I piatti della tradizione natalizia sono diversissimi lungo tutta la penisola, così come i momenti in cui si festeggia questa ricorrenza. Al centro e al sud infatti la “grande festa” è il cenone della vigilia, mentre al nord è d’obbligo il pranzo del 25 dicembre. Trascorso il ponte dell’Immacolata le domande rimangono sempre le stesse. Quanti saremo a tavola? Cosa prepareremo per la cena della vigilia? E al pranzo di Natale? Inizia così un momento di assiduo confronto e scambio di ricette per stabilire chi porterà cosa e la rispettiva divisione dei compiti.
Nel periodo delle feste le tavole degli italiani sono un tripudio di colori e sapori, con peculiarità che variano da regione a regione. Quali sono i fattori che influenzano la cucina regionale italiana? Risponde Luca Mocarelli, direttore del master Cibo e Società: innovare pratiche, politiche e mercati alimentari - «L’Italia è un Paese caratterizzato da una varietà di tradizioni culinarie assolutamente unica, al punto che è possibile trovare varianti dello stesso prodotto con nomi diversi a poche decine di chilometri di distanza. Un esempio fra tanti, i pani poveri realizzati in Emilia-Romagna con farina e acqua, poi fritti o cotti (piadina, crescentine, gnocco fritto, tigelle, ciacci, sfogliata, torta fritta…).
Una diretta conseguenza del fatto che in uno spazio ristretto come quello della nostra Penisola si sono sovrapposte e hanno interagito una geografia molto varia e una storia ancora più complessa. L’Italia, infatti, è caratterizzata da una grande ricchezza di ambienti geografici ed ecosistemi: catene montuose estese, zone collinari molto diversificate, pianure, laghi, migliaia di chilometri di coste, decine di isole, climi tutt’altro che omogenei. A ciò si aggiunge una storia che ha visto emergere, dopo la ripresa economica medievale, centinaia di città, svariate corti e decine di entità statali di scala più o meno ridotta. Un mondo molto dinamico animato da una accesa competizione tra città, stati e staterelli che interagivano di continuo in un gioco di scambi e relazioni.
Geografie e storie diverse hanno comportato inevitabilmente la presenza di prodotti alimentari e tradizioni culinarie eterogenee. Ecco perché l’Alto Adige, per esempio, può sfruttare prodotti agricoli e derivati dall’allevamento differenti da quelli presenti in Sicilia, così come risente dell’influsso della cultura e della cucina tedesca e non certo dell’eredità araba e spagnola. Del resto parliamo di due cucine che si differenziano già a partire dal condimento base: burro da una parte, olio dall’altra, entrambi fonti di nutrimento per uomini che vivono e lavorano in contesti ambientali e climatici molto distanti tra di loro. È stata quindi soprattutto la grande varietà geografica e ambientale, unita a una storia fatta di stratificazioni successive e continui incroci di popoli e culture, a rendere l’Italia un paese dalla ineguagliata varietà enogastronomica, sempre più apprezzata anche da milioni di visitatori stranieri».
Le abitudini alimentari contemporanee sono decisamente differenti da quelle del passato. Com’è cambiato il valore simbolico della tavola delle feste nel tempo?
Senza dubbio le abitudini alimentari odierne hanno pochi punti di contatto con quelle del passato per la semplice ragione che nel giro di pochi decenni l’Italia è profondamente cambiata. All’inizio degli anni Cinquanta eravamo un paese segnato da profonde differenze socio-economiche ed eminentemente agricolo, con una società tradizionale, la religione aveva un peso rilevante, le donne svolgevano soprattutto ruoli domestici, i livelli di istruzione erano decisamente bassi, così come i redditi e la ricchezza. Oggi la situazione è cambiata. Siamo uno dei paesi più sviluppati al mondo, oltre il 70% della forza lavoro è occupata nei servizi, la società tradizionale e la religione sono per una parte rilevante della popolazione un lontano ricordo, l’istruzione si è progressivamente diffusa, le donne stanno assumendo ruoli sempre più significativi nella società e nell’economia, il baby boom è finito da tempo e il paese sta invecchiando velocemente, ed il 10% della popolazione ormai non è più italiano.
Mutamenti così estesi e radicali hanno cambiato anche la natura delle feste natalizie che un tempo rappresentavano un’irrinunciabile occasione di ritrovo per le diverse generazioni di famiglie ancora molto numerose. Il pranzo della vigilia e/o quello di Natale erano il terreno dove si mettevano in campo (a volte lavorando per giorni), conoscenze e abilità gastronomiche oggi per lo più scomparse. Ora le tavolate si sono ristrette, l’aspetto religioso è diventato per molti marginale, la famiglia tradizionale vede ridursi i suoi spazi, cambiano pure i comportamenti e le relazioni. Non sorprende quindi che, a partire dalle grandi città, si stiano affermando consuetudini impensabili fino vent’anni fa, come la scelta di passare la cena della vigilia o il pranzo di Natale, non più tra le mura domestiche ma al ristorante.
Da nord a sud dello stivale, passando per il centro. Quali sono i dolci della tradizione natalizia?
Se si pensa alla tradizione natalizia viene subito in mente il panettone, che però ha una storia molto particolare che lo differenzia dagli altri dolci consumati sotto l’albero. Questi ultimi infatti (dai mecoulin, alle frittelle di mele, alla gubana, al panforte, al pangiallo, al parrozzo, agli struffoli, alle cartellate, alle seadas… solo per citarne alcuni), erano e sono in realtà, i dolci delle feste intese in un senso più ampio e generale, quindi venivano e vengono preparati anche in casa e al di fuori del periodo natalizio. Il panettone invece (e forse anche per questo è il più noto e popolare), viene realizzato solo nel periodo di Natale. Una peculiarità che potrebbe dipendere dalla scelta (quando con Motta iniziò il successo in chiave industriale di questa specialità molto antica), di connotarlo come dolce unicamente natalizio, legandolo così in modo indissolubile alla festività allora più importante. Il panettone inoltre richiede una preparazione molto più lunga e complessa, con diverse fasi e lievitazioni, rispetto agli altri dolci delle feste. Oggi dunque è lui a far da padrone ed è diventata consuetudine in varie zone della Penisola, assistere all’incontro sulla tavola natalizia di panettoni e pandori, ormai prodotti in decine di milioni di esemplari, con le specialità tipiche locali.
Se questo magico periodo potesse essere raccontato attraverso un piatto, voi quale scegliereste?
Anche in redazione ci siamo posti questo interrogativo e abbiamo stilato una piccola lista di ricette suddivisa per regioni. Non siamo riusciti a coprirle tutte, ma abbiamo scelto quelle più rappresentative per noi e la nostra regione di origine. Sappiamo però che le tavolate saranno ancora più ricche ed eterogenee, quindi siamo curiosi di sapere qual è la vostra ricetta preferita… Buone feste!
LAZIO, Giorgia (Lasagne)
A casa con mamma e papà, niente scuola, sono iniziate le vacanze. L’albero di Natale in sala, decorato pomposamente, è già sommerso dai pacchetti, ma non si possono aprire fino alla mezzanotte. Prepariamo tutti insieme la lasagna, un rito che si tramanda da generazioni e che coinvolge tutti, adulti e bambini. In origine la classica, con il ragout che mamma faceva cuocere da presto e che mi guidava appena sveglia fino in cucina con il suo profumo. Poi, anche quando sono diventata vegetariana, il rito è continuato, si è adattato, i funghi l’hanno fatta da padrone e, invece di tagliare il fior di latte, il mio compito era preparare tanti cubetti di provola. Ancora adesso, non è Natale senza quel rito.
ABRUZZO, Diego (Brodo col cardone)
Dopo l’abbuffata della vigilia, a base di pesce, il pranzo di Natale si apre con un piatto obbligatorio sulle tavole pescaresi: il brodo con il cardone. Non lasciatevi ingannare, in realtà il cardo è solo uno degli ingredienti di questo piatto, il più leggero. Il brodo (di pollo o gallina) è il “contenitore” di polpettine, stracciatella d’uovo, frittatine e una moltitudine di aromi che dalle prime ore del mattino si spargono per la casa. Sentire l’odore tipico di questo brodo trascina inevitabilmente il cuore e i pensieri verso la festa passata in famiglia.
BASILICATA, Enzo ( Zeppole salate)
Mani immerse in un mix di farina, patate e lievito. E una grande energia per impastare il tutto. Non c’è Natale senza le zeppole diceva mia nonna. Una ricetta regionale tipica del sud Italia, non solamente della Basilicata. Si trovano infatti sia dolci che salate anche in Puglia e in Calabria. Queste lucane, in versione salata, si realizzano con un impasto base composto da farina, patate e lievito. E possono essere arricchite, in base ai gusti, con acciughe, salame, pancetta, prosciutto. Vanno servite calde, dopo essere state fritte in abbondante olio bollente.
CALABRIA, Caterina (Nacatole)
Finalmente arriva il pranzo di Natale ed ecco trionfare le nacatole calabresi al centro della tavola. Anticipati dell’acquolina in bocca, tutti i sensi giocano a rincorrersi: l’olfatto, inebriato di un sentore zuccherino, le orecchie, tese per ascoltare la solita strofetta della nonna: “Senza nacatoli non si faci bonu natali”, ovvero “senza le nacatole non si può festeggiare un buon natale”, ed il tatto. La nonna mi stringe in un abbraccio morbido che ben si sposa con la consistenza della prelibatezza: una pastella elastica attorniata da una crosticina croccante e cristallina che si scioglie lentamente in bocca. E’ un'esplosione di gusto e si è decisamente Natale!
FRIULI VENEZIA GIULIA, Alessandra F. (Presnitz)
Lo preparava mia nonna e ancor prima la bisnonna. Ecco perché in famiglia è tradizione concludere il pranzo di Natale “con un bon presnitz”. Un dolce intrigante dalla forma acciambellata che nasconde aromi e profumi in un gustoso ripieno di frutta secca, biscotti e rhum. Le sue origini sono dibattute, ma la versione più romantica è legata alla Trieste asburgica. Si narra infatti che a metà del XIX secolo, in occasione dell’arrivo in città dell’imperatrice Elisabetta d’Austria (Sissi), fu indetto un concorso di pasticceria, come simbolo di degna accoglienza da offrire in dono alla Kaiserin. Il dolce vincitore fu proprio il "Preis Prinzessen" (Premio Principessa), successivamente modificato dai triestini in Presnitz e introdotto alla tavola delle feste.
TRA LOMBARDIA E VENETO, Alessandra S. (Agnoli in brodo)
Immutabile certezza del pranzo di Natale, sono gli agnoli alla mantovana, della tradizione familiare paterna. Una pasta ripiena che preparava la nonna Bice la cui ricetta e abilità sono passate prima a mio papà e poi a me e a mia sorella.Questo piatto delle feste nasce nelle terre lungo il Mincio ed è conosciuto con il nome di Nodo d'amore. Trae origine da una trecentesca storia d'amore tra un giovane soldato e una ninfa del fiume, la cui passione contrastata è simboleggiata da un fazzoletto annodato di sottilissima seta, che i due amanti abbandonarono sulla riva prima di sprofondare negli abissi. In famiglia li realizziamo tirando una sfoglia di pasta all’uovo, tagliata a strisce, piegata a metà e riempita con un macinato di carni arrostite, grana padano e qualche ingrediente segreto e poi tuffati in un brodo saporito. A casa si gustavano anche nella modalità "sorbir d'agnoli o bevr'in vin (serviti in scodella con l'aggiunta di lambrusco mantovano); oggi abbiamo riattualizzato la tradizione familiare preparando anche una versione asciutta per un assaggio col sugo d'arrosto.
MOLISE, Francesco (Milk Pan)
A dispetto del nome che non sembra neanche italiano, figuriamoci molisano, il milk pan è IL dolce tipico natalizio del Molise. La ricetta originale, perfezionata da una pasticceria di Campobasso che la tiene segreta, prevede uno zuccotto di pan di spagna fatto con farina di mandorle e ricoperto con una glassa a base di liquore Milk, così soffice da sembrare una crema. Una delizia! Non vi è cenone della Vigilia o pranzo di Natale che non venga concluso degnamente con questo dolce della tradizione: si litiga sempre per l’ultima fetta, o peggio, per togliere via dall’incarto la glassa resa ancora più cremosa dal calore, in pieno spirito natalizio!
PUGLIA, Andrea (Cartellate fritte e al forno con il vincotto e il miele)
I carboni accesi del camino venivano disposti nel braciere sotto al tavolo. Incalzavano l’inverno, il freddo e le scuse per starsene al caldo. Le cartellate erano una di queste. Roselline di acqua e farina, fritte oppure cotte al forno, infine ricoperte di miele o vincotto. Con l’avvicinarsi dell’Immacolata arrivava anche il giorno in cui le nonne disponevano gli ingredienti sul tavolo e cominciavano a impastare, le mamme appresso, i bambini intorno al tavolo per pulire con le dita le scodelle ancora calde del miele e del vincotto. “Non si toccano, sono per Natale” era la regola, ma il Natale era già lì, riuniti intorno al tavolo con i vestiti imbiancati e il fuoco acceso.
SICILIA, Chiara B. (Buccellati, Sfinci e Carciofi ripieni)
Intervistate le care zie messinesi sul “loro” dolce di Natale: entrambe ricordano i leggendari buccellati della nonna palermitana, dolci di pasta frolla ripieni di frutta secca che ogni famiglia personalizza con vari ingredienti (fichi, cioccolato, canditi, spezie…) e propone in forme diverse. E poi le sfinci, frittelle di pastella lievitata con uvetta e zucchero oppure con le acciughe in versione salata, da mangiare mentre si gioca a carte tutti insieme. Una portata che non può assolutamente mancare alla cena del 24 dicembre a base di pesce e verdura? I carciofi ripieni!
TRENTINO ALTO ADIGE, Chiara A. (Brulè di mela e vin brulè ai chiodi di garofano)
Da quando ho memoria, il Natale e tutto il periodo natalizio in realtà, per me è un’ immersione nel profumo avvolgente delle spezie. Nelle fredde giornate di dicembre infatti, passeggiando per le strade delle cittadine trentine, non vedevo l’ora di fermarmi a gustare un caldo brulè di mela alla cannella, in un bar o meglio ancora, presso le casette di legno tipiche dei mercatini di Natale. Ora, quel rituale si ripete ancora, è solo un po’ cambiato: posso scegliere infatti anche quel meraviglioso vin brulè speziato ai chiodi di garofano di cui da bambina conoscevo solo l’odore…
VENETO, Anita (Pandoro)
A casa mia, nel padovano, la pacifica atmosfera natalizia si guasta a fine pranzo quando c'è da fare la scelta amletica: panettone o pandoro? Dopo un lungo e acceso dibattito, si finisce quasi sempre sul pandoro, anche per questioni campanilistiche. Il pandoro infatti è nato dalle nostre parti, a Verona, ed è stato brevettato nel 1884 da Domenico Melegatti: si dice che il pasticcere veronese si fosse ispirato all'antica ricetta del Levà, un dolce lievitato con sopra uno strato di mandorle e granella di zucchero. Melegatti avrebbe tolto la copertura per favorire la lievitazione, avrebbe aggiunto burro e uova in abbondanza e... opla' ecco sua maestà il pandoro!