Anche gli impianti nucleari e il gas sono stati inclusi dalla Commissione Europea nella cosiddetta “tassonomia”, la classificazione degli investimenti verdi: «un “bollino di sostenibilità” concesso a determinate attività economiche per indicare a governi e imprese quali investimenti privilegiare nelle loro scelte di sviluppo», spiega Marco Grasso, professore di Geografia politica del nostro ateneo. Una scelta «dal valore simbolico – continua Grasso – perché gli investitori restano liberi di scegliere in quali tipi di progetti mettere le proprie risorse in determinati settori, come quello energetico», ma che ha comunque ricadute politiche ed economiche: l’inserimento nella tassonomia stimola stabilità e investimenti a lungo termine. «L’Unione Europea sta dicendo che gas e nucleare sono sostenibili, ritenendoli utili alla transizione ecologica e compatibili con gli obiettivi climatici a livello comunitario e globale».
L’inserimento nella tassonomia delle due fonti energetiche ha richiesto l’individuazione di alcuni paletti: saranno considerate sostenibili le centrali nucleari con permessi di costruzione ante 2045 e le centrali a gas per la produzione di elettricità che emettono meno di 270 grammi di CO2 per kilowattora fino al 2031 o meno di 100 grammi per tutta la loro vita utile. L'atto entrerà in vigore dal 2023, sempre che la decisione della Commissione Europea venga ratificata dal Parlamento e dal Consiglio dell’Unione Europea. «Ma difficilmente respingeranno il documento», osserva il professore.
Non sono mancate le critiche. «Alcuni Paesi membri, come l’Austria e il Lussemburgo hanno contestato formalmente la decisione – prosegue Grasso – ma anche la Germania, che dopo il Disastro di Fukushima ha cominciato a smantellare le sue centrali, si è opposta al nucleare. Non al gas, però. Perplessità erano venute anche dall’interno dell’istituzione europea: la Platform for sustainable finance (Piattaforma per la finanza sostenibile), un gruppo di esperti che consiglia Bruxelles in materia, aveva contestato la bozza del documento, definendosi “preoccupata rispetto agli impatti ambientali che possano risultare dall’inclusione del gas e del nucleare nella tassonomia ».
Secondo il professore il quadro geopolitico che esce fuori in questo contesto è quello di «un’Europa spaccata da una decisione frutto di pressioni politiche e nata per accontentare la maggior parte degli Stati membri, senza una visione d’insieme: la Francia e i “nuclearisti” da una parte, il blocco del gas dall’altra, e cioè Ungheria, Croazia, Cipro, Repubblica Ceca, Grecia, Malta, Polonia, Romania e Slovacchia. Emerge così una certa incoerenza tra le politiche nazionali, che indeboliscono il Vecchio continente in un contesto internazionale di crisi energetica avanzata ». Un’Europa divisa in due come si nota nella seguente mappa riguardante la produzione di energia nucleare (fonte Eurostat): ci sono 13 nazioni che hanno reattori nucleari attivi e 14 nazioni che non producono energia nucleare.
Inoltre, Marco Grasso ritiene che difficilmente il nucleare «possa rappresentare la soluzione per raggiungere gli obiettivi prefissati di riduzione delle emissioni di CO2 dovute alle centrali elettriche a combustibili fossili. Per come sono strutturati ora, gli impianti nucleari richiedono tempistiche e costi di costruzione troppo onerosi. Senza dimenticare il problema della gestione delle scorie. In questo senso sarebbe più competitivo puntare sull’energia eolica o solare, i cui costi infrastrutturali negli ultimi anni si sono ridotti di oltre due terzi”.