Lo Spazio secondo Amalia Ercoli Finzi - Bnews Lo Spazio secondo Amalia Ercoli Finzi

«Jurij Gagarin fu il primo essere ragionante ad andare nello Spazio. Il 12 aprile del 1961 si aprì una strada nuova: si ebbe la dimostrazione che c’era la possibilità di andare oltre la Terra. Gagarin ebbe il grande merito di essere il primo uomo ad aver avuto il coraggio di provare, un coraggio però non incosciente, ma supportato dalla certezza che si era lavorato bene. Per questo secondo me è da considerarsi senz’altro un eroe.» Così riviviamo grazie ad Amalia Ercoli Finzi, responsabile dello strumento SD2 sulla sonda spaziale Rosetta, l’impresa di Jurij Gagarin di cui oggi ricorre il 60esimo anniversario.
La Finzi, professoressa onoraria di ingegneria aerospaziale del Politecnico di Milano, consulente scientifico della NASA, dell’ASI e dell’ESA, fu infatti testimone diretta di quello che resterà per sempre un evento segnante della nostra storia.

Professoressa, perché fu un evento storico?

Occorre pensare che all’epoca non c’era assolutamente la certezza di effettuare un volo nello spazio con un equipaggio umano e soprattutto di concluderlo felicemente. Si erano fatti tentativi con altre specie - cani e scimmie - ma mai esseri umani! Ricordo benissimo un’immagine che spiega lo stato d’animo di quel momento: Korolev (capo progettista del programma spaziale Vostok) dal suo bunker sulla terra colloquia con Gagarin.
Si vede sul volto del primo la tensione e la preoccupazione per il secondo: stava aspettando da ben 25 minuti la telemetria e i dati sul volo che garantissero il rientro del modulo spaziale. Questo per dire che c’era la paura di perdere il primo uomo nello Spazio.
Il successo del volo ebbe quindi un significato profondo e insostituibile: aprì la strada per la presenza dell’uomo al di fuori della terra, fu l’inizio delle stazioni spaziali e poi delle esplorazioni sulla Luna. E ora, in quel solco, ci attende Marte e son certa che entro gli anni 30-40 ci riusciremo!

I protagonisti dello spazio erano USA e Russia. Ma l’Europa e l’Italia allora stavano a guardare?

No, anzi! È vero che i grandi protagonisti son stati russi e americani e questa competizione è stata utile per riuscire a trovare soluzioni e risultati: i circuiti integrati, utilizzati nel programma Apollo, ne sono un esempio. Ma dopo il successo del 1969 sulla Luna e le prime stazioni spaziali cambiò la prospettiva: i passi successivi non furono più opera di un singolo, ma frutto della collaborazione di molti. Si era capito infatti che per fare grandi imprese bisognava lavorare in tanti, e non solo per i grandi investimenti necessari ma anche per avere grandi competenze. Da allora, l’Italia con l’ESA ha iniziato a partecipare a missioni importantissime come Giotto e Cassini. A dimostrazione della grande considerazione che godiamo in questo campo, basti pensare che il 50 per cento dei moduli nella Stazione spaziale Internazionale sono di produzione italiana.

Qual è il motore che, secondo lei, spinge l’uomo nell’ esplorazione dell’universo?

Sono convinta da sempre che lo Spazio sia il cantiere dei sogni: solo lì possiamo realizzare cose che sulla Terra sarebbero impensabili! Non è solo la conoscenza che ci spinge, ma è una tensione dentro di noi, la stessa pulsione con cui gli esploratori andavano a cercare le sorgenti del Nilo. Voler vedere sempre cosa c’è al di là, significa che noi abbiamo dentro una spinta inconsapevole che ci porta a scoprire quel che ancora non sappiamo ma che vogliamo conquistare. Ogni volta che riusciamo a chiudere una finestra dell’ignoranza, cioè capiamo qualcosa, ci si spalanca un portone, cioè troviamo molte altre cose che non conosciamo. Tutte queste scoperte ci portano messaggi lontani e noi vogliamo arrivare il più lontano possibile! Dobbiamo esser certi che il sogno, a piccoli passi, si possa realizzare.

Nel suo caso, cos’ha fatto scoccare la scintilla per lo spazio?

La molla principale per dedicarmi allo spazio è stata la mia passione per le stelle: passavo ore ed ore a osservarle, a godermi il cielo stellato, soprattutto in inverno, nelle serate terse. Mi sono presa tanti raffreddori per questo motivo! Ho scelto poi questo percorso perché penso di essere un ingegnere nata, ho sempre voluto capire com’eran fatte le cose, ed ingegneria aeronautica ai tempi era quanto di più tecnologicamente avanzato ci fosse. Eravamo agli albori dell’industria aerospaziale.

Prima laureata in ingegneria aeronautica in Italia, poi una lunga carriera di scienziata di successo. Ma anche moglie e mamma di 5 figli. Quali capacità servono per farcela?

Si può fare tutto: questo il messaggio che voglio dare a tutte le giovani! Secondo me l’errore più grande di molte donne è che si autolimitano. Invece dovrebbero avere tre vite: affettiva, professionale e la propria, e queste tre vite devono convivere. Attente a non tagliare i ponti con la professione, perché poi se si resta indietro recuperare è difficile! Allora io consiglio: stringere i denti, farsi aiutare e non essere perfezioniste. Un po’ di disordine in casa non è la fine del mondo!

Quali competenze servono per lavorare in campo spaziale?

Si pensa sempre prima alle scienze dure, ingegneria, architettura, esperti di materiali ed elettronici. E servono, senza dubbio! Ma ormai sono diventate fondamentali anche tante altre discipline come ad esempio psicologia, medicina, senza dimenticare gli studiosi delle nostre origini culturali. Son certa che ci sarà bisogno di tutte le competenze, in particolare per le grandi missioni.
Lo Spazio è un mondo dove tutti possono portare un contributo. 

Professoressa, lei di cosa si sta occupando in questo momento?

In questo momento sto seguendo l’evoluzione della missione ExoMars che partirà a breve. Mi aspetto molto dalla missione americana Mars 2020 alla ricerca di tracce di vita estinta e dal suo esperimento Moxie che tratta l’atmosfera di Marte per produrre ossigeno dall’anidride carbonica, il che dovrebbe permetterci di respirare su Marte.
In particolare, mi piace ricordare che il trapano che sarà utilizzato per sondare il suolo di Marte nel 2022 deriva da quello della “mia” missione Rosetta.

Credits: Robert Couse-Baker  - https://www.flickr.com/photos/29233640@N07/5612257068

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