Matteo Pelagatti e il suono del suo sax: una ricerca in continuo mutamento - Bnews Matteo Pelagatti e il suono del suo sax: una ricerca in continuo mutamento

Matteo Pelagatti e il suono del suo sax: una ricerca in continuo mutamento

Matteo Pelagatti e il suono del suo sax: una ricerca in continuo mutamento
Matteo Pelagatti

Quello che ci siamo concessi con Matteo Pelagatti, ordinario di Statistica Economica del nostro Ateneo, è un vero e proprio viaggio musicale che comincia dall’ultima edizione della rassegna musicale di Bicocca e che attraversa alcune tappe del suo universo sonoro.

Professor Pelagatti, qual è il bilancio della sua partecipazione all'edizione del Bicocca Music Festival 2024?

Il bilancio è molto positivo e credo molto nell’iniziativa considerando che ho partecipato anche alla scorsa edizione del festival con un progetto più funk e disco music, diverso sicuramente dai Velvet Blue. Il cambio di location dovuta al maltempo non ha fermato la presenza di un buon pubblico, non numerosissimo per ovvie ragioni ma molto attento e partecipe. Sono rimasto sinceramente colpito dal livello molto alto dei ragazzi che hanno suonato prima di noi e questo mi fa ben sperare nel futuro; mi ha fatto anche piacere ascoltare tanta musica d’autore, suonata da musicisti che nonostante siano alle prime esperienze hanno una notevole capacità di tenere il palco. Quando, da ragazzo, facevo i concorsi in giro per Milano il livello era sicuramente più basso, altro che air monitor! Era già tanto se riuscivi a guardare dalla parte giusta del palco (nda: ride).

All'interno dei Velvet Blue, formazione con cui ha partecipato al nostro festival, hai il ruolo chitarrista e sassofonista. Ci racconta com'è nato l'interesse verso questo strumento?

Originariamente nasco come studioso di chitarra jazz che ho scelto perché questo genere fornisce secondo me le basi per estenderei i propri confini verso altri orizzonti musicali, tanto è vero che mi sono presto avvicinato anche al soul e al funk. Il mio incontro con il sassofono è stato invece del tutto casuale perché mio figlio, ancora in quinta elementare, ha insistito per volerlo suonare. Ho ceduto alle sue richieste e mi sono ritrovato in casa questo strumento che mi ha incuriosito al punto da approfondirlo con lezioni private. Mio figlio si è fermato dopo qualche anno mentre io continuo ancora oggi ad esempio nei Velvet Blue, che ho deciso di portare all’edizione del Bicocca Music Festival di questo 2024. Aggiungo che strumenti come il sassofono o la tromba, a differenza di pianoforte e chitarra, hanno la capacità di farti diventare una parte dello strumento stesso. Certo, nella chitarra il tocco è molto importante ma con il sax devi lavorare alla creazione del tuo suono, che viene influenzato in modo decisivo da come ti poni con il tuo corpo, da come utilizzi le corde vocali, la lingua, fino alla gestione del respiro. Questa ricerca può durare per sempre e raggiunge in questo senso delle punte meditative, rilassanti. Il problema degli strumenti a fiato è che hanno volumi pazzeschi; per fortuna in casa ho una piccola cabina armadio che mi permette di suonare dopo una giornata di lavoro in cui mi abbandono all’esecuzione di note molto lunghe e molto concilianti senza il rischio di essere malmenato dai vicini. Ripeto, la creazione di un tuo suono personale e praticamente interiore è l’aspetto chiave nell’approccio al sassofono.

Ha un sassofonista di riferimento?

Ancora prima di suonare il Sassofono posso dire di essermi formato musicalmente all’interno del mondo della fusion anni ottanta novanta e in quell’ambito non posso non citare Michael Brecker, un tenorista sensazionale che è venuto a mancare prematuramente in relazione a ciò che poteva ancora regalarci. Il mio amore per lui non ha mai avuto confini: già da chitarrista provavo a trascrivere alcuni suoi soli adattandoli allo strumento. Rimanendo nel mondo del sax tenore, tra i miei riferimenti, c’è ovviamente anche John Coltrane. Altro pilastro da menzionare è David Sanborn, ahimè scomparso anche lui da un paio di mesi. Sanborn è stato, in sintesi, il suono del sax contralto degli ultimi quarant’anni (negli anni ha collaborato, tra i tanti, con Clapton, Bowie, Springsteen e tanti altri ancora). Nel mondo del pop dagli anni ottanta ad oggi se non eri Sanborn cercavi comunque di emularlo o comunque di creare un sound che in qualche modo gli assomigliasse. Se devo fare un’altra immersione in un passato più remoto, penso sia impossibile prescindere anche da Charlie Parker.

I brani scelti dalla sua band per il concerto hanno spaziato dai Beatles ai Radiohead passando anche per Sade e Sting. Come avviene solitamente la scelta delle canzoni da eseguire live? Vi è mai capitato di lavorare a qualche inedito?

Nei Velvet Blue sono arrivato per ultimo, chiamato in causa dall’attuale batterista. Posso dire di aver ereditato quasi tutti i loro brani che vanno a costituire un repertorio cucito sul timbro vocale della nostra cantante e sulle nostre esigenze da quartetto. Diciamo che nel nostro caso passione ed esigenza devono per forza camminare di pari passo. Hai citato i Radiohead: al Bicocca Music Festival abbiamo eseguito “High And Dry” su mia espressa richiesta perché è un pezzo essenzialmente rock che però si modella molto sulla struttura della nostra band.

Velvet Blue al Bicocca Music Festival 2024
Velvet Blue al Bicocca Music Festival 2024

Qual è il suo rapporto con la fruizione musicale in quest'epoca di streaming e di velocità di ascolto? C'è qualche progetto sonoro in particolare, anche non necessariamente contemporaneo, che vuole consigliare ai nostri lettori?

Quando ho cominciato ad ascoltare seriamente musica c’erano i dischi, le cassette e, più tardi, i primi cd. Ricordo che l’attesa per l’uscita di un nuovo album era quasi logorante e costellata da giri a vuoto nei negozi di fiducia in cui, da appassionati, ci riversavamo fiduciosi bombardando i poveri commessi con le solite domande “Ma allora è uscito? Quanto devo aspettare?”. Poi il disco arrivava, che fosse cd o vinile, e cominciavi a consumarlo tutto dall’inizio alla fine fino a conoscerne ogni sua infinitesima componente a tapparelle rigorosamente abbassate per avere il buio quasi assoluto, fenomeno ricorrente con i dischi dei Pink Floyd (nda: ride). Oggi la fruizione è radicalmente cambiata e devo dire che la mutazione genetica dell’ascoltatore fosse già cominciata prima dello streaming all’inizio degli anni duemila a causa dell’aumento spropositato dell’offerta, nonostante lo streaming stesso sia stato sicuramente un fattore determinante nel fare diventare la musica come una sorta di utility, come l’elettricità. Ho bisogno di musica? Apro il rubinetto ed esce! Con l’attuale stato delle cose è molto difficile che un disco venga ascoltato dall’inizio alla fine a meno che non si è impegnati in attività collaterali. Personalmente non mi capita di ascoltare un disco intero su Spotify, ecco. L’ascolto è diventato sicuramente più fluido, motivo per cui la logica del concept album è praticamente scomparsa. Per quanto riguarda invece i progetti musicali che ho scovato anche grazie alla rete e che posso consigliare ci sono gli Scary Pockets e i Pomplamoose di Jack Conte, musicista poliedrico che tra le altre cose è il fondatore di Patreon, una piattaforma di crowdfunding da tenere d’occhio basata su abbonamenti che permette ai creatori di contenuti, come musicisti, artisti, scrittori, podcaster, e molti altri, di ricevere supporto finanziario regolare dai loro fan. Un'altra formazione notevole è sicuramente quella dei Dirty Loops, un trio svedese che riarrangia molti pezzi pop mainstream un po' alla Chick Corea Electric Band, con un tocco sicuramente molto fusion. Chiudo con un’artista giovane e sorprendente: Matteo Mancuso, chitarrista poliedrico siciliano di cui sentiremo parlare per molto tempo.