Il 17 giugno 2024 è stata ufficialmente adottata dal Consiglio dell’Unione europea la “legge” sul ripristino della natura. Il testo finale del regolamento conferma gli obiettivi previsti: ripristinare almeno il 20% del territorio marino e terrestre europeo entro il 2030 e tutti gli habitat a rischio entro il 2050, ponendo le basi per una rinascita degli ecosistemi e per il raggiungimento degli obiettivi climatici dell'Unione Europea.
La normativa è parte integrante del Green Deal europeo e della Strategia per la Biodiversità, e rappresenta una risposta concreta alla crescente perdita di biodiversità e al degrado degli ecosistemi.
I Governi dovranno ora predisporre Piani nazionali di ripristino di zone umide, fiumi, coste, mare, praterie, boschi, ambienti agricoli, e verde urbano, riferendo periodicamente alla Commissione europea i progressi compiuti. La legge introduce inoltre un “freno di emergenza” per rivedere e valutare l’applicazione del regolamento e il suo impatto sui settori agricolo, della pesca e forestale entro il 2033 e, in caso di gravi conseguenze per la sicurezza alimentare, la Commissione potrà sospendere l’attuazione delle norme relative agli ecosistemi agricoli.
Abbiamo chiesto a Carla Gulotta, docente di diritto internazionale e dell’Unione europea presso il Dipartimento di Scienze Economico-Aziendali e Diritto per l'Economia, di aiutarci a comprendere la portata delle misure da intraprendere.
Professoressa Gulotta, quali sono le principali sfide che l'Italia dovrà affrontare per rispettare gli obiettivi della legge per il Ripristino della Natura?
Le prime sfide saranno costituite dall’individuazione degli interventi a cui dare priorità e dalla definizione di apposite misure di finanziamento che ne assicurino la sostenibilità anche economica per gli operatori dei settori coinvolti. È noto come proprio le resistenze del mondo agroindustriale abbiano frenato il processo europeo di adozione del regolamento e che il nostro governo non lo abbia appoggiato.
In che modo secondo lei la legge influenzerà le politiche locali di gestione del territorio, specialmente in ambito urbano e rurale?
Stando alle prime dichiarazioni rese dal nostro Ministro dell’Ambiente, credo ci si possa aspettare una linea di continuità rispetto alle iniziative già previste nella Strategia nazionale per la biodiversità al 2030 e nel PNRR. Quindi, grande attenzione sarà riservata al ripristino delle coste e dei fondali e habitat marini A livello di ecosistemi urbani, la sfida sarà quella di incrementare le aree a verde, mentre in ambito rurale si tratterà innanzitutto di intervenire sul consumo di suolo e, in contesti specifici, come nella Pianura Padano-Veneta, sulla perdita di ecosistemi causata dagli effetti negativi di un incontrollato sviluppo del settore zootecnico.
Quali benefici economici e ambientali possono derivare dall'implementazione di questa legge?
Al contrario di quanto talora prospettato, gli effetti positivi del regolamento europeo saranno ingenti non soltanto sull’ambiente ma anche sull’economia e sul benessere dei cittadini. Sotto quest’ultimo profilo, è sufficiente pensare a cosa significherebbe per molti la riduzione del rischio di alluvioni, conseguente agli interventi di ripristino degli habitat fluviali. Quanto agli effetti economici, la perdita di biodiversità comporta enormi costi che potrebbero essere evitati: solo in Italia, il Quarto Rapporto sullo Stato del Capitale naturale del 2021 riporta nel periodo 2018-2021 perdite fino a 146 milioni di euro associate all’aumento dell’erosione del suolo. Inoltre, protezione e ripristino della natura creano posti di lavoro diretti e indiretti, nel settore agroalimentare, nel turismo, nel settore delle energie rinnovabili e dei servizi, contribuendo alla transizione verso un’economia sostenibile e circolare.
In che modo le università e i centri di ricerca possono contribuire al successo del piano di ripristino?
Università e centri di ricerca hanno il ruolo fondamentale di formare le nuove competenze necessarie alle amministrazioni pubbliche e al mercato per progettare e attuare i piani di ripristino degli ecosistemi in una prospettiva avanzata dal punto di vista del progresso e dell’innovazione tecnologica. Si tratta di realizzare quel cambiamento culturale, prima ancora che economico e sociale, che è, tra l’altro, il presupposto necessario perché lo sforzo collettivo richiesto dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite possa avere successo.
Quali misure sono previste per garantire la partecipazione attiva delle comunità locali nella realizzazione degli obiettivi della legge?
È lo stesso diritto dell’Unione che richiede che le azioni di ripristino della natura siano definite con la partecipazione delle categorie interessate. Il Piano nazionale di ripristino dovrà, quindi, essere sottoposto ad una Valutazione ambientale strategica che garantisca il coinvolgimento di tutti i soggetti interessati, in primo luogo le comunità locali.
Il Master in Sostenibilità, Diritto, Finanza e Management (SILFIM) che lei dirige insieme alla professoressa Federica Doni, intende preparare i futuri professionisti anche su questo tema?
Certamente. La settima edizione del Master, che partirà a ottobre, fornirà ai partecipanti la conoscenza degli strumenti internazionali in materia di ambiente e cambiamento climatico che costituiscono il contesto in cui ha preso vita il grande piano di trasformazione in senso sostenibile dell’economia europea noto come Green Deal, di cui il regolamento sul ripristino della natura costituisce uno degli elementi essenziali.
In questi ultimi anni l’Unione europea ha messo a punto un complesso ecosistema di strumenti tra loro interconnessi che rimodellano profondamente il modo di operare delle imprese, degli enti pubblici e delle associazioni non-profit. Il 5 luglio è stata pubblicata la direttiva che introduce per le imprese di grandi dimensioni l’obbligo di assicurare il rispetto dei diritti umani lungo la catena di fornitura, che si aggiunge a quello di rendicontare sulle misure adottate ai fini della sostenibilità: tutte le imprese saranno interessate da questi cambiamenti, direttamente o all’interno di filiere internazionali. Con la collaborazione di partner importanti come KPMG nel mondo della consulenza alle imprese, Bureau Veritas in quello delle certificazioni, Aiaf e ANDAF, nella finanza sostenibile, il Master SiLFiM fornisce tutte le competenze giuridiche ed economiche per entrare nel mondo del lavoro come esperti di sostenibilità.