Come sono cambiati dopo il Sessantotto i rapporti fra le generazioni in ambito educativo? Lunedì 12 novembre dalle 9,30 alle 16,30 si svolgerà all’Università di Milano-Bicocca l’iniziativa “Generazioni e magistralità dopo il ’68 – Trasformazioni, continuità, discontinuità”. L’obiettivo della giornata di studi è proporre una riflessione critica su alcuni nodi cruciali, a partire dalla consapevolezza del valore di rottura che il Sessantotto ha rivestito nell’ambito dell’educazione. Per saperne di più abbiamo intervistato Gabriella Seveso, professoressa di Storia della pedagogia, e Sergio Tramma, professore di Pedagogia generale e sociale.
Cinquant’anni dopo, cosa resta del Sessantotto?
Resta il fatto di esserci stato, con le trasformazioni sociali, culturali e di costume che ha generato e delle quali è stato espressione. In questo 2018 sono state molte le iniziative che lo hanno ricordato e questo è un segno dell’importanza che riveste nella storia del nostro Paese. Pur avendo portato a compimento processi e dinamiche che di fatto erano iniziati dopo la fine della Seconda guerra mondiale, il Sessantotto ha messo in luce l’importanza del problema dei rapporti fra le generazioni. Questo è un tema molto delicato e dirompente ancora oggi, anzi, forse ancora più di 50 anni fa: pensiamo al mondo del lavoro, soprattutto, ai giovani che vi entrano o vorrebbero entrarvi, a chi è sulla soglia della pensione, ai rapporti fra nuovi e “vecchi” assunti e così via.
Potreste sintetizzare gli obiettivi della giornata di studi organizzata dal Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione “Riccardo Massa”?
Tentare di capire quale sia la percezione del Sessantotto oggi, quanto e come abbia contribuito a modificare le relazioni fra le persone e le dimensioni politiche e culturali, in particolare l’educazione.
Come sono cambiati i rapporti fra le generazioni in ambito educativo?
Il Sessantotto – o meglio, gli anni che simbolicamente condensa e rappresenta – ha certificato in modo netto e intenso la fine della tradizionale educazione “trasmissiva” formale e informale dalle generazioni più adulte a quelle più giovani. E questo per quanto riguardava, e riguarda tutt’oggi, la politica, i rapporti fra i generi, alcuni dei valori-guida in grado di orientare i comportamenti della vita quotidiana e molto altro ancora.
Quali sono i principali aspetti di continuità?
La continuità fra le generazioni va ricercata in alcune concezioni della famiglia, del lavoro e della ricerca del benessere, ma in questi aspetti vi sono anche elementi di forte discontinuità. Il Sessantotto ha certificato la fine della possibilità di riferirsi ad alcune culture comuni e solide, in grado di trasmettersi diffusamente da una generazione alle successive, mettendo in mostra alcune problematiche che poi sono divenute centrali. In questo senso c’è continuità: pensiamo al tema della partecipazione, adesso amplificato dalle nuove tecnologie e dall’uso di mezzi di comunicazione sempre più pervasivi come i social media, che ci pongono interrogativi complessi proprio su cosa si intenda per partecipazione e coinvolgimento, su cosa sia la vera partecipazione e, quindi, su come educare ad una partecipazione veramente consapevole e dotata di spirito critico.
Quali sono, invece, i segni più marcati di discontinuità e trasformazione?
Sono molti, in particolare nella politica: il senso, le finalità e le modalità di partecipazione, i già citati rapporti tra i generi, le concezioni e le pratiche del lavoro. In ogni caso, le discontinuità nei rapporti fra generazioni non sono attribuibili solo o principalmente al Sessantotto: si tratta di un processo che inizia con la fine della Seconda guerra mondiale ed è tuttora in corso.
Foto di Uliano Lucas: Giovani del movimento studentesco in piazzale Accursio, Milano, 1971. © Uliano Lucas