Riccardo Massa, il demone pedagogico - Bnews Riccardo Massa, il demone pedagogico

Sono passati vent’anni dalla scomparsa di Riccardo Massa, filosofo dell’educazione e pedagogista, ideatore, fondatore e primo preside della facoltà di Scienze della formazione del nostro ateneo, oggi dipartimento di Scienze umane per la formazione, a lui intitolato. Abbiamo chiesto a Raffaele Mantegazza, professore associato di Pedagogia generale, allievo e poi assistente di Massa per sei anni, di tracciarne un ricordo.

Professore, le chiedo tre parole per identificare Riccardo Massa.

Passione, radici e radura.

Ce le spiega? Partiamo da “passione”.

Era una persona che in qualunque cosa facesse – dalla lezione al convegno, dalla scrittura al laboratorio teatrale – trasmetteva la sua carica passionale. Una carica che si traduceva in passione educativa, in “eros pedagogico”: Massa era per così dire innamorato della situazione educativa. E la viveva con trasparenza e autenticità: anche nelle relazioni con i collaboratori o gli studenti non nascondeva i suoi momenti di stanchezza o di conflittualità.

Radici?

Colpiva la radicalità del suo discorso. Non era un estremista, si rifaceva a un pensiero libertario, di matrice marxista e nettamente antistalinista. Non era per nulla dogmatico: sapeva confrontarsi con posizioni diverse dalla sua. Rifacendosi al pensiero di Michel Foucault, considerava l’educazione come potere e dispositivo, come condizionamento. Per questo riteneva necessario andare alle radici pedagogiche della relazione educativa.

Tutto questo come ci porta alla radura?

Il concetto deriva dal pensiero di Heidegger. L’educazione per Massa era come una “radura” perché ti apre davanti uno spazio infinito di possibilità e ti stimola a prenderle in considerazione per scegliere come avventurarti in esso. In questo si rifaceva anche all’educazione liberante di Paulo Freire: l’educazione non cambia il mondo ma ti fa vedere il mondo e le possibilità per cambiarlo.

Un ricordo personale?

C’è un momento in cui ho scoperto di essere diventato adulto. Il 1° gennaio 2000, quando dopo il pranzo di Capodanno mi telefonarono e mi dissero che Riccardo Massa non c’era più. Ma ricordo anche la sua prima lezione cui ho assistito, nel 1986. Scoprii una persona in preda al demone pedagogico.

La sua ricerca pedagogica quali temi ha toccato?

La scuola, l’adolescenza, i migranti. Ha messo a fuoco politiche dell’accoglienza quando ancora il fenomeno migratorio non aveva i numeri odierni”.

A fine anni Novanta, Riccardo Massa fondò la facoltà di Scienze della formazione.

Mosso da un irrefrenabile entusiasmo, la presentava a noi, suoi collaboratori, come una grandissima avventura. Ci motivava a passare dalla Statale alla Bicocca. Era l’opportunità di renderci autonomi. Quando si metteva in testa di fare una cosa, la portava fino in fondo, con una tenacia da montanaro, lui che amava le montagne. Fondare una nuova facoltà in una università appena nata non era nulla di scontato. Il quarto piano dell’U6, le prime lezioni in U7. Ma attorno c’era il nulla, c’era il cantiere. Eppure Massa riuscì a immaginare quello che sarebbe stato vent’anni dopo.

Quale impronta diede alla neonata facoltà?

Nacque con una connotazione interdisciplinare, evitando arroccamenti pedagogici. Per questo, coinvolse non solo pedagogisti ma anche antropologi come Ugo Fabietti, linguisti come Emanuele Banfi, filosofi come Mauro Ceruti o Salvatore Natoli, sociologi come Roberto Moscati. Grandi nomi accademici. Per Massa l’educatore doveva studiare la letteratura italiana contemporanea e conoscere le teorie di Edgar Morin: avere una infarinatura a 360 gradi.

Lockdown e scuole chiuse. Cosa avrebbe detto oggi Riccardo Massa?

Avrebbe rivendicato un ruolo forte del sapere pedagogico di fianco a quello medico e psicologico. Distanziamento tra gli alunni, merenda al banco, didattica in streaming: Massa non si sarebbe opposto alle misure di prevenzione e sicurezza, ma avrebbe rivolto un invito agli educatori ad approfondire e studiare le conseguenze di tutto questo nella percezione dei ragazzi. Avrebbe posto l’accento sulla necessità di aiutare i giovani a leggere questo 2020 in una prospettiva di crescita personale all’interno del contesto collettivo.

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