Parlare di scienza al pub? Un’opportunità offerta dal festival Pint of Science che dal 22 al 24 maggio propone in varie città un ricco calendario di appuntamenti informali e conviviali, organizzati in locali e caffè; studiosi e ricercatori di diverse discipline rispondono alle domande e discutono insieme ai presenti delle loro attività di ricerca.
Il presidente del Comitato Glaciologico Italiano Valter Maggi, docente in Geografia fisica e Geomorfologia dell’Università di Milano-Bicocca, ci aspetta il 24 maggio all’Ostello Bello di via Medici a Milano con un incontro intitolato Riserva o non riserva (di acqua)... Questo è il ghiacciaio!
Professore, il 2022 è stato un anno difficile dal punto di vista climatico. Come hanno reagito i ghiacciai?
Confermando la riduzione continua, i dati sono allarmanti. Le precipitazioni nevose si sono ridotte drasticamente; nel 2022 ha nevicato solo un terzo rispetto ai dati attesi e se aggiungiamo anche che le temperature hanno raggiunto valori altissimi, è facile capire come la combinazione di questi due fattori si sia dimostrata disastrosa. I ghiacciai sono stati interessati, inoltre, da una serie di distacchi, tra cui il grave crollo della Marmolada che ha causato 11 morti e vari feriti.
Perché i ghiacciai delle Alpi italiane sono particolarmente colpiti? Cosa ci aspetta?
Il nostro arco alpino è rivolto a sud, quindi naturalmente esposto al caldo. Certamente le vette più alte, oltre i 4.000 metri, beneficiano di temperature più rigide ma sotto i 3.400 la situazione è estremamente critica. Si stima che i ghiacciai delle Alpi italiane non resisteranno oltre il 2050 con pesanti effetti negativi sul sistema idrogeologico e sulle attività agricole. Non dimentichiamo anche il notevole impatto sociale su economia e turismo, dalle località sciistiche al settore della produzione idroelettrica. Tutto ciò che è in relazione con l’acqua subirà un cambiamento.
Come funziona il sistema di misurazione relativo alle variazioni dei ghiacciai?
Il Comitato Glaciologico Italiano risale al 1895 e le misurazioni sono attive e sempre più sistematiche a partire dalla sua nascita. Una tecnica tradizionale prevedeva la misurazione della fronte, visualizzandone l’avanzamento o il ritiro. Oggi usiamo satelliti e droni che ci forniscono immagini e dati di estrema precisione. Un ulteriore strumento è il bilancio di massa, ad esempio, che fornisce la misura dei metri cubi d’acqua attraverso il confronto di due parametri: quanta neve è caduta in inverno e quanta acqua si è dispersa in estate. Come tutti i bilanci, se risulta negativo indica che il ghiacciaio ha perso massa e quindi si sta ritirando.
Non esistono tecnologie reali di conservazione?
No. Ricordiamoci che il ghiacciaio è un ecosistema vivo nel quale convivono in un equilibrio delicato varie forme di vita, tra cui alghe e insetti. Si tratta di un habitat complesso che svolge l’importante funzione di fornire acqua, in particolare durante la stagione secca, influenzando tutto il sistema idrogeologico. Le valli che ospitano i ghiacciai presentano una temperatura più bassa che influenza direttamente la circolazione delle masse d’aria e le tipologie di vegetazione.
In termini di conservazione, possiamo individuare due attori principali che sono la temperatura e la quantità di precipitazioni. Un rapporto intimo lega questi due parametri in un andamento non sempre lineare. Negli anni ‘80 e ’90 in Norvegia, nonostante fosse già in atto il fenomeno dell’aumento delle temperature, i ghiacciai hanno registrato addirittura un ampliamento della loro estensione dal momento che ricevevano tantissima neve. Oggi dobbiamo fare i conti non solo con l’innalzamento della temperatura, ma anche con la scarsità di precipitazioni.
Come accennavo prima, attualmente l’avanzamento tecnologico ci supporta soprattutto nell’analisi e nell’osservazione. Esistono strumentazioni in grado di misurare le minime oscillazioni della gravità di un vasto territorio, per esempio della Groenlandia, e quindi di ricavarne la relativa perdita di massa dovuta allo scioglimento del ghiaccio.
Lei ha definito spesso i ghiacciai degli archivi viventi. Cosa rappresenta la progressiva fusione in termini di perdita di conoscenza?
Un danno enorme. Assistiamo alla distruzione costante di dati preziosi per comprendere la nostra storia geologica, l’evoluzione climatica e i suoi meccanismi. Il cristallo di neve, quando si forma, archivia informazioni sulla composizione atmosferica. Il ghiaccio, stratificandosi, conserva queste informazioni e, in questo senso, costituisce un antichissimo archivio vivente. Oggi possiamo consultarlo attraverso i carotaggi e l’analisi accurata dei campioni che conserviamo all’interno dell’EuroCold Lab. Disponiamo di un laboratorio dalla valenza strategica, che simula le condizioni dell’Antartide centrale.
Parliamo di soluzioni. Cosa si può fare, quale margine di manovra resta?
Il punto di non ritorno è già passato; i ghiacciai rispondono in modo diretto ai cambiamenti climatici. Resta la necessità urgente di invertire subito la rotta proprio perché, anche se dovessimo riuscirci, i risultati si vedrebbero comunque dopo un lungo arco temporale.