“Si è sempre fatto così”. Un mantra, secondo la professoressa Anna Granata, che spesso inibisce la capacità della scuola di essere quel luogo di apprendimento dei saperi e del vivere insieme, caratterizzato dalla gioia di imparare e di insegnare. Parte da qui l’esigenza di indagare dove qualcuno osa, generando, attraverso micro pratiche concrete, una spinta al cambiamento che a sua volta può ispirare ulteriori sperimentazioni.
Il primo aprile l’Auditorium Martinotti ospita l’evento “Cinque minuti per cambiare la scuola”, finanziato dalla campagna di crowdfunding Bi-Unicrowd con il supporto di fondazione EOS, fondazione CRC e il patrocinio di Save the Children Italia. Anna Granata, docente di Pedagogia dell’Università di Milano-Bicocca, ci parla di come sarà strutturata la giornata, punto di arrivo del lavoro del gruppo di ricerca.
Professoressa, chi sono i protagonisti dell’evento?
Tutti i soggetti presenti nella scuola: dirigenti, studenti, insegnanti, genitori e collaboratori scolastici provenienti da tutta Italia e dai vari gradi scolastici. Il nostro progetto ha raccolto tantissimo materiale: tra tutti i contributi che ci sono stati segnalati, abbiamo selezionato 25 esperienze che verranno raccontate in termini di creatività organizzativa, tramite quick talk e video. L’autonomia scolastica è la base normativa su cui ogni istituto può modulare alcune decisioni, dalla distribuzione del calendario e dell’orario scolastico alla caratterizzazione del curriculum didattico, dalla gestione del personale a quella degli spazi fisici.
Il programma dell’evento è strutturato per idee. Una scuola capace di osare, partiamo dal titolo del suo intervento?
Si parte con micro idee, come le abbiamo definite, che portano con sé un enorme potenziale nell’applicazione pratica. Un’ex studentessa racconterà l’esperimento di un liceo romano la cui dirigenza dal 2017 ha deciso di affidare le chiavi dell’istituto ai ragazzi, a partire dal pomeriggio fino a mezzanotte. Un modo innovativo di interpretare il ruolo e il senso degli spazi scolastici.
L’ora di educazione affettiva è stata invece introdotta come scelta all’interno di una scuola di Firenze; i protagonisti ci racconteranno cosa ha significato per tutti, famiglie e docenti, vivere insieme questa esperienza di educazione all’affettività.
A Pinerolo il menu della mensa di un istituto comprensivo, scuola primaria e secondaria di primo grado, è stato elaborato dagli studenti che hanno seguito un percorso di educazione alimentare, con un occhio alla sostenibilità, sviluppato in collaborazione con un medico dell’ASL. Alcuni momenti scolastici sono considerati collaterali, invece per i bambini hanno un valore importante e questa idea ha dato un nuovo significato al pranzo, fondamentale rito di condivisione.
La sperimentazione è quindi possibile, anche in tempi di risorse scarse?
Tante idee sono state messe in campo a costo zero. In Brianza un liceo delle Scienze Umane ha realizzato un orto con una serie di attività da parte degli studenti che, oltre ad uscire fisicamente dall’edificio, entrano in relazione coi ragazzi di altre classi. Una pratica che si è rivelata di forte impatto positivo sull’inclusione degli studenti con disabilità e sul benessere dell’intera comunità.
Una scuola dell’infanzia in Valle d’Aosta ha deciso di focalizzare le attività sul rapporto con la natura, rimuovendo la separazione tra dentro e fuori e lasciando i bambini liberi di muoversi all’esterno.
L’evento del primo aprile darà voce a tutte queste pratiche quotidiane, provenienti da contesti anche geograficamente molto diversi. Ci auguriamo che possano invogliare altre realtà a trovare la forma migliore di cambiamento sulla base della propria specificità; ogni scuola può trovare il suo laboratorio di idee.
Tra le iniziative del progetto, realizzeremo un volume che raccoglierà tutte queste esperienze e continueremo a lavorare in rete, offrendo la possibilità di aggiungere e implementare ulteriori pratiche. Più che un punto d’arrivo, definirei il progetto un processo costante.
Casi particolari che hanno coinvolto genitori o docenti?
Una scuola di Biella ha istituito la poltrona dell’esperto: i genitori hanno portato il proprio sapere a scuola. Un papà falegname ha affascinato i ragazzi attraverso l’analisi di un tronco secolare, utilizzato per illustrare passaggi storici e cambiamento climatico sul territorio. Una mamma infermiera ha invece condiviso le sue competenze e, in particolare, l’esperienza vissuta durante il periodo pandemico.
A sua volta, una maestra di una scuola dell’infanzia di Milano ci spiegherà in quale modo ha sfruttato la propria preziosa expertise anche in contesti diversi, superando i confini scolastici, come volontaria nei reparti di pediatria e nei centri per persone anziane.
Tra gli argomenti che affronterete, la capacità di mescolare. Come?
Nel cuneese un istituto ha deciso di elaborare il patto di corresponsabilità educativa congiuntamente ad opera di insegnanti e genitori, non come un arido atto di rito ma come un reale patto tra scuola e famiglia. In questa stessa scuola, il collegio docenti si svolge in cima a una montagna, dopo una camminata tutti insieme che consente di percepire concretamente il senso di comunità e facilita spesso la presa di decisioni.
Un centro di formazione per gli adulti di Udine, che presentava un’utenza prevalentemente maschile, si è attivato per raggiungere l’utenza femminile con necessità di apprendimento, per esempio, sull’apprendimento della lingua italiana. Un’attività che ha portato anche al conseguimento della licenza media.
A Genova, un istituto è uscito dalla divisione per classi di età e ha provato a mescolare grandi e piccoli, con momenti dedicati ad attività anche teatrali; del resto, esistono numerosi studi sul successo dell’apprendimento cooperativo tra età diverse. L’esperienza potrebbe rivelarsi una grande risorsa, soprattutto per i comuni di montagna con pochissimi alunni, dove risulta impossibile formare le classi sulla base dell’età.
Il vostro progetto rappresenta un invito ad ascoltare più attentamente i ragazzi?
In tutte le pratiche sperimentate il ruolo attivo degli studenti si rivela fondamentale. Sentirsi protagonisti e a proprio agio rappresenta una forte leva per creare benessere a beneficio di tutti gli attori; una spinta a lavorare meglio in termini collaborativi. Questo non vale solo per gli studenti ma anche per gli insegnanti e i genitori. Il senso della scuola che auspichiamo vede nella comunità la base della crescita.
Un esempio lombardo ci viene da Stresa che ha offerto agli alunni della scuola secondaria di primo grado maggiore libertà sulla modalità di apprendimento. I docenti hanno presentato i contenuti e le competenze da acquisire nel corso dell’anno, che possono però essere sviluppati attraverso percorsi differenti; i ragazzi hanno quindi scelto quale strada seguire e, una volta raggiunto l’obiettivo, chiedono loro stessi agli insegnanti di poter avere un momento di verifica sugli apprendimenti.
Ancora, in Calabria una delle aule vuote, ormai presenti in quasi tutti gli istituti a causa del calo demografico, è stata destinata all’autonomia studentesca, uno spazio dedicato all'immaginazione, dove decidere come gestirsi e trascorrere del tempo. Un caso a costo zero, facilmente replicabile ovunque.
Foto in copertina: il team del progetto di ricerca