Dal punto di vista psicologico, la risata ha un elevato valore sociale: serve a sciogliere situazioni tese, a rinforzare rapporti, a vivere serenamente con gli altri. Ridere aumenta la produzione di endorfine e “ci fa stare bene”, al punto che alcuni sfruttano il suo potere terapeutico con percorsi che vanno dalla clown-terapia allo yoga della risata.
Il potere della comicità, in altri casi, è quello di stimolare una riflessione sugli usi e le credenze della società.
Quasi sempre dalla medesima fonte del riso, si possono trarre anche pensieri seri. A sostenerlo era niente meno che Cicerone nel De Oratore. Mai frase fu più calzante di questa per descrivere la duplice natura della satira, che letteralmente sarebbe un “genere di composizione poetica a carattere moralistico o comico, che mette in risalto, con espressioni che vanno dall'ironia pacata e discorsiva fino allo scherno e all'invettiva sferzante, costumi o atteggiamenti comuni alla generalità degli uomini, o tipici di una categoria o di un solo individuo”.
È con questo spirito che, in ritardo di un giorno dispetto alla giornata internazionale della donna, il 9 marzo 2018 in Bicocca ospitiamo un gruppo di giovani donne che fanno satira e comicità sul web, sul palco, in televisione e sulla carta: Ambra Garavaglia, Charlie Syns (Syndrome Magazine), Federica Cacciola (Martina dell’Ombra); Michela Giraud.
Per approcciare il ruolo della donna nella comicità abbiamo fatto qualche domanda alla professoressa che introdurrà l’incontro: Emanuela Mancino (Filosofia dell'educazione)
La comicità "al femminile" è un fenomeno emergente o ha radici più profonde di quanto si possa pensare? Che ruolo gioca l'identità di genere nella comicità?
Comicità e satira nascono dalla capacità di connettere elementi apparentemente distanti. Lo sguardo comico è quello sguardo capace di cogliere una possibile fissità, denunciarla e mostrarne aspetti imprevisti. Si tratta di un salto, di un guizzo in grado di dar vita a momenti di rottura del senso comune.
Perché questa competenza dovrebbe essere solo maschile? Se parliamo di fenomeno, però, ovvero di una sua manifestazione visibile, la comicità femminile si è imposta sulla scena con maggiore lentezza. Ma non con minore incisività: potremmo ricordare Tina Pica, Bice Valori, Franca Valeri, Monica Vitti, Anna Marchesini... solo per citare alcuni nomi.
Certamente il ruolo della donna in scena, al cinema, per esempio, risentiva del costume del tempo che di volta in volta il mondo dei film ha rappresentato. Quindi spesso la donna ha avuto un ruolo di "spalla", più discreto, meno evidente rispetto a quello maschile.
Le radici della comicità o, ancor meglio, dell'ironia al femminile sono molto profonde e pescano nel riso e nella capacità di uno sguardo diversificato, molteplice e brillante in grado di leggere il quotidiano mostrandone spesso aspetti rimossi dalla scena sociale perché considerati intimi, familiari, spesso invisibili perché consueti, finanche banali.
Il riso nasce quando vengono mostrate o raccontate scene di quotidianità che esibiscono momenti di caduta, di scarto dall'atteso. La motivazione del riso non ha genere. Ma il tramite del riso pare averne uno. Ma qui le cose si complicano. E si intrecciano all'inevitabile mondo della recitazione, del teatro, del cinema e dell'attore in scena.
Un comico è, prima di tutto, un soggetto che si propone in una relazione di spettacolo, di visione e di ascolto, al cospetto di un pubblico (vicino o lontano). Gli strumenti di cui dispone sono il proprio corpo, la propria voce, le proprie parole, i propri gesti. In questa esposizione, l'attore/attrice viene preso/a in carico dallo sguardo dell'altro. Viene chiamato a non vergognarsi di questo ed anzi a fare della propria vergogna o nudità - diceva Derrida- uno strumento che può essere trasformato in consenso, ammirazione, partecipazione.
Dalla credibilità dell'attore, dal suo essere un corpo-in-vita, secondo le parole di Eugenio Barba, deriva anche la comicità.
Una donna che fa satira o comicità avrà tanta più credibilità ironica quanto più sappia essere e non solo sappia parlare di ciò che è consueto ma con la vitalità di chi sia in grado di incarnare l'idea di liberazione, di esplosione dell'inatteso rispetto a convenzioni, convinzioni e senso comune.
Spesso l'oggetto della comicità riguarda il mondo di cui si è parte: questo fenomeno attiene al mondo maschile quanto quello femminile. La comicità, in questi casi, assume la forma dell'ironia. Altre volte, però, ci si inoltra nei mondi dell'altro sesso, attraverso stereotipi o rivelazioni di spazi prima ritenuti intimi. In questi casi dall'ironia si passa, o si più passare, alla derisione, allo scherno, agendo questo tipo di satira anche al fine di ottenere un consenso di genere, tra le risate.
Il fenomeno della satira e dei suoi meccanismi connessi al genere meritano senz'altro una riflessione approfondita, come si intravede anche da queste poche battute.
L'incontro del 9 marzo potrebbe essere l'inizio di una ricerca che non riguarda solo il costume, ma che attiene modelli formativi, quindi educativi, modelli di riferimento, modelli relazionali all'interno delle dinamiche stesse tra i generi. Questo anche al fine di dar voce a quegli spazi di scambio tra uomini e donne che richiedono processi educativi attenti, strategie sociali di cura e ascolto di tutte quelle reticenze, quei non detti che tra donne e uomini generano incomprensioni e fenomeni di violenza tutt'altro che ironici, e anzi troppo spesso non presi sul serio.
La differenza tra leggerezza e superficialità è più marcata nella comicità femminile, rispetto a quella maschile?
Calvino diceva che la leggerezza è come planare sulle cose dall'alto. Questo ci permette di guardarle da lontano, in prospettiva. Questo non deve necessariamente implicare superficialità. Anzi: la vera ironia, la comicità che "funziona" è quella che mentre ci fa ridere ci fa anche intravedere la concretezza della nostra comune esistenza, ciò che ci rende soggetti in grado di mescolare l'esperienza del riso a quella della pietà. È quando la satira celebra se stessa che la superficialità porta in scena la vanità, il vuoto.
Finezza e levità sono dimensioni dell'umano in grado di rendere arguto lo sguardo, lieve e non aggressivo il gesto.