È fissata per lunedì prossimo la prima votazione per l’elezione del tredicesimo Presidente della Repubblica Italiana, che succederà a Sergio Mattarella. Della figura del Capo dello Stato e di come si sia evoluta nel corso del tempo abbiamo parlato con Giulio Enea Vigevani, professore ordinario di Diritto costituzionale dell’Università di Milano-Bicocca e curatore - insieme a Carla Bassu (Università di Sassari) e Francesco Clementi (Università di Perugia) - del volume “Quale Presidente? La scelta del Presidente della Repubblica nelle crisi costituzionali”, uscito in questi giorni per Editoriale Scientifica (Napoli).
Giulio Enea Vigevani
Professore, i Costituenti che ruolo pensarono dovesse avere il Presidente della Repubblica all’interno dell’assetto istituzionale che prendeva corpo?
All’interno dell’Assemblea costituente vi furono diversità di vedute sia sul ruolo complessivo che sulle modalità di elezione. Nonostante le ampie prerogative previste dalla Costituzione, dislocate in tutti i poteri tradizionali, il Presidente della Repubblica fu concepito soprattutto quale un garante con poteri di riequilibrio, che si espandono nei momenti di crisi. Fu deciso di farlo eleggere, a scrutinio segreto e con maggioranze qualificate, dal Parlamento in seduta comune, integrato da una rappresentanza delle autonomie regionali, per rafforzarne il ruolo garante dell’unità nazionale, evitando un legame diretto con le sole Camere.
Ciascun Presidente ha messo la propria personalità nell’interpretazione del ruolo. Com’è cambiata, nel tempo, la figura del Capo dello Stato?
Da un lato c’è la personalità, dall’altro il contesto in cui ciascun Presidente è stato chiamato ad operare, cosa che ha inciso sicuramente di più. Chiamato ad affrontare situazioni di particolare difficoltà, anche il più attento ad un esercizio rigoroso dei propri poteri si è ritrovato a dover intervenire per garantire la tenuta delle istituzioni. Questo ha aumentato il tasso di politicità, ma sempre nel rispetto dello spirito della Costituzione. Proprio perché il Presidente della Repubblica interpreta un ruolo così importante e super partes, è stata sempre scelta una persona che non fosse un leader politico, ad esempio un segretario di partito in carica. L’unica eccezione è Saragat, ma guidava il Psdi, che non era certo uno dei partiti maggiori. Molto più spesso è accaduto che la scelta cadesse sul presidente (Gronchi, Cossiga, Scalfaro) o sull’ex presidente (De Nicola, Leone, Pertini, Napolitano) di uno dei due rami del Parlamento.
Persone che avevano già dimostrato di saper svolgere un ruolo di garanzia…
Sì, e lo stesso può dirsi di Ciampi, che non era un politico, ma aveva sempre avuto ruoli tecnici o, appunto, di garanzia. Allo stesso modo è significativo come non sia mai stato eletto il Presidente del Consiglio e anche i casi di Ministri in carica sono appena quattro, quasi tutti in tempi lontani: Einaudi, Segni, Saragat e Ciampi.
Chi viene eletto, spesso compie gesti anche simbolici per “spogliarsi” della propria appartenenza politica. Pertini, dopo l’elezione, non rinnovò la tessera del Psi.
Nella stessa direzione va anche la scelta di iscriversi al gruppo misto una volta terminato il mandato e assunta la carica di senatore a vita.
Nelle ultime settimane si è affacciata l’ipotesi di introdurre uno sbarramento alla rielezione del Presidente in carica. Perché, pur avendo previsto una durata del mandato piuttosto ampia, in Costituzione non fu stabilito un limite al numero dei mandati?
Per le cariche politiche, in Costituzione non furono previsti limiti di mandato. Dei limiti sono stati introdotti in tempi successivi, ad esempio per i sindaci. In ogni caso lo spirito costituzionale, per quanto riguarda il Presidente della Repubblica, non è quello del doppio mandato. Il caso di Napolitano è del tutto eccezionale e fa bene Mattarella ad opporsi alla rielezione, perché una seconda volta consecutiva lascerebbe pensare all’introduzione di una prassi.