Stress e ansia in corsia: dieci consigli per affrontarli - Bnews Stress e ansia in corsia: dieci consigli per affrontarli

Stress e ansia in corsia: dieci consigli per affrontarli

Stress e ansia in corsia: dieci consigli per affrontarli
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Negli ultimi mesi sono stati definiti eroi e combattenti. Come i soldati, sono spesso le prime vittime di una battaglia che oggi si chiama Coronavirus. I loro turni sono diventati massacranti, i casi sui quali intervenire complessi. E così medici, infermieri, operatori sanitari sono i protagonisti di esperienze fortemente stressanti. Ma le loro ferite psicologiche ed emotive non sono ancora affiorate del tutto: «Nel pieno dell’emergenza sanitaria – spiega Guido Veronese, psicologo dell’Università di Milano-Bicocca - di fronte a corsie strabordanti di pazienti altamente compromessi, con ospedali e reparti ben oltre i limiti delle proprie capacità, gli aspetti psicologici normalmente recedono sullo sfondo. Detto in altre parole, è come se chiedessimo a un bagnino carico di zavorra di chiamare lo psicologo mentre sta nuotando per soccorrere un bagnante che sta annegando: impossibile e velleitario».
Quando l’emergenza sanitaria si sarà ridimensionata, «le ferite psicologiche ed emotive dell’operatore sanitario emergeranno con prepotenza – continua Veronese – e ci si ritroverà a confrontarsi con l’enorme carico di sofferenza cui si è stati esposti e con il dissiparsi dell’energia psichica ed emotiva investita nel momento della crisi sanitaria acuta».

Ecco perché abbiamo chiesto al professor Veronese di offrire alcuni spunti che possano aiutare gli operatori sanitari a proteggersi dal sovraccarico psico-emotivo durante e dopo gli estenuanti turni di lavoro; accorgimenti e buone abitudini che possono servire a ridurre la portata di sindromi post-traumatiche accompagnate da sensazioni di smarrimento, ansia e paura.

  1. Essere indulgenti con sé stessi: ovvero riconoscere ed accettare che ci si trovi davanti ad un evento catastrofico di magnitudine eccezionale e che le proprie reazioni di stress, così come quelle dei colleghi, siano plausibili e in una certa misura inevitabili.
  2. Darsi spazio, sul posto di lavoro, per quanto possibile, per delle pause in cui potersi rifocillare, bere dell’acqua e fermarsi quando ci si sente particolarmente sovraccarichi. Queste strategie possono rispondere al legittimo bisogno di sicurezza sul posto di lavoro. Lo stesso valga per le nostre colleghe/i, assicurarsi, cioè, che abbiano mangiato e bevuto qualcosa e avuto spazio per riposarsi quel tanto che basti per ripartire.
  3. Cercare delle strategie per calmarci quando sentiamo lo stress superare i livelli del controllo. Per esempio, potremmo servirci della tecnica di memorizzazione COVID conosciuta come FACE (Focus, Acknowledge, Come back, Engage). Prima di tutto, provare a focalizzarsi su quanto abbiamo sotto controllo delle nostre percezioni e stati interni. Poi, riconoscere e accettare le nostre emozioni e pensieri. Quindi, concentrarci (e ritornare) sul nostro corpo. In questa fase, per esempio, potrebbe essere utile fare dei semplici esercizi come premere i nostri piedi sul pavimento o premere i polpastrelli delle dita gli uni sugli altri. Infine, riprendere ciò che stiamo facendo e rifocalizzarci sulla nostra attività.
  4. Momenti di meditazione e mindfulness sia sul posto di lavoro che a casa possono essere di aiuto nel deattivare il sistema nervoso simpatico e facilitare un ridimensionamento dei livelli di stress continuato.
  5. Parlare delle proprie esperienze e sensazioni con i colleghi per farci aiutare e per essere di aiuto a nostra volta qualora ci sentissimo emotivamente sovraccarichi. Questa abitudine ci consente di mitigare sensazioni di isolamento o di essere i soli a vivere un senso di fatica e perdita di controllo.
  6. Considerare di lavorare per quanto possibile usando il sistema ‘buddy’ (responsabilità reciproca tra colleghi per la sicurezza personale). Questa modalità consente a due colleghi di prendersi cura l’uno dell’altro con particolare attenzione alle nuove leve. Ci sentiremo meno soli e più protetti, ma anche noi potremmo spenderci nel prenderci cura dei nostri colleghi e proteggerli.
  7. Conversazioni informali tra colleghi possono costituire un’eccellente forma di supporto tra pari. In questo senso possiamo mettere in atto strategie che veicolino messaggi di attenzione, cura e supporto reciproco (es. offrirsi reciprocamente acqua  e cibo, rivolgersi al collega per chiedere come stia e attivare un breve dialogo, sincerarsi di come gli altri stiano vivendo il momento senza disturbare con piccoli messaggi di attenzione via WhatsApp o e-mail, dare feedback positivi e mostrarsi aperti e comprensivi, proporre e riproporre il proprio supporto, come chiederlo e richiederlo ai colleghi, cercare di essere il più possibile non giudicanti verso gli altri).
  8. A livello di gruppo, in reparto, è di fondamentale importanza tributarsi un reciproco e rispettoso riconoscimento, provare il più possibile a lavorare e superare difficoltà e sensazioni di negatività che possano venirsi a creare tra colleghi, orientandosi al proprio benessere psicologico e al benessere del gruppo di lavoro.
  9. Far sentire accolte e ascoltate le nuove leve che si sono aggiunte al gruppo ‘esperto’ per l’emergenza COVID-19 contribuisce a creare un clima sereno e di supporto dove tutti possano sentirsi liberi di esprimere le proprie fatiche, paure, speranze e soluzioni.
  10. All’inizio di ogni turno, è bene creare uno spazio in cui gli operatori in entrata possano essere ascoltati e rinforzati rispetto allo stato del proprio benessere psicologico. La partecipazione a questi momenti di ‘controllo del benessere dell’operatore’ dovrebbero non essere obbligatori (ma incentivati) e disponibili per chiunque li richiedesse.

Diventano così fondamentali degli spazi di ascolto come quelli attivati dal nostro Ateneo con un’iniziativa del dipartimento di Scienze umane per la formazione “R.Massa”. «Uno sportello dedicato all’operatore sanitario al di fuori del proprio contesto di lavoro – conclude Veronese- può aiutare a demarcare una chiara linea tra il dentro (l’unità intensiva, il reparto, la clinica ecc..) e il fuori (il nostro spazio privato, la nostra casa, la nostra vita), così come a controllare contaminazioni traumatiche degli spazi di vita al di fuori del contesto lavorativo, in un momento in cui agire per il bene comune è la priorità. Il dopo sarà da ricostruire tutti insieme, tanto in termini di riconoscimento quanto di rivalorizzazione di professioni poco considerate e troppo spesso dimenticate».

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