Vaccino sì, ma quale? - Bnews Vaccino sì, ma quale?

ARTICOLO DEL 25 GENNAIO 2021

Pfizer, Moderna, AstraZeneca. Ma anche, Sanofi, Johnson&Johnson e altri ancora. Il piano vaccinale è partito e se è vero che il primo vaccino sviluppato e approvato è quello della casa farmaceutica americana Pfizer, oggi se ne sono aggiunti molti altri. Ma che differenze ci sono tra loro? Quali sono più efficaci? A queste e altre domande risponde il professor Paolo Bonfanti, infettivologo di Milano-Bicocca e direttore del reparto di Malattie infettive del San Gerardo di Monza.

Professore, quanti vaccini anti-COVID sono stati sviluppati finora?

Ad oggi vi sono 64 vaccini che hanno raggiunto la fase della sperimentazione clinica. Due di questi (Pfizer e Moderna) sono stati approvati per l’uso generalizzato dagli enti regolatori europeo e statunitense, EMA e FDA. Altri due sono (Sinovac – Cina; Sputnik – Russia) sono anch’essi già utilizzati in programmi di vaccinazione.
Nel piano nazionale della vaccinazione COVID sono inclusi altri quattro vaccini – AstraZeneca, Johnson&Johnson, Sanofi e Curevac  - che dovrebbero essere autorizzati nei prossimi mesi.

Che iter segue l’approvazione di un vaccino e quali lo sono stati finora?

I vaccini, come tutti i farmaci, per essere utilizzati nella popolazione devono essere approvati dagli enti regolatori dei farmaci, in Italia prima da EMA (European Medicines Agency) e poi da AIFA (Agenzia italiana del farmaco). Considerata l’emergenza legata alla pandemia, EMA ha abbreviato i tempi burocratici di approvazione attraverso un processo che si chiama “rolling review” e che ha premesso la valutazione dei risultati in tempo reale e non al termine della valutazione.
L’autorizzazione di EMA per i vaccini Pfizer e Moderna è avvenuta in modo particolare: si tratta di una “autorizzazione condizionata”. Questo comporta per le aziende l’obbligo di effettuare ulteriori studi per ottenere dati completi.

In cosa si differenziano i vaccini sviluppati? 

I vaccini Pfizer e Moderna sono simili tra di loro in quanto sono entrambi vaccini su base genetica che utilizzano l’RNA messaggero. Si tratta dei primi vaccini di questo tipo prodotti per combattere una malattia infettiva e hanno sfruttato le importanti ricerche sui vaccini genetici compiuti in campo oncologico. Il prossimo vaccino che dovrebbe essere autorizzato (AstraZeneca-Oxford) si basa su una piattaforma vaccinale differente: utilizza un vettore virale inoffensivo per l’uomo per introdurre il materiale genetico di SARS-CoV-2. Un po’ come un cavallo di Troia.

Quale tra queste tipologie è maggiormente efficace?

Ancora non lo sappiamo completamente: sappiamo che i vaccini su base genetica già approvati sembrano avere una efficacia nel breve termine un po’ superiore rispetto a quello di AstraZeneca. In realtà conosciamo ancora poco sulla durata della protezione immunitaria di questi vaccini che è un fattore decisivo per definire la reale efficacia di un vaccino.

Oltre all’aspetto medico, quali altri fattori concorrono a far ricadere la scelta su un vaccino piuttosto che un altro?

Sicuramente la conservazione e la semplicità di somministrazione sono due aspetti molto importanti. Se vogliamo cambiare la salute del mondo dobbiamo avere un vaccino che sia in grado di percorrere l’ultimo miglio, ad esempio deve poter essere somministrato facilmente in Sudamerica che è il continente più colpito dalla pandemia.
Poi un altro fattore importante è la durata della memoria immunologica, la protezione immunitaria. Non abbiamo i dati, non abbiamo neppure i dati di quanto dura la protezione in chi ha sviluppato la malattia naturale: COVID-19 è una malattia nuova.

È utile quindi aver a disposizione più vaccini anche diversi? 

Certo. Aver sviluppato vaccini con piattaforme differenti permetterà di capire quale è più efficace e meglio tollerato, quale più adatto alla vaccinazione di massa in paesi con minor risorse economiche ed infine quale in grado di proteggere maggiormente nei confronti delle varianti del virus che stanno emergendo in modo preoccupante. 

Si è detto molto sui “tempi record” con cui il vaccino Pfizer è stato sviluppato e poi approvato. Cosa va detto secondo lei, per chiarire questo aspetto? 

Bisogna tenere ben presente almeno tre elementi. Primo: i tempi sono stati accelerati perché siamo di fronte a un grave pandemia. COVID-19 è una malattia che sta causando molti morti, genera sofferenze, povertà e disuguaglianze. Secondo: i “tempi record” sono stati resi possibili dagli enormi progressi della ricerca scientifica in questi anni. La cosiddetta “reverse vaccinology” ha cambiato radicalmente l’approccio allo sviluppo dei vaccini. Terzo: riguardo alla sicurezza, in Europa nonostante i tempi veloci l’approvazione è stata sottoposta ad un’attenta valutazione da parte degli enti regolatori.