Non solo design. Al Fuorisalone va in scena il lifestyle milanese - Bnews Non solo design. Al Fuorisalone va in scena il lifestyle milanese

Installazioni, mostre, percorsi, feste, workshop. Tutto questo è il Fuorisalone. La manifestazione diffusa in tutta la città di Milano, nata come evento collaterale del Salone internazionale del mobile, con il suo ricco calendario di eventi anima tutta la città durante la Milano Design Week. E se il design rimane il protagonista indiscusso della settimana che quest’anno si tiene dal 17 al 22 aprile, il Fuorisalone diventa sempre più una miniera di occasioni per scoprire curiosità e nuove tendenze anche in altri ambiti: moda, lifestyle, musica, arte e l’immancabile settore del food. Ma cosa ne pensano i milanesi e cos'è che decreta il successo di una formula - Salone e Fuorisalone -che vanta numerosi tentativi di imitazione? Ne abbiamo parlato con Giampaolo Nuvolati, sociologo urbano e direttore del dipartimento di Sociologia e ricerca sociale dell’Università di Milano-Bicocca.

Professore, qual è la chiave del successo del Fuorisalone?

Manifestazioni come il Fuorisalone rappresentano ormai una tradizione nella quale la città di Milano incontra compratori e visitatori da tutto il mondo. L’aspetto più significativo è sicuramente legato alla moltiplicazione dei luoghi che in vari punti della città ospitano mostre e allestimenti. La manifestazione innerva dunque la città e questa si lascia a sua volta attraversare. 

Si può dire che la "formula" dei distretti abbia trasformato la partecipazione a un evento in una vera e propria esperienza?

Nel Fuorisalone la dimensione professionale e commerciale degli eventi incrocia la quotidiana della città in uno specchio reciproco dove i protagonisti possono facilmente sfumare da una condizione all’altra: facendo pochi passi e a seconda degli orari si può passare dall’essere cittadini a visitatori, a turisti, a compratori e viceversa. É la promiscuità dei ruoli e delle circostanze a rendere l’esperienza interessante. Del resto questo è anche il modello di diverse manifestazioni culturali. Penso alla Biennale di Venezia ancora concentrata nei Giardini e all’Arsenale ma che vede sempre più la presenza di diversi padiglioni e di eventi collaterali sparsi per la città. Lo stesso vale per Documenta la manifestazione internazionale d’arte contemporanea che si tiene ogni 5 anni a Kessel in Germania e in occasione della quale i momenti di cui si compone sono distribuiti nel tessuto urbano. Enrique Vila-Matas ha scritto un bellissimo libro a riguardo, Kassel non invita alla logica, Feltrinelli 2015, che rivela proprio come certe manifestazioni abbiano successo nella misura in cui simboleggiano il rapporto intenso tra la città nel suo complesso e la serie coordinata di eventi che in essa si tengono. Situazione dunque assai diversa da quella di Expo, dove anzi gli operatori commerciali del centro di Milano hanno spesso denunciato un mancato intreccio tra i visitatori e la città stessa, vista la perifericità della manifestazione. Con il Fuorisalone è dunque Milano nella sua interezza a proporsi, diventa un palcoscenico che non mette in mostra solo mobili e design ma anche sé stessa e, soprattutto, uno stile di vita. Del resto è noto a tutti gli operatori di city marketing che la componente estetica ed esperienziale – non solo nei sui aspetti più monumentali e museali ma anche in relazione alla vivibilità urbana quotidiana – costituisce l’aspetto forse più rilevante cui prestare attenzione per attrarre visitatori.

Come viene vissuto l'evento dai milanesi? Pensano che faccia bene alla città?

Nonostante i problemi abituali di congestione legati a manifestazioni internazionali, credo che i milanesi si siano abituati alla serie di eventi (penso alla settimana della moda) che ormai segnano il cosiddetto brand della città e contribuiscono alla valorizzazione dei suoi quartieri. Ovviamente occorre scongiurare processi di gentrificazione e di polarizzazione sociale nei quali al front-stage degli eventi si contrappongano zone buie di profondo disagio della città. Si tratterà allora di pensare alla riqualificazione anche dei quartieri dove gli eventi non arrivano, in una ottica di benessere complessivo che trovi linfa e risorse da queste manifestazioni ma sappia ben distribuirle a seconda dei reali fabbisogni della popolazione, in particolare di quelle più deboli.