Il 04 marzo 2023 è stata approvata una storica risoluzione alle Nazioni Unite per la protezione degli oceani. Dopo un lunghissimo negoziato, durato 15 anni, i governi di quasi 200 Stati Membri di tutto il mondo si sono accordati su un Trattato per la protezione dell’Alto Mare. L’Unione Europea si è impegnata a investire 40 milioni di euro affinché l’accordo venga ratificato e applicato dagli Stati aderenti.
L'obiettivo è quello di proteggere il 30% degli oceani del mondo entro il 2030, attraverso la collaborazione degli stati per porre fine alla pesca eccessiva, all'inquinamento marino e alla perdita di habitat degli oceani. Per comprendere l'importanza di questo trattato, abbiamo intervistato il Professor Paolo Galli, docente di Ecologia al Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e della Terra.
Potrebbe spiegarci cos’è l’Alto Mare e cosa prevede il Trattato sulla protezione degli oceani?
“Certamente. L’alto mare è quella zona di oceano oltre le acque territoriali nazionali che non appartiene a nessuno Stato, oltre i 200 miglia dalla costa. Non soltanto ospita preziosi ecosistemi, ma rappresenta il 60% degli oceani del pianeta e quasi il 50% della superficie terrestre. Questo trattato finalmente mira ad una migliore gestione della biodiversità dell’Alto Mare, ed è giuridicamente vincolante per proteggere la vita marina nelle acque internazionali. Per la prima volta, inoltre, il trattato imporrà anche una valutazione dell'impatto delle attività economiche sulla biodiversità in alto mare.”
E’ un obiettivo ambizioso, perché è importante proteggere gli oceani?
“Gli oceani sono fondamentali per la vita sulla Terra, forniscono il 50% dell'ossigeno che respiriamo e assorbono il 25% delle emissioni di carbonio che produciamo. Inoltre, gli oceani sono il cuore del nostro sistema climatico e forniscono cibo e risorse per milioni di persone. Senza oceani sani, la vita sulla Terra sarebbe a rischio. Se riuscissimo a capire questa relazione indispensabile con le nostre vite non ci sarebbe bisogno di alcun trattato per l’oceano, che continua a subire le conseguenze della nostra incuria e disattenzione. Per invertire questa tendenza dobbiamo trovare soluzioni scientifiche per passare dall’oceano come è adesso all’oceano che vorremmo. Sull’isola di Magoodhoo, al Marhe Center, per contrastare il declino ormai inesorabile di quasi tutti gli ecosistemi corallini del mondo, stiamo sviluppando una tematica in particolare, quella della Coral Reef Restoration and Rehabilitation per permettere all'habitat naturale dei coralli di crescere ed essere resistente alle minacce del cambiamento climatico.”
Quali sono le principali sfide che gli Stati dovranno affrontare per raggiungere gli obiettivi del trattato?
“Le principali criticità sono la pesca illegale e la pesca eccessiva (overfishing), che hanno causato la riduzione delle popolazioni di pesce in tutto il mondo e hanno un impatto negativo sull'ecosistema marino. Le trivellazioni nell'Artico, la perdita delle barriere coralline, l'innalzamento del livello marino, oltre all’inquinamento da plastica, costituiscono importanti minacce per gli oceani. Gli stati dovranno anche affrontare la perdita di habitat degli oceani, causata dalla distruzione degli ecosistemi costieri. Tra i problemi più pressanti e ai quali si pensa meno quando si parla di mari e oceani c’è inoltre l’estrazione di litio dai fondali, ricercatissimo per la costruzione delle batterie ma che si trova in ecosistemi unici e non replicabili.”
Cosa possiamo fare come individui per contribuire alla protezione degli oceani?
“C’è ancora tantissima strada da fare. Ciascuno può contribuire molto alla protezione degli oceani. Ad esempio, possiamo ridurre l'utilizzo di plastica monouso, come sacchetti della spesa e cannucce. Possiamo anche cercare di mangiare pesce proveniente da fonti sostenibili e di ridurre il nostro impatto sull'ambiente. Inoltre, possiamo partecipare a programmi di pulizia delle spiagge e promuovere la consapevolezza sulle questioni relative alla protezione degli oceani.”