla comunicazione – da Medicina e Chirurgia alla laurea magistrale in Scienze infermieristiche e ostetriche – con la possibilità di formarsi per più 40 ore dai primi agli ultimi anni di studio, conseguendo crediti formativi universitari. Il corso in inglese Medicine and Surgery, in particolare, è anche frutto della volontà di unire grande tecnologia e grande umanità nella formazione del personale sanitario di domani.
 

Quanto è importante la formazione del personale sanitario per preparare i professionisti del settore a comunicare correttamente ed efficacemente con pazienti e familiari?

La cura del rapporto medico-paziente è un’esperienza importante, in grado di rendere più efficace la raccolta di informazioni nella fase della diagnosi e la condivisione di indicazioni comprensibili in quella del trattamento: per i pazienti sentirsi presi in cura a tutti gli effetti aumenta il senso di fiducia e soddisfazione, mentre è stato provato che per gli stessi medici una buona comunicazione porta ad una migliore auto-percezione, insomma, ad un miglioramento tangibile da entrambi i lati.
 

Qual è il ruolo della comunicazione medico-paziente nel processo terapeutico e quale il suo status accademico?

Ha un ruolo fondamentale: per questo curiamo la formazione del personale sanitario con particolare attenzione alla comunicazione con pazienti e familiari in tutte le situazioni: dalle cattive notizie ai cambiamenti clinici alla capacità di parlare con i bambini. C’è un filone ormai consolidato nella letteratura scientifica che si occupa specificamente di comunicazione medica e prevede tecniche, strategie e protocolli ben consolidati, evidence-based, in grado di aiutare a costruire un buon colloquio fra medico e paziente anche in situazioni delicate, nella cornice delineata dalla Calgary-Cambridge guide to the medical interview-communication process. Dal punto di vista accademico, la ricerca su questi argomenti ha una tradizione particolarmente radicata in Canada e in Olanda grazie ai contributi di prestigiose Università come McGill, McMaster, Toronto e Maastricht.
 

Ci sono sostanziali differenze rispetto al passato nel rapporto fra medico e paziente?

In un passato nemmeno troppo lontano prevaleva un atteggiamento paternalistico legato a un approccio doctor-centered, mentre oggi il rapporto è senz’altro più patient-centered: medico e paziente collaborano per capire al meglio il problema e le linee terapeutiche più adatte alla persona da curare, in un processo dialogico che dalla diagnosi si sposta verso la condivisione di un progetto terapeutico individuale. Secondo me queste sono sfaccettature della medicina di precisione, che non si esprime solo attraverso il macchinario ma anche attraverso l’aderenza alle caratteristiche della singola persona, per superare l’idea che si curi solo la malattia, rischiando di perdere di vista l’aspetto relazionale e la persona.