Ottavia Bettucci, chimica e ricercatrice del nostro ateneo, è anche una pioniera della "Street Science", un progetto nato per portare la scienza fuori dai laboratori, direttamente nelle strade. Attraverso dimostrazioni pubbliche e contenuti digitali, Ottavia avvicina il grande pubblico a concetti scientifici complessi, rendendoli accessibili e affascinanti.
La sua attività è una finestra aperta su questo mondo, dove ricerca e divulgazione si incontrano in modi innovativi.
Dott.ssa Bettucci, cosa si intende per "street science” e come si unisce alla chimica?
La street science è tutta la scienza che troviamo sui muri delle nostre città. Esiste una grande quantità di opere d’arte urbana (street art, murales, stickers) che hanno legami con la scienza. Mi vengono in mente i giganteschi muri di Fabio Petani, artista che realizza opere legate ai territori in cui si trova, nelle qualiunisce botanica e chimica disegnando atomi o molecole sulle sue opere. Oppure tutte quelle iniziative legate all’ambiente come “Sea Walls” della Pangea Seed Foundation che sta riempiendo il mondo di muri colorati che affrontano tematiche ambientali come l’acidificazione degli oceani, lo sbiancamento dei coralli o la perdita di biodiversità. Oppure ancora, l’associazione Worldrise che in Italia ha già realizzato più di 20 muri che rappresentano problematiche e sfide ambientali legate a mari e oceani.
Inoltre c’è tanta scienza proprio nelle tecniche e nei materiali che si usano per realizzare le opere. Penso alle vernici “mangia smog” oppure alle vernici realizzate proprio raccogliendo il particolato atmosferico o ancora alle opere di upcycling: il riuso creativo di materiali che finirebbero in discarica. Vi consiglio di dare un occhio ai murales tridimensionali di Arthur Bordalo realizzati con rifiuti indifferenziabili e di Stefaan De Croock fatti con legno di recupero:possono dare un bellissimo esempio pratico di come l’arte riesca a legarsi alla sostenibilità.
Alla base di questo progetto c’è l’idea di accessibilità, le opere urbane sono per antonomasia le forme d’arte più accessibili al pubblico, sono intorno a noi, sono gratis e spesso intense e impattanti. Tutte caratteristiche che dovrebbe avere anche la scienza: deve essere intorno a noi, non a pagamento e spetta a noi scienziati e comunicatori farne capire l’intensità e l’impatto sulle nostre vite.
Quali sono le sfide che affronta nel rendere la scienza accessibile al pubblico?
Le difficoltà principale è innanzitutto uscire dallo stereotipo dello scienziato che parla una lingua complicata e inaccessibile. Bisogna porsi come persone comuni, quali siamo, capaci di rendere accessibili argomenti che normalmente rimarrebbero ostici. Bisogna cercare di svincolarsi da opulenze e terminologie complesse. Nel caso della chimica c’è anche una sfida specifica legata alla chemofobia, la “paura della chimica”, ovvero l'assunto irrazionale che tutte le sostanze chimiche siano dannose o che qualcosa di “chimico” sia sempre peggiore di qualcosa di “naturale” o “plant based” (tutti termini tra l’altro molto in voga nel marketing). Ma non ci rendiamo conto che anche il naturale è chimico perché la chimica è semplicemente in tutto ciò che ci circonda.
In che modo le sue attività di ricerca influenzano i contenuti che crea per la divulgazione scientifica?
Io sono una chimica organica, mi sono sempre occupata della sintesi di materiali organici innovativi per diverse applicazioni, in primis nel campo della sostenibilità ambientale, sintetizzando molecole fotoattive per pannelli fotovoltaici o per la produzione sostenibile di idrogeno. I miei studi in questo campo mi hanno sicuramente aiutata a sviluppare un occhio critico nei confronti dei temi legati all’ambiente e alla sostenibilità. Ma ho lavorato anche allo sviluppo di materiali organici per applicazioni biologiche, ad esempio per mimare il comportamento dei neuroni o altri comportamenti di cellule e tessuti. Sicuramente lo studio costante e l’aggiornamento richiesto per lavorare in campi così diversi mi ha aiutato ad avere un metodo scientifico molto accurato che riporto anche nei miei contenuti divulgativi ma anche a sviluppare una grande creatività e abilità di spaziare da argomenti diversi.
Qual è l'impatto reale delle sue dimostrazioni scientifiche nelle comunità?
Credo che, pur essendo una goccia in un immenso oceano, il mio lavoro social e dal vivo diano modo di capire come si possa parlare di scienza anche contaminandola con altri argomenti apparentemente scollegati tra loro, nel mio caso l’arte urbana. Credo che queste dimostrazioni possano aprire uno spiraglio verso un nuovo tipo di apprendimento della scienza.
Allo stesso tempo ci si rende conto di come l’arte urbana possa diventare veicolo di di sensibilizzazione e mobilitazione nel promuovere un mondo più equo, inclusivo e sostenibile per tutti.
Come vede il futuro della divulgazione scientifica in un mondo sempre più digitale?
Negli ultimi anni sui social c’è stato un boom di contenuti divulgativi. Il problema è che spesso si rischia di finire nella spirale del “semplicismo” e dell’“appiattimento” dei contenuti. Magari l’affiancamento dei social a piattaforme più idonee all’approfondimento o agli eventi dal vivo potrà esserela chiave per una divulgazione a tutto tondo e su più livelli.