Il videogioco come strumento terapeutico per giovani e adulti - Bnews Il videogioco come strumento terapeutico per giovani e adulti

Il videogioco come strumento terapeutico per giovani e adulti

Il videogioco come strumento terapeutico per giovani e adulti
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La Video Game Therapy® o V.G.T è una tecnica utilizzata in psicologia che prevede il ricorso al videogioco durante le sedute, come strumento per riflettere su alcuni aspetti del proprio stile di vita, sulle emozioni e sui pensieri, che rivivono così nel setting di gioco.

Secondo i dati elaborati da ISFE nel 2021 più della metà della popolazione (52%) tra i 6 e i 64 anni dei cinque principali paesi europei (Francia, Germania, Regno Unito, Spagna e Italia) utilizza videogiochi. Si tratta di quasi 125 milioni di cittadini, e 8,5 milioni in più rispetto al 2019.

In Italia, il numero di videogiocatori si attesta intorno ai 15,5 milioni di cittadini, ovvero il 35% della popolazione tra i 6 e i 64 anni, e il giro totale di affari del settore ammonta a 2,243 milioni di euro (in crescita del 2,9% rispetto al 2020).

La V.G.T., Video Game Therapy®, è nata nel 2019, da un’idea del Dott. Francesco Bocci, e sta lentamente cambiando il paradigma in quanto, nell’immaginario collettivo, il videogioco è ancora oggi molto spesso associato a qualcosa di sbagliato.

In occasione del seminario sulla Video Game Therapy che si è svolto in Bicocca lunedì 6 marzo, abbiamo incontrato Marcello Sarini Ricercatore di informatica presso il Dipartimentodi Psicologia di Bicocca e docente del laboratorio di Game design e gamification nel corso di Laurea in Scienze Psicosociali della Comunicazione, e il Dott. Francesco Bocci, psicologo e psicoterapeuta.


Dottor Sarini, qual è il ruolo della ricerca informatica nell’ambito della gamification?

L'informatica, o come meglio preferisco chiamarla io, la scienza dell'informazione si occupa dei sistemi e processi computazionali e del trattamento automatico dell’informazione. E ne studia gli aspetti fondazionali, metodologici, tecnologici, sociali e didattici. Nella sua declinazione applicativa entra quindi con forza in tutti i comparti della società.
Tra i tanti prodotti, i videogiochi, oltre all’aspetto puramente informatico, raccolgono però contributi da molte altre discipline. E rappresentano un fenomeno che è stato ed è sempre più presente nelle nostre vite.

I fenomeni che hanno un largo impatto sulla società attirano sempre l'interesse dei ricercatori. Da una parte per studiare le conseguenze del fenomeno; dall'altra, per prendere spunto dalle conoscenze raggiunte e creare innovazione. Questo processo quindi ha inevitabilmente coinvolto anche i videogiochi, e tutto ciò che in questi ultimi anni si è mosso intorno a questo fenomeno.
Infatti, nello studiare le conseguenze sull'uso dei videogiochi, troppo spesso ci si è concentrati su una visione negativa del fenomeno (ad es. ipotesi di aumento dell'aggressività dovute all'uso dei videogiochi violenti, possibile creazione di dipendenza, etc.). Fortunatamente però negli ultimi anni sono diventati sempre più numerosi gli studi che dimostrano l'effetto positivo nell’uso dei videogiochi. Sia dal punto di vista dell'apprendimento, come riportato nelle varie ricerche sul game-based learning, ma anche dal punto di vista del miglioramento di alcune capacità e skill di varia natura, con una ricaduta positiva in ambito psicologico.

Come si è arrivati dunque ad applicare le tecniche di gamification alle discipline psicologiche?

Sono sempre di più i ricercatori appartenenti a vari ambiti disciplinari che sostengono il valore positivo di alcuni effetti del gioco, se applicato in determinati contesti. E tra questi la gamification, intesa come processo in cui applicare elementi di gioco in ambiti non di gioco (ad esempio le app per apprendere le lingue). O ancora i serious games, veri e propri giochi pensati e progettati con fini educativi o comunque legati all'apprendimento di competenze.

In tutto questo dunque l'informatica, guidando le evoluzioni delle tecnologie a disposizione, ha sempre costituito un alleato fondamentale per la costruzione e la realizzazione di queste nuove applicazioni del gioco.

In che direzione sta andando la sua attività di ricerca in questo campo?

Se pensiamo alle più recenti tecnologie, è sicuro che entro pochi anni lo scenario degli attuali videogiochi cambierà nuovamente e di conseguenza anche tutte le applicazioni che sfruttano aspetti ludici in ambiti non ludici. Pensiamo, ad esempio, all'uso della realtà virtuale o aumentata che renderà ancor più forte l'aspetto di immersività dei contesti di gioco (ludico e non). O anche l'uso di intelligenze artificiali generative, che renderanno i dialoghi nel contesto di gioco sempre più ricchi ed articolati. E ancora le tecniche di data mining che potranno essere usate per profilare i nostri comportamenti di gioco offrendo delle esperienze sempre più personalizzate durante le sessioni di gioco.

Come ricercatori di informatica siamo quindi sempre più chiamati ad allearci e confrontarci con i ricercatori di altre discipline, principalmente in ambito psicologico, per lo sviluppo di soluzioni che prevedono l'utilizzo di giochi o di elementi ludici (dai videogiochi commerciali, a soluzioni progettate ad hoc di gamification o di serious games) come parte integrante di un processo di crescita per le persone.

Il nostro gruppo di lavoro è quindi aperto a chiunque sia interessato a lavorare insieme su queste tematiche.


Dottor Bocci, ci racconta com’è nata l’idea della Video Game Therapy e qual è il livello di applicazione odierno?

La V. G. T. - Video Game Therapy® è uno strumento usato in psicologia che permette di intraprendere un lavoro di contenimento emotivo, di tipo supportivo ed espressivo, ricorrendo al videogioco commerciale per riflettere su alcuni aspetti del proprio stile di vita, su emozioni e pensieri, che rivivono così nel setting di gioco. L’idea di realizzare un approccio che mettesse insieme la psicologia clinica con il mondo del gaming, è nata nel 2018, rifacendosi anche alla letteratura americana della Geek Therapy di Anthony Bean, oltre che allo psicodramma classico e alla letteratura sullo storytelling. In un periodo in cui il videogioco faceva fatica ancora ad essere riconosciuto come uno strumento potenzialmente terapeutico da utilizzare in ambito clinico.

Nel 2019 quindi si è deciso di scrivere un primo protocollo di intervento che ha portato alla registrazione del marchio VGT®.

Oggi, all’interno dell’approccio della VGT®, vengono integrate varie tecniche psicologiche quali:

  • Ascolto attivo
  • Libere Associazioni
  • Immaginazione attiva
  • Esposizione allo stimolo
  • Catarsi
  • Desensibilizzazione rispetto ad un ricordo/evento traumatico
  • Storytelling
  • Skill Training e Meta Cognizione
  • Internal Family System®

Le prime applicazioni della Video Game Therapy sono state utilizzate presso il centro Diurno psichiatrico “Stella Polare” di Monza (MB). Oggi viene utilizzata anche privatamente con i pazienti, sia in sedute singole che di gruppo.

Quali sono i vantaggi di utilizzare la VGT nella terapia psicologica? E con quali tipologie di pazienti viene utilizzata?

I videogiochi offrono la possibilità di interagire in uno scenario immaginario, concretizzato visivamente grazie al supporto video-digitale. In tale scenario, il paziente può esprimere gli aspetti salienti di sé in assoluta libertà e con meno difese rispetto al ricorso esclusivo al dialogo, grazie alle proprietà immersive del videogioco che rendono l’esperienza ludica particolarmente spontanea. E grazie anche all’attivazione dell’esperienza di FLOW, nel quale i due emisferi del cervello interagiscono tra loro in modo equilibrato rispetto alle sfide ed agli obiettivi che il gioco richiede.

È di fondamentale importanza quindi che il focus del percorso non sia tanto legato al contenuto o al mezzo utilizzato (nel nostro caso il videogioco), ma soprattutto al "come", al "modo" in cui il terapeuta lo propone e lo agisce in seduta.

Il gaming, e il digitale in genere, riattiva dinamiche "proiettive" e "difese primordiali" in un ambiente "protetto" e "regolato". Il "fare" "giocando" nella relazione permette al terapeuta ed al paziente gamer di "immaginare", di "essere e rimanere fluido" nella relazione, di far rivivere proiezioni e identificazioni, come anche vissuti emotivi, traumi passati, ricordi d'infanzia. Senza rimanere incastrati in essi, ma dandone un significato adattivo e creativo.

Questo strumento è dunque particolarmente versatile, in quanto idoneo ad essere utilizzato con pazienti di un ampio spettro d’età, non solo bambini o ragazzi, ma anche giovani adulti ed adulti, ed integra al suo interno alcune tecniche psicologiche già validate, utilizzate spesso nei modelli integrati di psicoterapia dinamica.

In una terapia VGT il dualismo tra la dimensione reale e quella virtuale non rischia di essere fuorviante nella gestione della problematica del paziente?

In realtà le potenzialità dell’approccio stanno proprio in questa dualità. Il videogioco infatti si pone come “ponte” tra le due dimensioni, quella intrapsichica, che si proietta nel mondo virtuale di gioco, e quella reale ed interpsichica. Ciò che tiene su il ponte è l’esperienza di “flow” che viene attivata fin dalle prime fasi di gioco e che permette ai due emisferi, quello sinistro basato sulla memoria di lavoro e sul “fare giocando” e quello destro, basato sulla dimensione più creativa ed immaginativa, di agire all’unisono rispondendo in modo equilibrato. Cioè senza generare nel soggetto né troppa frustrazione né noia, agli obiettivi (sfide) richieste dal gioco stesso. In questo modo il soggetto può diventare consapevole di una parte inconscia di Sé, di cui prima era inconsapevole, attraverso il processo psichico definito “insight”. Perché è meno difeso, e riesce così ad autoregolare, mentre sta giocando, i propri stati emotivi (che rimandano al suo mondo interno) e le proprie skill cognitive (che rimandano più alla dimensione del reale e delle competenze di vita). Quindi non c’è più una divisione, ma un’unità.

Ed è in questa unità che il soggetto non ha più paura di alcune parti di sé che rimandano ad episodi o ricordi traumatici, perché giocando ne diventa il padrone assoluto, e può quindi affrontare tali pensieri e vissuti in modo nuovo e creativo.