Il 24 febbraio 2019 (la notte del 25 in Italia) il Dolby Theatre di Hollywood ospiterà la 91° edizione della cerimonia dei premi Oscar, la più antica e prestigiosa tradizione in ambito cinematografico nata grazie alla californiana Academy of Motion Picture Arts and Sciences.
I migliori esponenti di ogni categoria del cinema saranno premiati con la famosa statuetta "Oscar", che deve il suo nome alla somiglianza con Oscar, lo zio di Margaret Herrick, direttrice della biblioteca dell’Academy negli anni Trenta.
Tutto ebbe inizio il 16 maggio 1929. Duecentocinquanta persone sedettero a una cena privata dal costo di dieci dollari per assistere a una cerimonia che non occupò neanche cinque minuti. Una delle attrici vincitrici, Janet Gaynor, indossava una gonna midi, un golfino a maniche lunghe e un foulard.
Molto è cambiato da allora e se ogni edizione ha fatto discutere per diverse ragioni, cosa ci dobbiamo aspettare dalla notte del 2019?
Nonostante in gara non sia presente nessun film italiano, i telespettatori dello stivale hanno ancora dei buoni motivi per sintonizzarsi sulla cerimonia.
- Primo su tutti l'assenza di un presentatore ufficiale. Dopo la rinuncia dell'incarico da parte di Kevin Hart, a causa di alcuni vecchi tweet omofobi riemersi subito dopo la conferma della sua presenza sul palco, l'Academy non rilascia nessuna comunicazione ufficiale per svelare chi condurrà la premiazione. Si vocifera di presentatori multipli o di una serata priva di un presentatore, circostanza che non si verifica dal 1989.
- A convincere le telespettatrici ci penserà una "categoria" non premiata ma che più di tutte si fissa nell'immaginario collettivo, regalando immagini indimenticabili e molti sospiri: il best dressed della serata. Chi non ricorda l'abito a meringa firmato Dior di Jennifer Lawrence nella notte del 2013 (con cui cadde dal palco durante il ritiro della statuetta) o il Ralph Lauren rosa in cui apparve nel 1999 Gwyneth Paltrow?
- Per affrontare con originalità un tema delicato come la discriminazione delle minoranze si segnala la candidatura del film di Spike Lee “BlacKkKlansman” nelle categorie Miglior Film e Miglior Regista. In uno scenario anni ’70 a metà tra il grottesco e il drammatico, prende vita l’avventura di un poliziotto afroamericano che si infiltra nel Ku Klux Klan. Il film, tratto da una storia vera, delinea i cattivi e la malvagità senza alcuna solennità, analizzandoli nei loro aspetti tragicomici. La pellicola è una forte denuncia al razzismo attuale, costruita su scene paradossali che rendono impossibile non farsi una sincera risata.
Ma cosa ne pensa la nostra esperta Emanuela Mancino (Filosofia dell’Educazione)? Cosa rappresenta oggi questa famosissima cerimonia di premiazione?
La notte degli Oscar, così come i suoi esiti e le attese ad essa legate, raccontano di contorni di pensiero, di momenti storici, di tendenze e comportamenti. L’Oscar ci dice che abbiamo bisogno di eventi e di premi, ci dice che accanto al piacere per un film siamo interessati anche al giudizio o ai pareri che lo accompagnano. Abbiamo bisogno di appuntamenti e ritualità.
Il giudizio su un film o il fatto che una pellicola riesca o meno ad approdare al contesto del premio dice altro di noi. Volenti o nolenti dobbiamo confrontarci con un sistema di valutazione e di riconoscimenti: sappiamo tutti molto bene che un film può essere meraviglioso anche se non è stato premiato all’Oscar o se non è rientrato tra i concorrenti, ma sembra sempre che non si possa perdere un film se è stato tra i candidati o se ha addirittura vinto. L’industria dello spettacolo e dell’intrattenimento impone classifiche e quindi ci chiama a sposare, dissentire, ignorare o scegliere la possibilità del consenso. Lo abbiamo visto da poco con l’appuntamento nazional-popolare per eccellenza in Italia: il Festival di Sanremo crea l’opportunità per espremere un’opinione, una posizione, un consenso o un dissenso; è un pretesto per argomentare, per dire sì o dire no.
L’istituzione di un premio di risonanza mondiale permette la possibilità di un’adesione da parte degli spettatori alle “tendenze” rappresentative nel mondo del cinema ma consente anche il conservarsi di un sistema di spettacolo e cultura che potrebbe tendere alla creazione di un’uniformità del gusto.
Kierkegaard sosteneva che i critici letterari, i recensori, ma anche la pubblicità, contribuiscono a “creare gli uomini”, sono quasi come “sarti del mondo borghese” che creano la moda sia dello scrittore, sia del lettore.
Ma vogliamo vedere anche l’altra possibilità. La necessità e la libertà di scegliere per gusto personale e di espimere un dissenso può creare le basi per la dialettica del dissenso.
Il momento stesso del premio ha spesso costituito un’occasione “interna” per l’esercizio del dissenso: attori che non hanno voluto ritirare il premio o che hanno inviato, per sostituirli, rappresentanti di una denuncia sociale, come avvenne, per esempio, nel 1973 con Marlon Brando, che rifiutò il premio, boicottando la cerimonia e facendo parlare al proprio posto una giovane apache che denunciava il razzismo nell’industria cinematografica. Nelle ultime edizioni i discorsi con più applausi e commenti sono stati proprio quelli che esprimevano dissenso. Dalle posizioni politiche alla denuncia sociale, la cerimonia conferma il proprio statuto di palcoscenico.
L’anno scorso hanno trionfato film sul diverso, sulla necessità di guardare le cose da un’altra prospettiva. Forse quest’anno Hollywood sta provando a guardarsi intorno, cercando sguardi ora greci (Lanthimos), ora messicani (Cuaron) o confermando film che hanno già avuto molto consenso in Europa. La diversità diviene quest’anno la proposta di mostrare gli artefatti politici di cui non sempre abbiamo consapevolezza: affacciarsi sul mondo in bianco e nero di un Messico lontano ammirandone la straziante, dignitosa e profonda bellezza non può non far sentire l’edificarsi di muri rischiosi quanto aberranti.
Infine, siccome il cinema vuole restare fedele anche alla propria natura onirica, Hollywood non ha dimenticato i film più popolari come “Bohemian Rapsody” o “A star is born”. Perché tra bianco e nero, proteste, sfarzo e tensioni, paillettes e polemiche, Hollywood non può smettere di far sognare.