L’orologio dell’Apocalisse: storia di un monito ad agire - Bnews L’orologio dell’Apocalisse: storia di un monito ad agire

Mai così vicini all’Apocalisse. Dal 24 gennaio le lancette dell’orologio dell’Apocalisse segnano 90 secondi alla mezzanotte, orario scelto per indicare la “fine del mondo”. La guerra in Ucraina e la paura di un conflitto nucleare hanno accelerato in modo repentino la corsa delle lancette in avanti.

Ma cos’è esattamente questo orologio, che, lo sveliamo subito, esiste davvero? Soprattutto, come funziona e cosa vuole simboleggiare? Lo abbiamo chiesto a Luca Mocarelli, professore ordinario di storia dell’economia: con lui, ripercorriamo storia e obiettivi di questo strumento.

Professore, innanzitutto, cos'è l'orologio dell'apocalisse?

Il così detto orologio dell’apocalisse è stato creato da alcuni scienziati statunitensi noti come Chicago atomic scientists perché coinvolti nel progetto Manhattan, l’iniziativa che, nel corso della Seconda guerra mondiale, avrebbe permesso agli Stati Uniti di vincere la sfida con la Germania per la realizzazione di un’arma nucleare. Essi erano però decisamente contrari all’impiego della nuova arma contro gli esseri umani, come invece è poi avvenuto nel 1945 a Hiroshima e Nagasaki.

L’orologio è stato per la prima volta rappresentato nel giugno 1947 sulla copertina del Bullettin of atomic scientists e l’obiettivo era quello di esprimere in un modo immediatamente percepibile il radicale cambiamento del livello di rischio in cui l’umanità si trovava a vivere in seguito all’inizio dell’era nucleare. Per questo si è scelto di indicare la mezzanotte come momento dell’apocalisse e si sono inizialmente collocate le lancette dell’orologio a sette minuti da quella dead line.

L’orologio esiste realmente e si trova negli uffici del Bulletin collocati presso il Keller Center, sede della Harris School of Public Policy dell’Università di Chicago.

Quali eventi causano lo spostamento delle lancette in avanti o indietro?

Il funzionamento dell’orologio è molto semplice. Il board della rivista, oggi composto da 18 esperti di diverse competenze - dalla politica, alla diplomazia, alla storia militare alla scienza nucleare - si riunisce due volte all’anno e nel gennaio di quello successivo indica, in base all’evoluzione della congiuntura internazionale, se spostare in avanti le lancette o se allontanarle dalla mezzanotte. Per questa ragione la distanza delle lancette dalla mezzanotte è continuamente cambiata, oscillando tra un massimo di 17 minuti nel 1991, quando con la fine della guerra fredda Stati Uniti e Unione Sovietica hanno firmato il primo trattato Start per la riduzione delle testate nucleari, e un minimo di soli 90 secondi indicato all’inizio di quest’anno. Va però evidenziato che a partire dal 2010, quando le lancette erano a sei minuti dalla mezzanotte, e quindi su un valore non molto lontano da quello del 1947, si è assistito a una costante riduzione del tempo rimasto.

Si sono avuti cambiamenti nelle cause di spostamento durante gli anni?

Il progressivo avvicinamento alla mezzanotte verificatosi in quest’ultimo decennio dipende in effetti anche da un significativo mutamento nei criteri utilizzati per calcolare il movimento delle lancette. Inizialmente e per decenni l’obiettivo del Bulletin è stato quello di fornire all’opinione pubblica, ai policymakers e agli scienziati informazioni utili ad acquisire consapevolezza dei pericoli che l’uomo poteva creare alla sua stessa sopravvivenza con le armi nucleari. Di fatto per la prima volta gli scienziati richiamavano l’attenzione sulla necessità di riflettere intorno alle conseguenze dell’impiego delle proprie scoperte e invenzioni.

A partire dal 2007, e questo spiega anche l’ampliamento delle competenze nel board della rivista, si è invece deciso di allargare lo spettro delle minacce al futuro dell’umanità da prendere in considerazione, aggiungendo alla proliferazione nucleare anche i cambiamenti climatici e le “disruptive technologies”, con particolare riferimento alla bio e cybersecurity. Questo perché si è ritenuto che ognuna di queste tre minacce avesse di per sé il potenziale di distruggere la civiltà e rendere la terra inabitabile per gli esseri umani.

Qual è lo scopo di questo strumento, secondo lei?

L’adozione di uno strumento molto efficace dal punto di vista comunicativo come l’orologio è legata all’obiettivo di rendere immediatamente percepibile la situazione di rischio in cui l’uomo si sta ponendo, ma non tanto per impaurirlo, quanto piuttosto per spingere le persone all’azione e al cambiamento. Potremmo dire che l’orologio ha soprattutto una funzione di warning, un po’ come i canarini che i lavoratori portavano con sé nelle prime miniere di carbone perché, essendo molto sensibili al metano e al monossido di carbonio, erano perfetti per indicare la presenza di fughe di gas fungendo così da allarme per una immediata evacuazione.

Quali i limiti di questa rappresentazione?

In realtà l’orologio non ha la pretesa di indicare una reale fine del mondo anche perché rispetto a quando è stato creato la situazione è diventata più complessa. Al tempo della Guerra fredda il countdown si riferiva infatti semplicemente all’eventualità di una guerra nucleare che avrebbe avuto conseguenze devastanti e irreversibili per il pianeta. Ma oggi, se si pensa al cambiamento climatico, è molto più difficile avere idea di cosa significhi il prima e il dopo la mezzanotte, anche se con riferimento al clima ci sono sicuramente dei punti di non ritorno. Lo stesso vale per la rapidissima trasformazione tecnologica che stiamo vivendo e i cui esiti sono per molti aspetti ancora imprevedibili. Non bisogna quindi attribuire all’orologio alcun reale potere predittivo ma piuttosto considerarlo, come ho già detto, uno strumento che ci richiama alla necessità di azioni e di interventi a difesa della vita sul pianeta che stanno diventando sempre più indifferibili.