«Testamento biologico, fondamentale il rapporto medico-paziente» - Bnews «Testamento biologico, fondamentale il rapporto medico-paziente»

«Testamento biologico, fondamentale il rapporto medico-paziente»

«Testamento biologico, fondamentale il rapporto medico-paziente»
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Sono trascorsi cinque anni esatti dall’entrata in vigore della legge sul consenso informato del paziente e sulle Disposizioni Anticipate di Trattamento. Secondo i dati raccolti dall’Associazione Luca Coscioni sono 186mila le persone che hanno presentato quello che viene comunemente definito testamento biologico. Il dato è parziale perché riferito a 47 milioni e mezzo di cittadini e non a tutta la popolazione, ma consente di stimare che ad avvalersi di questo strumento è stata, fino ad ora, una persona su 215.

La legge 219 è stata approvata a fine 2017 dopo che non erano andati in porto, nelle precedenti legislature, i tentativi di disciplinare la delicata materia. La normativa in vigore “tutela il diritto alla vita, alla salute, alla dignità e all’autodeterminazione della persona e stabilisce che nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata”. Inoltre, fissa alcuni principi: “Ogni persona ha il diritto di conoscere le proprie condizioni di salute e di essere informata in modo completo, aggiornato e a lei comprensibile” sia riguardo alla diagnosi che ai rischi degli accertamenti diagnostici e dei trattamenti sanitari indicati, nonché sulle conseguenze della rinuncia ai trattamenti stessi. Per quanto riguarda i medici, invece, stabilisce che sono tenuti a “rispettare la volontà espressa dal paziente di rifiutare il trattamento sanitario”.

Aspetti legali ed etici si intersecano. Ne abbiamo parlato con la professoressa Silvia Salardi, che insegna Bioetica nel nostro ateneo.

Professoressa, cosa occorre perché la scelta rispetto ad una cura possa dirsi davvero basata su un’adeguata informazione?

Affinché la scelta possa dirsi consapevole devono concorrere due aspetti. Il primo è la capacità comunicativa del medico che deve essere adeguata al caso specifico, vale a dire al paziente che ha dinanzi. L’altro è la disponibilità del paziente ad essere realmente messo a conoscenza della propria condizione, delle possibilità di cura e delle prospettive di vita. Il processo informativo è un’attività complessa e articolata. Davanti al rischio di una patologia severa, non tutti reagiscono allo stesso modo ed è pertanto essenziale l’attenzione per il paziente concreto. Sebbene possa non essere facile, per il medico, superare le difficoltà comunicative, va ricordato che la buona comunicazione col paziente è il primo gesto di cura ed è ampiamente trattato in letteratura bioetica fin dagli anni Settanta del secolo scorso e oggi disponiamo di schemi comunicativi codificati sull’obbligo di rivelazione delle informazioni e del controllo della comprensione di tali informazioni da parte del paziente. Inoltre, la formazione in tema di comunicazione è un obbligo di legge. Il punto di partenza è considerare il paziente come un soggetto autonomo, in grado di autodeterminarsi, nonostante versi in condizioni particolari dovute alla patologia di cui soffre.

Quali sono i punti critici dell’attuale normativa?

La 219/2017 è una buona legge, ma in assenza di un apparato sanzionatorio risulta più difficile contenere i tentativi di svuotamento del diritto all’autonomia decisionale del paziente. Il consenso del paziente rappresenta infatti la base di legittimazione per qualunque intervento medico.

La legge entrata in vigore a febbraio 2018 introduce nel nostro ordinamento le disposizioni anticipate che consentono alle persone di scegliere quali trattamenti accettare anche per il futuro, nel caso non dovessero essere più nella condizione di decidere. È prevista la possibilità di rivedere la propria decisione, ma non è detto che un ripensamento sia seguito da una immediata revoca della precedente DAT. Come si procede in questi casi?

Le disposizioni anticipate di trattamento sono espressione di autonomia decisionale. Per la loro redazione richiedono che siano chiari al paziente aspetti clinici relativi a trattamenti e stati patologici ed è pertanto importante dialogare con un medico di fiducia prima di redigerle. Una volta redatte, il paziente ha il diritto di revoca e modifica secondo le modalità stabilite dalla legge. Deve ricordarsi di revocare le DAT se ha un ripensamento.

Ecco perché è importante una seria campagna informativa che chiarisca le caratteristiche di questo prezioso strumento di scelta. La figura del fiduciario potrebbe aiutare anche in questo senso. È una figura altresì utile per aiutare il medico a interpretare le DAT ed evitare che si incorra nei casi, legislativamente previsti, in cui le DAT possono essere disattese: se le indicazioni sono incongrue, se non corrispondono alle sue condizioni cliniche attuali o se, nel frattempo, sono state messe a punto terapie capaci di offrirgli concrete possibilità di miglioramento delle condizioni di vita. La collaborazione tra il medico e la persona indicata come proprio fiduciario da chi sottoscrive il testamento biologico rappresenta un presupposto imprescindibile per una attuazione delle DAT il più possibile conforme alla volontà di chi le ha redatte. È solo attraverso questo confronto che può essere presa una decisione che sia in linea con le motivazioni che hanno guidato le scelte di chi ha sottoscritto la DAT.

In questi cinque anni lo strumento delle disposizioni anticipate di trattamento è stato utilizzato da poche centinaia di migliaia di persone, ma è difficile dire se sia conseguenza di scarsa conoscenza o frutto di una libera scelta.

È mancata un’adeguata campagna informativa e tutto è stato lasciato alla sensibilità di alcune associazioni. Collaborando a delle iniziative che si tengono nelle scuole, mi sono resa conto che anche i giovanissimi hanno grande interesse per questi temi, ma non hanno idea degli strumenti a disposizione dei cittadini e poche occasioni di formazione. È fondamentale il contributo dei medici, in particolare di base, che dovrebbero conoscere bene i loro pazienti e consigliarli, allo stesso tempo, può essere opportuno operare su più larga scala come accade negli Stati Uniti: quando una persona entra in una struttura sanitaria pubblica viene subito informata della possibilità di formalizzare le proprie disposizioni anticipate di trattamento. Avere le DAT dei tanti pazienti colpiti da Covid durante la fase acuta della pandemia avrebbe certamente aiutato ad assicurare terapie e interventi più in linea con le loro volontà.

Altro tema legato alle cure è quello del fine vita. La Corte Costituzionale, nel 2019, ha escluso la punibilità di chi agevola il proposito di suicidio di una persona affetta da patologia irreversibile e sottoposta a trattamenti di sostegno vitale. Inoltre, ha sollecitato il Parlamento a disciplinare l’intera materia. Quali vuoti il legislatore è chiamato a colmare?

Rispetto all’eutanasia, vanno adeguatamente normate le condizioni per richiederla. La Corte Costituzionale ha circoscritto di molto la categoria di soggetti che vi possono accedere. Occorre avere una legge che consideri più dettagliatamente le diversificate situazioni e contemperi tutte le esigenze, chiaramente ponendo al centro chi ha la propria vita in gioco e vorrebbe decidere sul proprio percorso fino alla fine della vita, ma al contempo non tralasciando quelle dei medici obiettori. L’obiezione di coscienza è legittima, tuttavia, bisogna evitare che sia utilizzata in maniera strumentale finendo per vanificare la possibilità di ricorrere all’eutanasia, come in molti casi avviene per l’aborto.