Quando i clienti siamo noi - Bnews Quando i clienti siamo noi

Cassiere di supermercato, commessi, personale di servizio in hotel, ristoranti, ma anche rider, operatori di call center, personal trainer, hostess… e si potrebbe continuare a lungo. Ciascuno di noi incontra nella vita di tutti i giorni questi lavoratori e lavoratrici, anche più volte al giorno e in circostanze diverse, ma nella maggior parte dei casi diamo per scontata la loro presenza e il loro atteggiamento nei nostri confronti. La loro realtà professionale, la loro condizione - qualunque essa sia - tende a svanire dietro il confine costituito dal bancone di una reception o da un sorriso di circostanza, al di là dei quali non sapremo cosa si celi: e in fondo ci importa fino ad un certo punto, data la brevità della singola interazione. La professoressa Giovanna Fullin, sociologa del lavoro nel nostro ateneo, ha studiato a fondo queste categorie, riprendendo e applicando alla specificità italiana alcune linee interpretative già affermatesi nel mondo anglosassone. La studiosa ci racconta per sommi capi le conclusioni principali della sua ricerca, sviluppate in un libro uscito per i tipi del Mulino editore.

Partiamo da una stima della popolazione oggetto della ricerca: stiamo parlando di lavoratori del settore terziario, a qualifica medio-bassa, che hanno un rapporto con il pubblico nelle attività di consumo. Quanti sono circa sul totale degli occupati e perché ha delimitato in questo modo l’oggetto della sua indagine?

Non è facile quantificare in modo preciso queste categorie, che sono un po’ eterogenee tra di loro e caratterizzate spesso da forme di precariato, poi in un certo senso una valutazione esatta non era essenziale ai fini della mia analisi. In generale possiamo affermare che sono attività lavorative che hanno un peso rilevante sull’insieme della forza lavoro e purtroppo hanno ricevuto fin qui poca attenzione, perlomeno in Italia, nell’ambito della letteratura scientifica. A volte il tema viene sollevato dai media, con le modalità e i tempi tipici della narrazione giornalistica: tipicamente se ne parla quando si sottolinea la “poca disponibilità” dei giovani a svolgere mansioni nell’ambito dei servizi turistici o di ristorazione. L’argomento suscita qualche presa di posizione - di difesa o di condanna - ma viene lasciato cadere nel giro di poco e si finisce per perdere di vista quegli elementi di specificità e di complessità che invece caratterizzano secondo me queste attività professionali, pur molto diverse tra loro per tanti aspetti. Mettere a fuoco questi elementi di specificità e di continuità è ciò che mi sono proposta di fare con questo studio.

Dal punto di vista quantitativo ho considerato come base di partenza una stima fatta qualche anno fa dalla collega Ivana Fellini, che ha calcolato che i servizi al consumo coprano il 26-27% della popolazione attiva in Italia, quindi circa 6 milioni di persone. All’interno di questa platea ho escluso le professioni - comunque minoritarie - ad alta qualificazione: psicologi, architetti, avvocati etc.; d’altro canto, ho scelto di non considerare quelle categorie di lavoratori facenti parte per esempio della pubblica amministrazione, della scuola o della sanità, che se da un lato hanno anche loro continue interazioni con gli utenti del servizio che contribuiscono ad erogare (studenti, pazienti, cittadini), dall’altro se ne distanziano per un aspetto fondamentale: il rapporto con il cliente/utente si pone per questi lavoratori all’interno di una relazione di potere meno sbilanciata in favore di uno dei due poli della relazione.

Quali sono queste caratteristiche comuni?

Un primo elemento per esempio è dato dal rapporto triangolare tra lavoratore, datore di lavoro e cliente, che non significa negare che il rapporto con il datore di lavoro rimanga centrale nella relazione di impiego, significa che per il lavoratore la situazione si complica e si struttura con la comparsa di un “terzo polo” di cui si deve tener conto.

Per esempio sia il datore di lavoro che il cliente che possono esercitare una funzione di controllo sulla performance del lavoratore, oppure in alcune situazioni, al contrario, può darsi che il cliente diventi una sponda per il lavoratore e che la soddisfazione che il datore di lavoro non dà in termini economici, provenga in termini di riconoscimento da parte dei clienti. Questo punto ci porta sulla soglia di un altro aspetto che è quello della gestione delle emozioni: saper gestire le proprie emozioni e la propria immagine esteriore è un aspetto decisivo in queste professioni. Nella società fordista, per esempio nel lavoro alla catena di montaggio, c’è come sappiamo un forte disciplinamento dei corpi. Nel mondo dei servizi il corpo viene implicato nell’attività, ma in modo ancora più “invasivo” perché nel rapporto con i clienti conta anche l’aspetto esteriore di lavoratori e lavoratrici e a volte anche la loro corporatura (ad esempio nei negozi di abbigliamento). L'aspetto emozionale è tipico del lavoro a servizio dei clienti. Il proprio lavoro deve piacere o comunque si deve dare l'impressione che piaccia, perché altrimenti l'interazione con i clienti non funziona. Intendiamoci, non è un aspetto che vada inteso in senso unilaterale perché è ambivalente: da una parte significa che io vendo le mie emozioni, la mia capacità di sorridere, di empatizzare con i clienti, di essere accogliente, dall'altra vuol dire anche che nella relazione con i clienti metto in gioco una parte di me che non è più riservata ad una dimensione solo privata. In certi casi e per determinate situazioni possiamo utilizzare il concetto di "alienazione" che assume connotati parzialmente diversi da quelli rilevanti per il lavoro in epoca fordista. Basti pensare agli orari di lavoro forzatamente “anti-sociali” a cui questi lavoratori sono costretti, operando di sera, nei week-end o durante le festività e finendo per sacrificare una parte importante della propria vita sociale.

Parliamo di un tema di attualità in questo momento: quello dell’intelligenza artificiale. Verrebbe da pensare che questa categoria di lavoratori pagherà un prezzo minore per quanto riguarda l’avvento dell’intelligenza artificiale. È così?

Anche qui la risposta non è univoca. Da una parte sì, ci sono alcune attività che la clientela cerca proprio perché ci sono delle interazioni con le altre persone e su queste l’impatto sarà minore. Ad esempio se decidiamo di andare al ristorante è perché il servizio al tavolo non è paragonabile a quello che può offrire un robot o un sistema di AI; così pure se scegliamo di acquistare in negozio invece che online. Al tempo stesso è anche vero che altre attività hanno un contenuto di interazione umana così ridotto, per esempio i call center, che già l'intelligenza artificiale ha cominciato a sostituirle, come stiamo vedendo con i chat bot, e questo può succedere in linea teorica anche per le consegne a domicilio solo per fare alcuni esempi.