Il nostro clima sta cambiando. Il maltempo degli ultimi giorni sta mettendo in ginocchio tante zone d’Italia, da Nord a Sud. Pioggia forte, vento intenso e mareggiate accrescono il rischio idrogeologico e l’unico strumento per contrastarlo è un’attenta pianificazione territoriale. Ce ne parla Mattia De Amicis, docente di geografia fisica del dipartimento di scienze dell’Ambiente e della terra dell’Università di Milano-Bicocca.
Rischio idrogeologico: qual è il quadro dell'Italia?
Se pensiamo all’alluvione del Polesine nel 1951, a quella di Firenze nel 1966, alla grande frana della Valtellina nel 1987, a cosa è successo in Piemonte nel 1994, a Sarno nel 1998, a Soverato, nel bacino padano nel 2000, Genova 2011 , solo per ricordare gli eventi più impattanti, dobbiamo per forza pensare che tali situazioni fanno parte del nostro vivere quotidiano. Risulta evidente se guardiamo i dati appena pubblicati dall’Istituto Superiore per la Protezione e le Risorse Ambientali, ISPRA che riguardano la distribuzione territoriale delle aree a pericolosità da frana (Piano Assetto Idrogeologico, PAI) e da inondazione, da cui si evince che circa il 20% del territorio è a pericolosità elevata o molto elevata.
Le altre mappe mostrano lo stato generale del Paese che evidenziano come siano molto poche le aree esenti da problematiche idrogeologiche.
Cosa può dirci in particolare sulla Lombardia?
La Lombardia non fa certo eccezione. Abbiamo un territorio diviso tra parte montana e parte di pianura. Per la parte montana è evidente quale sia lo stato delle problematiche idrogeologiche, per la parte di pianura basta fare menzione al nodo idraulico di Milano oggetto di periodiche problematiche alluvionali legate ad esondazione e rigurgito del fiume Seveso prima e dopo l’ingresso in città e la sua tombinatura.
Con il clima che cambia aumenta la frequenza di eventi estremi?
È ineludibile che i fenomeni piovosi stanno avendo alcune modificazioni; oggi assistiamo sempre più a concentrazione di grossi quantitativi di precipitazioni in un lasso temporale molto breve. Ciò genera enormi problematiche di scorrimento superficiale, riduce i fenomeni di infiltrazione nel sottosuolo, generando un forte ruscellamento spesso non gestibile dalle reti di collettamento e creando grossi problemi di erosione.
Cosa si può fare sul fronte della pianificazione territoriale per la riduzione del rischio?
La pianificazione territoriale è l’unico strumento per contrastare il rischio. Nel corso degli anni sono stati fatti grossi passi in avanti; sono stati istituiti i Piani di Assetto idrogeologico, si è modificata la legislazione di pianificazione territoriale comunale passando da un sistema impositivo ad uno partecipativo, Piano di Governo del Territorio. Il paese è fragile di suo ma certamente alcuni primi risultati sono già sotto gli occhi di tutti. Nel novembre del 2016 nel bacino occidentale del Po si è avuto un evento idrogeologico paragonabile a quello dell’ottobre 2000, ma non vi sono stati quei gravi fenomeni di alluvionamento, che avevano caratterizzarono quell’evento. Ciò dimostra che la strada da intraprendere è certamente quella della pianificazione territoriale che, va detto a chiare lettere, è un progetto di lungo termine con risultati attesi che non possono essere da qui a qualche mese ma di qualche decennio. Ciò forse contrasta un po’ con la richiesta immediata di risultati che la politica attuale è abituata a considerare.