È ripresa la scuola, ma la situazione è incerta, tra classi in quarantena e la paura di una nuova chiusura. Abbiamo chiesto un’analisi della situazione attuale, in bilico tra normalità ed emergenza, a Raffaele Mantegazza, autore del libro “La scuola dopo il Coronavirus” (ed. Castelvecchi), una riflessione sul ruolo che l’istituzione scolastica dovrà ri-costruirsi alla fine di questa pandemia, proprio a partire dal valore della relazione educativa.
Unica alternativa alla scuola in presenza sembra essere la DAD: lei cosa ne pensa da un punto di vista didattico?
Penso che la DAD sia come la mascherina: la mettiamo perché siamo in emergenza ma non vediamo l’ora di toglierla per poter respirare normalmente. La DAD è uno strumento per gestire un’emergenza ma non può essere considerato un modo sufficiente per fare didattica. Se pensiamo alla didattica come semplice trasferimento di informazioni e di contenuti, allora anche Wikipedia potrebbe essere considerata una piattaforma didattica; in realtà la didattica è mediazione di contenuti tra differenti esseri umani, e questo rende la presenza insostituibile.
E dal punto di vista relazionale?
La DAD funziona solamente nelle situazioni nelle quali gli insegnanti hanno lavorato sulle relazioni tra e con i ragazzi altrimenti è un fallimento; i ragazzi semplicemente non si connettono, ma il punto è che non erano connessi nemmeno prima, in classe, perché l’insegnante non sapeva accendere i loro cuori. Il punto è che l’aspetto relazionale e quello didattico non possono essere mai separati: solo in presenza di buone relazioni tra gli studenti e tra questi e i docenti è possibile imparare efficacemente e svolgere una didattica degna di questo nome.
Siamo a fine ottobre, davanti c’è tutto l’anno scolastico. Un intero anno di DAD secondo lei è più una soluzione o un diverso problema?
Lo trovo improponibile; credo aumenterebbe la dispersione scolastica, quella palese come quella latente. Credo che occorrerà pensare a rientri scaglionati, anche a piccoli gruppi, anche solo per due giorni la settimana perché il rischio è di perdere realmente il senso dell’esperienza scolastica per tanti ragazzi e ragazze.
Ha senso differenziare tra presenza e DAD, per ordine di Scuola?
No, credo che le esigenze relazionali siano proprie di tutti i ragazzi, non solo dei più piccoli, anzi per certi versi nel caso degli adolescenti siano ancora più importanti e più complesse. Se il tema è quello dei trasporti diciamocelo chiaramente, e affermiamo che è uno scandalo che la scuola chiuda per questo motivo.
La pandemia ci ha costretto ad una riflessione seria sulla scuola e sul fare didattica. Cosa abbiamo imparato?
Che la scuola in presenza è nei cuori e nelle menti dei bambini e dei ragazzi e che gli insegnanti, quelli autentici, sono ancora non solo figure di riferimento ma veri e propri modelli per milioni di bambini e di ragazzi. La scuola ha compiuto enormi sforzi per garantire la sicurezza dei ragazzi, ha dimostrato di essere un’istituzione, dove le cose si fanno seriamente, e sarebbe ora che la si trattasse con più rispetto, anche nelle giuste e inevitabili critiche.
Come sarà, secondo lei, la scuola del futuro?
Spero possa essere una scuola che dimentichi del tutto i discorsi sulle performance e sull’eccessiva misurazione del profitto per continuare a lavorare sulla conoscenza come condivisione, come esperienza di crescita e soprattutto di sfida collettiva all’ignoranza, alla paura, alla morte.
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