Perché ogni giorno dev’esser la Giornata contro la violenza alle donne - Bnews Perché ogni giorno dev’esser la Giornata contro la violenza alle donne

«La violenza alle donne va combattuta ogni singolo giorno dell’anno, ma commemorare le lotte e le vittorie contro gli abusi di genere in una giornata come quella del 25 novembre è una forma per testimoniare che il problema ancora annida tra di noi. Non è un tema da poco e c’è ancora tanto da fare; inoltre, questo giorno serve a ricordare alle vittime che non sono da sole e che possono trovare l’aiuto necessario, senza dover sentire alcun tipo di vergogna». Così esordisce con noi Maite Bulgari, rispondendo sul significato oggi della Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza alle donne. Presidente fondatrice di Anthos Produzioni, per cui ha prodotto il film “L’Amore Rubato” (2016) sulla violenza di genere, Maite Bulgari sarà protagonista d’eccezione il 25 novembre in Bicocca per la presentazione del libro “Il web che odia le donne” di Rossella Dolce e Fiorenzo Pilla (Milano, Ledizioni, 2019).

Nel film “L’Amore Rubato” da lei prodotto, sono protagoniste 5 storie d’amore “malato”, diverse tra loro ma che sfociano tutte in forme di violenza. Perchè raccontarle e cosa rappresentano? 

Il racconto di queste forme di violenza è oggi più che mai necessario, per permettere a tutte le donne vittime di abusi di trovare il coraggio di denunciare, per ricordar loro che non sono sole e che c’è sempre una via d’uscita. Stando agli ultimi dati Istat, quasi 3 milioni di donne hanno subìto nella propria vita delle violenze fisiche, psicologiche o sessuali da parte del partner. A questo numero già altissimo, si aggiunge poi quello incalcolabile delle donne che non denunciano, che preferiscono mantenere il silenzio e continuare a portare avanti un rapporto malato. Questo perché ancora oggi c’è un forte sentimento di vergogna che accompagna le vittime di violenza di genere. Proprio per questo motivo ho deciso di produrre “L’amore rubato”: non c’è niente di cui vergognarsi, anzi, è necessario reagire e per farlo è molto utile che le vittime di violenza si riconoscano nelle storie che abbiamo scelto di raccontare e trovino il coraggio di uscirne allo scoperto e denunciare. 

Nel periodo marzo-giugno 2020, il numero di richieste di aiuto arrivate al numero verde 1522 per la violenza e lo stalking è raddoppiato rispetto allo stesso periodo del 2019 (+119%). Le donne quindi sono più a rischio in lockdown? 

L’obbligo di quarantena purtroppo ha visto crescere in modo esponenziale il fenomeno della violenza di genere: molte donne si sono trovate costrette a stare costantemente in casa con partner violenti, tante volte insieme ai figli, senza possibile via di fuga. Le oltre 15000 chiamate, contro le 7000 dell’anno precedente - a cui si aggiungono anche le richieste via chat, che sono quadruplicate, passando da circa 400 a oltre 2600 - dimostrano quanto il fenomeno sia diffuso nella nostra società. Il rischio nel periodo di lockdown è quindi più alto, come dimostrano i dati, ma il problema è radicato ben più nel profondo, perché queste vittime sono arrivate a denunciare in quanto costrette in casa, ma probabilmente erano già da tempo perseguitate dai propri compagni. È quindi importante indagare e sradicare questo problema, a prescindere dal lockdown.

Il libro "Il web che odia le donne" porta all'attenzione un fenomeno per certi versi nuovo. In cosa consiste? 

La violenza, sia psicologica che fisica, ha trovato con la tecnologia nuove forme di manifestazione negli ultimi anni. Il libro porta l’attenzione su un fenomeno molto inquietante, quello di gruppi molto radicalizzati di uomini maschilisti che fomentano l’odio contro le donne sul web, a livelli anche criptati difficili da identificare o raggiungere, che genera nella realtà ancora più violenza. Con l’incremento dell’utilizzo dei social network, è diventato sempre più facile diffondere odio e violenza, dando anche forma a vendette crudeli. Si pensi al fenomeno del cosiddetto revenge porn, che coinvolge anche adolescenti e ragazzi giovanissimi, che spesso vedono diffuse su Whatsapp o Telegram foto intime, corredate di viso e nome, senza che si possa fare niente. È diventata una forma digitale di violenza, che identifica le donne come le vittime più appetibili, molto difficile da combattere.

Secondo lei, cosa può fare ognuno di noi per debellare questo fenomeno? 

Sono dell’idea che sia necessario innanzitutto eliminare i pregiudizi sociali che fomentano quel sentimento di vergogna che, per ragioni culturali, spesso provano le vittime di violenza. In passato, la nostra tradizione ha spesso portato a colpevolizzare le vittime, con la classica scusa che tante volte abbiamo sentito di “qualcosa avrà fatto”, “se l’andata a cercare” o sicuramente “se lo merita”. Invece, bisogna dire alle donne che subiscono abusi dai propri partner che non è colpa loro e che devono trovare il coraggio di denunciare, senza paura di ritorsioni. Spesso si crede che sono solo le donne di fasce sociali più basse le vittime di violenza, ma non è così: sono anche molte tra le cosiddette “donne in carriera” a subire i medesimi abusi, in casa o sul posto di lavoro, ma che non denunciano per paura di veder danneggiata la propria reputazione.
È fondamentale il coinvolgimento e il sostegno degli uomini in questa battaglia: sia perché si tratta di difendere la dignità delle loro mogli, sorelle, figlie o amiche, sia perché non è vero che sono tutti uguali!

@Credits: le foto fanno parte della campagna di sensibilizzazione #lamorenonsiruba, legata all'uscita del film "L'amore rubato" nel 2016 (Garbo Produzioni).