Lo scorso Natale è stato lanciato il James Webb Space Telescope, (nella foto in alto, FONTE: Nasa/ESA). l’osservatorio spaziale più grande e potente mai costruito finora, erede di Hubble, frutto di una partnership tra la Nasa, l’Esa e la Canadian Space Agency. Una volta operativo, il Webb Telescope raccoglierà dati destinati a programmi di osservazione selezionati dalla comunità scientifica: su 1.172 proposti ne erano stati approvati 266 (meno di un quarto), 9 dei quali guidati da principal investigator (referenti scientifici) che lavorano in Italia. Tra questi 9 c’è Sebastiano Cantalupo, professore ordinario di Astrofisica presso il nostro ateneo. Gli chiediamo di spiegarci come “Unraveling the Knots of Gaseous Cosmic Web Filaments at z~3 through H-alpha Emission Observations” – il titolo del suo programma di osservazione – riuscirà a svelare “la natura e le caratteristiche della ragnatela cosmica che unisce le galassie più lontane”.
Da dove nasce il programma?
Si inserisce all’interno di una linea di ricerca che porto avanti da anni. Di solito si pensa allo spazio come a uno sfondo nero sopra il quale spiccano le galassie, sistemi di stelle apparentemente isolate l’una dall’altra. Ma queste in realtà sono solo la punta dell’iceberg: secondo i nostri modelli cosmologici attuali, la maggior parte della materia di cui è composto l’universo non è visibile, o perché sotto forma di materia oscura, o perché è così diffusa da non essere in grado di formare galassie. Se fossimo in grado di osservare questa materia, vedremmo l’universo non come una collezione di piccoli ‘puntini’ isolati ma come una ragnatela o "rete cosmica" all’interno della quale si formano le galassie. Tutte le galassie sono collegate tra di loro da questa ragnatela di filamenti.
Cosa chiedete al James Webb Telescope?
Di avere per la prima volta una immagine nitida di questi filamenti tra le galassie. Nella mia ricerca passata sono andato alla ricerca di “torce cosmiche” che mi permettessero di illuminare la materia tra le galassie e che ho individuato nei quasar, dischi di accrescimento che emettono un’enorme quantità di radiazione ultravioletta intorno ai buchi neri supermassicci, nell’universo distante, a 10 miliardi di anni luce da noi. I primi esperimenti per individuare la ragnatela cosmica, tramite i Telescopi Keck alle Hawaii, dell’Università della California e il Telescopio all’Osservatorio del Panaral in Cile, dell’Eso, hanno avuto molto successo ma hanno restituito immagini poco definite, a causa del tipo di emissione osservata nella banda ottica e dell’effetto dell’atmosfera terrestre. Con il James Webb Telescope supereremo questo limite, perché agirà nello spazio profondo e perché osserveremo nell’infrarosso invece che nel visibile. Potremo osservare per la prima volta queste strutture cosmiche nel dettaglio, com’è distribuita la materia all’interno dei filamenti, le loro proprietà.
Quando e come verranno raccolti e analizzati i dati sulla Terra?
Il Webb Telescope è ancora in viaggio verso un punto lontano dalla Terra dove rimarrà per il resto dei suoi giorni nel buio e freddo più profondo (qui si possono seguire tutte le varie fasi). Ci vorranno 4-5 mesi prima che sia pronto. Dopo una fase preliminare di osservazioni per dimostrarne il funzionamento, a fine estate dovrebbero cominciare le vere e proprie osservazioni scientifiche, più complesse, per il nostro progetto. Se tutto funzionerà, ci aspettiamo di poter avere i dati entro un anno dopo questa fase preliminare.
I ricercatori Bicocca lavoreranno in un laboratorio particolare?
Per noi astrofisici il laboratorio è l’universo. Noi saremo nei nostri uffici dell’edificio U2 – Quantum. I dati in forma grezza verranno raccolti dallo Space Telescope Science Institute della Nasa a Baltimora e inviati ai nostri computer. Per l’analisi utilizzeremo strumentazioni tecnologiche finanziate in parte dai nostri Erc.
Questo lavoro viene portato avanti dal COSMIB Group (Cosmic Structures at Milano Bicocca), gruppo di ricerca nato all’interno della Unità di Astrofisica del dipartimento di Fisica dell’ateneo. Chi siete?
Siamo due professori ordinari, io e Michele Fumagalli, un ricercatore, Matteo Fossati, più un nutrito gruppo di assegnisti e dottorandi e studenti, una ventina in tutto. È nato più o meno due anni fa quando io e Michele, vincitori entrambi di un Erc e provenienti da percorsi di ricerca interamente all’estero dopo la laurea, siamo stati chiamati da Milano-Bicocca, in tempi leggermente diversi, e abbiamo deciso di tornare in Italia unendo le forze per creare un nuovo gruppo leader internazionale nel nostro campo di ricerca. Tra diverse Università in Italia che ci hanno contattato, abbiamo identificato Milano-Bicocca come la sede ideale per il nostro nuovo progetto. Io personalmente sono rientrato in Italia dopo 17 anni dopo essere passato dal Politecnico di Zurigo all’Università di Cambridge, dall’Università della California a Santa Cruz, dove ho incontrato Michele, e di nuovo al Politecnico di Zurigo.