La propaganda, strumenti linguistici e psicologici - Bnews La propaganda, strumenti linguistici e psicologici

Propaganda: un termine che la guerra in Ucraina ha reso attuale e a cui associamo spesso un’accezione negativa. Ma quando venne usato per la prima volta nella storia? Soprattutto, quali sono gli strumenti linguistici che la caretterizzano? Francesca Panzeri, ricercatrice in Filosofia e Teoria dei linguaggi, ci propone molteplici spunti di riflessione sul tema.

È possibile individuare una “data di nascita” del termine propaganda?

Non esattamente: possiamo però individuare da dove è stato tratto e cioè dalla denominazione della Sacra congregazione pontificia De propaganda Fide, istituita nel ‘600 con il compito di “propagare” la fede, ossia evangelizzare i popoli. Ma se con “propaganda” intendiamo un’ “Azione che tende a influire sull’opinione pubblica, orientando verso determinati comportamenti collettivi” (come definizione del dizionario Treccani), allora anche un’opera come l’Eneide, commissionata da Ottaviano Augusto a Virgilio, è un chiaro esempio di propaganda, visto che uno dei suoi scopi era quello di dare un’identità a Roma, legandola alla mitologia omerica, esaltandone i valori etici e culturali – oltre che più prosaicamente dare lustro alla dinastia giulio-claudia, di Ottaviano stesso, presentata come discendente da Enea.

La propaganda, in sé, ha un valore univoco?

In realtà no, perché il tentativo di influire sui comportamenti delle masse non è di per sé necessariamente disdicevole. Basti pensare ad un termine recente molto usato: nudge, la cosiddetta “spinta gentile”, messa in atto da diversi governi con l’obiettivo di persuadere i cittadini ad adottare condotte virtuose (dalla raccolta differenziata al risparmiare sui consumi di acqua o elettricità). Quando si parla di propaganda, però, si tende a pensare spesso alla sua accezione negativa, come insieme di mezzi fraudolenti volti a manipolare le masse per ottenere un vantaggio personale.

Su cosa fa leva la propaganda?

Gli strumenti adottati dalla propaganda fanno leva fondamentalmente sulle nostre “debolezze”. Ad esempio, siamo tutti estremamente pigri, per cui se il mio scopo è quello di incrementare il numero di donatori di organi, conviene adottare il principio del silenzio-assenso (se non ti opponi, sei considerato donatore) piuttosto che richiedere di esprimersi a favore. O ancora, in un supermercato, i prodotti più costosi sono posizionati ad altezza d’occhio, mentre quelli più economici sono più difficili da raggiungere.

Principalmente, quali strumenti linguistici utilizza?

Gli strumenti retorico-argomentativi propri della propaganda sono anzitutto lo sfruttamento di tutte le classiche fallacie logiche: il cosiddetto “argomento ad ignorantiam” - secondo cui una premessa è vera o falsa finché non è provato il contrario - è stato molto abusato durante la pandemia. Ad esempio, sostenendo che se non si poteva dimostrare l’origine naturale del coronavirus, allora doveva per forza essere artificiale.

Inoltre, si pensa che particolari scelte linguistiche avrebbero il potere di orientare l’opinione pubblica.

Da un lato, è innegabile che la scelta di determinate espressioni possa avere un impatto specifico: persone contrarie a un condono fiscale, possono essere più ben disposte verso la pace fiscale, anche se si tratta dello stesso provvedimento.

Al tempo stesso, non bisogna trarre la conclusione che la sola scelta di espressioni linguistiche efficaci riesca a manipolare la mente di chiunque le ascolti: anche se sentendo parlare della “guerra al coronavirus” nella nostra mente si potranno attivare altre idee legate al concetto della guerra, ciò non significa che saremo proni ad accettarle tutte:. Potremmo sì considerare i vaccini come delle armi, ma non necessariamente approvare acriticamente una svolta autoritaria dei nostri governanti solo perché nelle “vere” guerre ciò può essere plausibile.

Come ci si può difendere?

La cosa migliore sarebbe sempre quella di informarsi accuratamente e formarsi una idea basata sui fatti. Ma, visto che abbiamo più volte sottolineato la nostra pigrizia, in questo caso ci può venire in aiuto un suggerimento di George Lakoff, linguista ma che segue attivamente la politica statunitense. Alcune metafore sono persuasive perché avvalorano le proprie opinioni: per un liberista, sentir parlare di sgravi fiscali conferma l’idea che le tasse siano un peso. Chi non vuole che vengano tagliati i servizi pubblici, però, non dovrebbe utilizzare quella metafora, dicendosi “contrario a sgravi fiscali”, ma dovrebbe piuttosto trovarne una nuova per parlare di tasse evocando associazioni positive.

Per concludere, sebbene determinate espressioni linguistiche siano effettivamente in grado di attivare nella nostra mente associazioni positive o negative, noi, fortunatamente, non siamo totalmente in balia di persuasori occulti che manipolino i nostri pensieri.