Un’iniziativa concreta per aiutare le famiglie sul tema dell’educazione digitale. Patti Digitali è un progetto che nasce dalla convergenza di attività di ricerca svolte da diversi anni al centro di Ricerca "Benessere Digitale" dell'Università di Milano-Bicocca e del lavoro di associazioni all'avanguardia sull'offerta di educazione digitale di comunità (MEC - Media Educazione, Comunità, Aiart Milano e Sloworking) e con il supporto dello psicoterapeuta e scrittore Alberto Pellai.
A Marco Gui, sociologo dei media ed esperto di uso di internet, abbiamo chiesto cosa sono i Patti Digitali, qual è l’urgenza educativa che li sottende e quale il loro scopo.
In cosa consistono i Patti Digitali?
Si tratta di accordi tra genitori che si sono resi conto che solo insieme possono gestire l'ingresso nel mondo digitale dei figli secondo la gradualità che sembra loro più opportuna. I gruppi nascono informalmente, ma poi si danno degli impegni formali, invitando le famiglie del territorio che lo desiderano a firmare.
Patti Digitali propone ai gruppi di sottoscrivere tre principali impegni:
- decidere insieme il momento in cui i bambini faranno esperienza di specifiche pratiche digitali, quali contenuti sono adatti per la loro età e quali strumenti consegnare (ad es. l’età di arrivo dello smartphone personale connesso in rete, preferibilmente non prima della seconda media);
- partecipare con i figli a momenti di educazione digitale: organizzando incontri di approfondimento e di scambio di esperienze, anche coinvolgendo esperti e partendo dalle proposte e dai bisogni che esprime ciascuno dei gruppi promotori;
- regolare l’utilizzo dei dispositivi digitali: sottoscrivendo accordi con i propri figli che ci impegnerà, insieme, a rispettare e verificare periodicamente. In particolare, decidere i luoghi (niente schermi a tavola, in camera da letto, nelle uscite con la famiglia), i tempi (momenti della giornata in cui si usano gli schermi, e un tempo massimo dopo il quale si spegne); i contenuti (es. rispettare lo standard PEGI e le indicazioni di età sia dei programmi sia dei social media).
Prendere un impegno collettivo su questi punti rende la famiglia più efficace nel rispettarli e permette un confronto e un aumento di competenze di tutti. Il sito pattidigitali.it vuole federare le diverse esperienze che sono nate sul territorio sulla base di queste idee e offrire loro risorse e consulenza.
Da quale esigenza nasce questo progetto?
Spesso i genitori concedono un accesso libero alla rete precocemente, nonostante ritengano che l’arrivo di smartphone e dei social nelle mani dei minori andrebbe posticipato, per consentire un adeguato accompagnamento all’uso dello strumento. Questo perché esiste in realtà una forte pressione sociale e commerciale all'anticipazione dell'ingresso autonomo in rete. Lo smartphone sembra anche risolvere questioni come la protezione dei figli quando sono fuori casa, l'inclusione nel gruppo dei pari e l'autonomia nello svolgimento di alcune operazioni quotidiane, spesso legate alla scuola.
Soprattutto negli ultimi anni, gli esiti di una crescente ricerca scientifica, unita a pronunciamenti delle associazioni pediatriche di tutto il mondo – oltre alle norme italiane ed europee – suggeriscono un approccio più cauto sull'accesso precoce alla rete.
E tuttavia è difficile resistere da soli a queste forze, ma anche è difficile trovare occasioni di confronto per capirne di più. I patti sono nati informalmente per fare massa critica e confrontarsi tra genitori. Nel tempo è diventato sempre più chiaro che un simile impegno di progettare collettivamente l'accesso al mondo digitale dei preadolescenti si può fare solo come comunità, collaborando tra diverse agenzie educative: la famiglia, la scuola, le associazioni sportive, gli oratori, le associazioni, gli assistenti sociali.
Quali obiettivi vorreste raggiungere?
In primo luogo, vogliamo offrire risorse e consulenza ai gruppi che vogliono formarsi sulla base di questa idea. Tuttavia, pensiamo che questa iniziativa possa offrire anche uno spunto di riflessione per la scuola.
Noi pensiamo che i benefici di un tale approccio possano essere colti solo se il contesto è adeguato: vi è un ambiente controllato, genitori presenti, pianificazione dei tempi. Quante famiglie hanno le risorse per fare tutto questo? Vorremmo quindi portare questa esigenza all'attenzione di chi progetta la didattica, per trovare soluzioni che garantiscano ambienti sicuri per la socializzazione online.
Infine, pensiamo di portare un messaggio che potrebbe essere colto anche a livello politico e di regolamentazione, sia pubblica che interna alle principali piattaforme online. Il nostro obiettivo è accelerare il processo di consapevolezza e di ricerca di nuove soluzioni per un accesso graduale e protetto alla rete. Senza di esse, la digitalizzazione dei minori rischia di essere più un danno che un beneficio.