Creare un atlante multimediale che consenta a chi naviga di scoprire come il paesaggio si sia modificato nel tempo: è uno dei cardini di Greening the visual: an environmental atlas of italian landscapes, un Progetto di Ricerca di Rilevante Interesse Nazionale (PRIN) che vede l’Università di Milano-Bicocca nel ruolo di capofila, in partnership con l’Università di Roma “Tor Vergata” e IULM-Milano.
Avviato nel 2020, il progetto si concluderà nel febbraio del 2024 e ha come obiettivo principale lo studio e l’analisi di documenti fotografici e audiovisivi legati alla rappresentazione visuale dell’ambiente in Italia. Ad esso si affianca la costituzione di un vero e proprio atlante online, una sorta di wikipedia verde, come ama definirlo la professoressa Elena dell’Agnese, Presidente dell’Associazione delle Geografe e dei Geografi Italiani e responsabile scientifico del progetto.
Professoressa dell’Agnese, GreenAtlas è un atlante online aperto alla consultazione ma anche al contributo di potenziali autori. Come è stato realizzato?
Il progetto, coordinato da Valentina Anzoise in qualità di project manager della ricerca, nella prima fase ci ha visti impegnati ad intrecciare una fitta rete di relazioni con i principali archivi, al fine di definire gli accordi su accesso e utilizzo dei materiali fotografici e audiovisivi.
Sono state quindi fondamentali le collaborazioni strette con Rai Teche, Obiettivo Terra, Touring Club Italiano, Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico, Fondazione Univerde, Archivio Luce, Archivio Nazionale Cinema Impresa, Fondazione Zegna, Archivio Storico Olivetti…
Abbiamo così raccolto documenti prodotti e conservati dagli archivi di fondazioni, imprese e istituzioni pubbliche, ma anche realizzati da singoli autori e organizzazioni indipendenti, film di famiglia, cartoline. Materiali che forniscono una rappresentazione dei paesaggi marini, rurali e urbani.
I docenti e i ricercatori degli atenei coinvolti partecipano alla produzione con nuovi filmati. È importante sottolineare che, oltre a Milano-Bicocca, Tor Vergata e IULM, la partecipazione è aperta alle altre università che vogliono collaborare al progetto (per ora, Macerata, Molise e Piemonte Orientale), ma anche a singoli ricercatori.
Si tratta quindi di un grande lavoro, sempre aperto ad ulteriori contributi e in continua crescita. Sono davvero molte le pubblicazioni open source, liberamente scaricabili dal sito GreenAtlas e più di 300 i punti già evidenziati sull’atlante.
Parlando di comunicazione visuale e di ambiente, lei usa spesso l’espressione “cartoline brutte”. Perché?
Una delle azioni principali del progetto è stata proprio la raccolta e l’analisi di materiali fotografici, come le vecchie cartoline che si rivelano sempre ricche di informazioni preziose. Pensando per esempio a un territorio come la Liguria, abbiamo selezionato una collezione di “brutte cartoline”. La Liguria è bellissima ma, come tante altre regioni, ha visto la costruzione di una serie di strutture ed edifici non sempre coerentemente inseriti all’interno del paesaggio; tuttavia molte cartoline rappresentano questi interventi come una conquista. Se negli anni Sessanta una balera circolare, una ferrovia, una spiaggia affollatissima o un parcheggio erano considerati così interessanti, vuol dire che la nostra sensibilità nei confronti del paesaggio è profondamente cambiata. Quello che un tempo era apprezzabile esteticamente, in quanto simbolo di modernità, oggi spesso ci pare brutto. Negli anni, quindi, il nostro senso estetico è mutato, dimostrandoci quanto le categorie “bello” e “brutto” siano concetti soggettivi e variabili e come sia sensibile alla nostra cultura visuale anche la nostra capacità di leggere e di apprezzare il paesaggio.
Partendo dalla comunicazione visuale, è possibile dunque fare una riflessione più estesa su come questa abbia condizionato negli anni anche le dinamiche del turismo?
La connessione fra turismo e paesaggio è fortissima: quando ci spostiamo da casa, spesso andiamo a cercare un bel paesaggio, diverso da quello cui siamo abituati, oppure semplicemente carico di quegli iconemi, ossia di quelle unità elementari della percezione che, secondo il geografo Eugenio Turri, ci aiutano a dare un senso a ciò che vediamo (perciò nel paesaggio turistico, per eccellenza, ossia l’isola tropicale, o in quello turistificato, che all’isola assomiglia, ci aspettiamo di trovare palme, mare turchese, sabbia candida, acqua cristallina…).
Ripenso anche ai paesaggi della paura di Yi-fu Tuan. Come cambia il luogo con cui l’immaginario collettivo identifica il male o il pericolo? E che influenza ha questa percezione sui nostri comportamenti turistici? In passato poteva essere un bosco oscuro o un castello minaccioso, un tempo temuti per i pericoli che parevano contenere, oggi apprezzate destinazioni turistiche. È evidente come nel corso del tempo la percezione possa cambiare e come continui a trasformarsi in un processo che non si arresta nemmeno oggi, coinvolgendo il nostro rapporto con la natura e, più in generale, con l’ambiente.
Un discorso analogo potremmo applicarlo agli stili architettonici che vivono fortune alterne e assumono valenze differenti, più o meno positive, in relazione al contesto storico.
All’interno del progetto, Bicocca si occupa in modo specifico dei paesaggi marini. Più in generale, come interagiscono i vari dipartimenti coinvolti?
Al progetto partecipano ricercatori e ricercatrici afferenti al Dipartimento di Sociologia e ricerca sociale e al Dipartimento di Scienze della Formazione (l’atlante ha infatti una importante valenza didattica). Alcuni di noi, poi, insegnano nel corso di laurea magistrale in Marine Sciences, che fa riferimento al Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e della Terra.
Quali sono gli sviluppi futuri di questo progetto?
Vogliamo allargare il nostro raggio di ricerca alla letteratura per una riflessione più ampia sul senso e sul ruolo della narrazione paesaggistica. Indipendentemente dal fatto che il testo metta in risalto la bellezza o la drammaticità del contesto, nella descrizione di un luogo, lo stile e il tenore del racconto offrono strumenti utili a decifrare lo spirito del tempo e il sentire comune.
Tornando al rapporto con la natura e l’ambiente, qual è il supporto che la Geografia può offrire nelle sfide contemporanee in tema di sostenibilità?
Non ne siamo sempre consapevoli, ma l’ottica umana è decisamente antropocentrica, anche quando parliamo di sostenibilità, salvaguardia della natura e riduzione degli sprechi. Quello umano è uno sguardo molto parziale su una realtà estremamente vasta e complessa, che rischia di essere valutata o semplificata in base a quello che noi, in termini di risorse e benefici, riteniamo favorevole alla nostra qualità della vita.
È importante cercare di capire come ci poniamo nei confronti dell’ambiente, che importanza gli attribuiamo, cosa troviamo rilevante, bello o problematico. Quale ruolo gioca la cultura popolare nelle questioni ambientali? La Geografia è una scienza che può aiutarci a scoprire un approccio metodologico critico e a muoverci, anche sui temi legati alla sostenibilità, in una direzione più consapevole.
Cartolina in copertina: Chiavari 1966
Articolo di Enzo Scudieri e Chiara Bulfamante