Il vaccino come risposta collettiva della scienza - Bnews Il vaccino come risposta collettiva della scienza

Soli 10 mesi per crearlo. Poi, autorizzato e distribuito in tutto il mondo per il suo impiego. Il vaccino tanto atteso da tutti è arrivato, eppure ora c’è chi ne mette in dubbio sicurezza ed efficacia. Cosa è successo? Con Gianfranco Pacchioni, docente di chimica e scienziato dei materiali, analizziamo i motivi, scientifici ma anche storici, su cui riflettere tutti riguardo alla vaccinazione.

Secondo lei, il vaccino può definirsi un “piccolo grande miracolo” e perché?

Sicuramente è un miracolo. Prima di tutto, perché è la prima volta che un vaccino viene sviluppato in così poco tempo, con una sperimentazione clinica fatta in tempi ridottissimi. Inoltre, è anche il primo vaccino realizzato con l’RNA, una tecnica nuova che non esisteva 20-25 anni fa e che così è stata subito sperimentata sull’uomo. Da questo punto di vista è stato senza dubbio un grande successo.

Come scienziato, quali opportunità pensa si possano trarre da questa esperienza?

Questo dimostra che di fronte a dei problemi globali, anche complessi, la scienza riesce a dare risposte coordinate quando lo sforzo è finalizzato al raggiungimento dell’obiettivo, anche in tempi brevi. Da questo punto di vista, potrebbe essere un esempio di come direzionare in futuro la ricerca verso obiettivi importanti: pensiamo a quelli climatici, ambientali, energetici. È quindi davvero un esempio positivo di risultato ottenuto in breve tempo grazie ad uno sforzo collettivo.

Nonostante si riconosca la grandezza del risultato, oggi sembra prevalere un senso di sfiducia. Quali sono le cause?

Credo che la sfiducia e la stanchezza siano determinate dal fatto che ancora non è chiaro quando usciremo completamente da questa situazione. È inevitabile infatti che quando non si conosce il proprio futuro si generi un senso di ansia e di incertezza. La seconda ragione è che dal punto di vista comunicativo purtroppo le informazioni non sono state gestite in modo corretto. Per esempio, si è cominciato a parlare di “ripartenza” circa otto mesi fa, anche 10, quando era chiaramente ancora troppo presto: dopo l’ennesimo annuncio è normale che ognuno di noi inizi a chiedersi quando effettivamente sarà giunto il momento. Per non parlare della pessima comunicazione relativa alla campagna vaccinale: solo per gli under 55, ora sopra gli 80 anni...Una gestione confusa che ha portato chiaramente a generare sconcerto nell’opinione pubblica.

Quale riflessione, secondo lei, dovrebbe farci superare i dubbi?

Quando si è saputo del primo vaccino realizzato c’è stato molto entusiasmo, ma penso si sia sottovalutato il fatto che vaccinare un’intera popolazione - decine di milioni a livello nazionale, miliardi a livello mondiale - avrebbe inevitabilmente richiesto tempo e non parlo certo di una settimana! Ci vogliono mesi e mesi, ma senz’altro il risultato si otterrà. Occorre essere fiduciosi in questo senso.
Va ricordato anche che i nostri padri e i nostri nonni hanno vissuto esperienze ben più difficili di questa. Hanno vissuto una guerra durata sei anni, non sei mesi o un anno, e assolutamente devastante. Non hanno vissuti momenti facili e li hanno superati.
Dobbiamo pensare che finirà anche la pandemia e riprenderemo le nostre vite, magari un po’ più consapevoli di quei piccoli piaceri che forse prima non apprezzavamo abbastanza: bere un caffè insieme al bar, fare una passeggiata all’aperto. Cose che ci sembravano ovvie e che allora magari assumeranno più valore.

Professore, a proposito, lei si è vaccinato?

Si, ed ero in trepidante attesa come tutti. Proprio il fatto che il vaccino sia così ambito, credo costituisca un segnale per tutti della sua importanza.