Un nuovo modello statistico per prevedere la sintomatologia dovuta all’allergia ai pollini di ambrosia (asme, riniti, congiuntiviti) in correlazione alla concentrazione di polline della pianta in un dato territorio. È quanto è stato sviluppato dai ricercatori del dipartimento di Economia, metodi quantitativi e strategie d’impresa (Dems) dell’Università di Milano-Bicocca, come descritto nell’articolo “Ragweed pollen concentration predicts seasonal rhino-conjunctivitis and asthma severity in patients allergic to ragweed”, appena pubblicato sulla rivista "Scientific Reports” (DOI: 10.1038/s41598-022-20069-y). Ne parliamo con Gianna Monti, professoressa associata del Dems.
Professoressa, partiamo dall’abc: cosa è l’ambrosia?
L’ambrosia artemisiifolia (ambrosia comune) è una pianta infestante i cui pollini creano forti allergie nel periodo da metà luglio fino a fine settembre, con il picco massimo tra fine agosto e inizio settembre.
Come è nata la vostra ricerca?
L’Ats (Agenzia per la tutela della salute) della Città Metropolitana di Milano ci ha contattati chiedendoci supporto scientifico per uno studio sulla correlazione tra la concentrazione di pollini di ambrosia e la gravità di tre tipologie di sintomi presenti nei pazienti allergici. Loro hanno fornito i dati: quelli sulla diffusione dei pollini sono stati raccolti da tre campionatori a Legnano, Rho e Magenta e sono poi stati incrociati con i dati dei sintomi di pazienti allergici in cura presso i poli ospedalieri di Legnano, Garbagnate Milanese, Abbiategrasso e Cesano Boscone. Ci siamo concentrati sull’area metropolitana occidentale e nord-occidentale al confine con la città di Milano, che è una delle zone più infestate d’Europa. Il periodo di studio si riferisce alla stagione 2014.
Qual è il risultato dello studio?
I pazienti sono stati divisi in due gruppi: quelli trattati con il “vaccino antiallergico”, ovvero l’immunoterapia con allergeni dell’ambrosia, e quelli non trattati. Per ciascun paziente è stato compilato un diario giornaliero dei sintomi (congiuntivite, rinite o asma), e della terapia farmacologica utilizzata, e questi dati sono stati incrociati con il conteggio dei pollini giornalieri. Dallo studio emerge che la concentrazione di pollini di ambrosia è predittiva della gravità dei sintomi nei pazienti allergici. Se c’è nell’aria una presenza di pollini mediamente bassa, 1,33 grammi per metro cubo, i sintomi saranno pochi, se invece risulta alta, intorno ai 50 grammi per metro cubo, si prevedono almeno 3 sintomi per persona. Tuttavia, i pazienti trattati con l’immunoterapia sono caratterizzati da una media di livelli dei sintomi significativamente ridotta rispetto a quella dei pazienti non vaccinati. È emerso anche che i pazienti non vaccinati fanno un uso significativamente maggiore di terapie farmacologiche rispetto ai vaccinati per curare generalmente riniti e congiuntiviti. I pazienti vaccinati d’altro canto ricorrono all’uso di farmaci quasi esclusivamente per il trattamento di sintomi gravi legati all’asma. Infine, chi presenta sintomi di asma viene più facilmente ricoverato in ospedale.
Come avete ottenuto questi risultati?
Attraverso la costruzione di un modello statistico di regressione per serie storiche, un modello predittivo del numero di sintomi giorno per giorno, che permette di valutare gli effetti a breve termine delle variazioni temporali della concentrazione di polline sulla loro insorgenza.
L’utilità di questo modello?
Questo modello può prevedere l’afflusso di pazienti di un certo tipo negli ospedali, con evidenti ripercussioni sul sistema sanitario nazionale in termini di spesa. E lo studio conferma che il vaccino antiallergico è l’unico trattamento efficace.