Uno studio recente pubblicato su Science Robotics esplora in che modo le persone stabiliscono un senso di azione condiviso (SoJA - Sense of Joint Agency) quando collaborano con i robot umanoidi. I ricercatori hanno scoperto che questo senso emerge se il robot non è percepito come una semplice macchina ma sembra avere intenzioni proprie.
Con Francesca Ciardo, ricercatrice del dipartimento di Psicologia tra gli autori dello studio, approfondiamo come si possa migliorare la collaborazione tra umani e robot, aumentando l'efficacia nei compiti condivisi e potenzialmente migliorando le applicazioni terapeutiche e industriali grazie a una percezione più naturale e coordinata del lavoro di squadra.
Dott.ssa Ciardo, cosa significa percepire un robot con atteggiamenti intenzionali?
Quando interagiamo con altri esseri umani, per noi è spontaneo spiegare e predire il loro comportamento come il risultato di stati mentali, quali desideri, credenze e sentimenti, perché sappiamo che gli altri sono, come noi, guidati nel loro agire dall’intenzionalità.
Quando il nostro interlocutore è un agente artificiale, come un computer o un robot, le cose sono un pò più complesse. Sebbene tutti noi siamo abituati a lamentarci che la stampante “non voglia” funzionare, siamo consapevoli che si tratti di un artefatto, il cui comportamento non è il risultato di desideri o stati mentali. Se l’agente artificiale è un robot umanoide però, cioè un robot che assomiglia nella forma ad un essere umano, allora esistono delle condizioni in cui il suo modo di agire può portarci a percepire il suo comportamento “come se” fosse il risultato di una forma di intenzionalità.
In questo studio, abbiamo indagato se il senso d’azione condiviso che di solito emerge quando collaboriamo con altri esseri umani, può essere indotto anche quando il nostro partner è un robot umanoide. Per questo motivo abbiamo registrato mediante elettroencefalografia i correlati neurali del senso d’azione mentre partecipanti umani svolgevano un compito condiviso con un robot umanoide che si limitava a svolgere il compito meccanicamente, oppure che prima di svolgere il compito aveva guardato con il partecipante una serie di video ai quali aveva reagito mostrando emozioni e cercando di stabilire un contatto visivo.
I risultati hanno mostrato che solo a seguito di uno scambio in cui il robot si comportava come se fosse dotato di stati mentali, i partecipanti riuscivano a stabilire un senso di azione condiviso sia a livello comportamentale sia neurale.
Come possono queste scoperte migliorare le interazioni umano-robot nel lavoro?
Lo studio di quali siano le condizioni che ci permettono di attribuire intenzionalità ai robot, e di come questo impatti sul nostro comportamento, ha numerosi risvolti nell’ambito lavorativo e sociale. Per esempio, se vogliamo che un lavoratore affiancato ad un robot riesca a eseguire i suoi compiti in modo da percepire il lavoro come una collaborazione e non come una mera alienazione, allora è necessario che il robot sia quanto più possibile percepito come intenzionale. Tuttavia, se invece desideriamo che un lavoratore non sia distratto dal robot, ma che resti focalizzato sul proprio compito e sulle conseguenze individuali di esso, allora sarà necessario un robot che attraverso il suo comportamento possa ricordare all’utente che si tratta di una macchina, a cui non si possono demandare le responsabilità delle proprie azioni.
Quali applicazioni industriali e mediche potrebbero beneficiare di questa scoperta?
Gli ambiti applicativi che possono beneficiare dei risultati di questa ricerca sono sicuramente l’ambito di sviluppo e ricerca di agenti robotici destinati ad ambienti sociali umani, come quello della Robotica Assistenziale Sociale, una classe specifica della robotica che si dedica allo sviluppo di robot che, attraverso l’interazione sociale, forniscono assistenza a diverse popolazioni vulnerabili, quali ad esempio anziani o persone con disabilità motorie e/o cognitive.
Cosa si prevede per il futuro degli studi in merito?
Questo studio è stato il risultato di un lungo lavoro iniziato nel 2017 presso l’Istituto Italiano di Tecnologia e finanziato da un progetto ERC: Starting grant, che mirava proprio a comprendere quali fossero le condizioni necessarie affinché gli esseri umani attribuissero intenzionalità ai robot. Ora, presso il dipartimento di Psicologia di Milano-Bicocca, ci stiamo concentrando sul cercare di capire se il senso di azione condiviso che possiamo stabilire con un robot possa essere utilizzato per migliorare l’impegno e la collaborazione con gli altri esseri umani.